Middle East Eye

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14 ott 2015

 

Coloni: “E’ il momento di prendere la Cisgiordania”

di Shira Rubin

Traduzione di Giorgia Grifoni

 

Un’ondata di nuove costruzioni ha incoraggiato i coloni. E il desiderio di molti giovani di tornare a uno stato di Israele “puro” è, secondo il sociologo Shlomo Fischer, paragonabile a quello di altri gruppi estremisti della regione, come il cosiddetto Stato islamico.

 

Sulla porta d’ingresso della casa di famiglia Henkin nella colonia cisgiordana di Nerya, segni colorati  nella scrittura da bambini esprimono cordoglio per il padre e la madre. Eitam e Naama sono caduti in un’imboscata nella loro auto e sono stati uccisi da una pallottola sparata a bruciapelo lo scorso primo ottobre. In un messaggio ai quattro figli di Henkin, che erano sul sedile posteriore e sono stati testimoni l’attacco, i segni chiedono un rapido ritorno dei ragazzi alla loro casa in questo territorio “contestato”.

L’assassinio dei coniugi Henkin ha scatenato l’ultima ondata di vendette. Due giorni dopo, nella Città Vecchia di Gerusalemme, un aggressore palestinese ha accoltellato una famiglia israeliana di ritorno dalla preghiera del sabato sera, uccidendo il padre, Aharon Banita, così come il rabbino, Nehemia Lavie che, come ha riferito la polizia, aveva sentito i colpi ed era sceso dal suo appartamento per cercare di aiutare.

Scontri feroci e forti tensioni si sono diffuse in tutta Israele e nei territori palestinesi, causando la morte di 13 palestinesi [aggiornati a domenica 11 ottobre, ndt], tra cui un certo numero di adolescenti che hanno attaccato israeliani e anche quelli coinvolti o intrappolati nel fuoco incrociato di scontri contro le forze di sicurezza israeliane. Da giovedì, i media palestinesi hanno riferito che nove abitanti di Gaza [numeri aggiornati a domenica 11 ottobre, ndt] sono stati uccisi dai soldati israeliani durante le manifestazioni. Domenica mattina, una donna palestinese [avrebbe] fatto esplodere una bomba in un posto di blocco tra Gerusalemme e un insediamento nelle vicinanze [notizia poi smentita: si trattava di un guasto all’auto, ndt].

Eppure, sebbene gli insediamenti, così come “Monte del Tempio” [Spianata delle Moschee, ndt], siano diventati oggetto di crescente contesa, l’atmosfera in Cisgiordania è rimasta relativamente calma, e molti affermano che questa “ondata di terrore”, come altre prima di essa, passerà presto, hanno detto i residenti.

Yagil Henken, il fratello del defunto Eitam Henkin, ha detto che i recenti sviluppi – “Non i peggiori che abbiamo visto” – dovrebbero essere intesi solo come la continuazione di un conflitto religioso-nazionale che ribolle da lungo tempo, alimentato dalla incapacità “dell’arabo” di accettare il ritorno degli ebrei alla loro “antica patria”. “Non è cominciato oggi, e nemmeno con la fondazione dello stato di Israele”, ha detto Henkin, uno storico militare presso il collegio dei comandanti dell’IDF.

Egli, per il tragico assassinio del fratello e della cognata, incolpa una “società palestinese che pensa che tali attacchi terroristici siano un modo legittimo di agire e che applaude i terroristi, i quali sono in realtà finanziati da paesi stranieri che pagano stipendi molto generosi alle famiglie dei terroristi in carcere “, ha detto.

Henken sostiene che la morte di suo fratello e sua cognata, e degli israeliani uccisi da allora in poi, non faccia che rafforzare ulteriormente l’urgenza dell’impresa degli insediamenti israeliani in Cisgiordania che, dice, è un “diritto di nascita ebraica”. Egli ha detto che i residenti sono “al sicuro”, anche se i residenti hanno chiesto al governo un’ulteriore presenza militare.

Più insediamenti uguale più attacchi

Sotto il governo di Benjamin Netanyahu, tra il 2009 e il 2014, l’espansione degli insediamenti è salita alle stelle tanto da costituire più del doppio della quantità di edifici innalzati rispetto al territorio israeliano, secondo l’Ufficio centrale di Statistiche israeliano. Secondo diversi attivisti per i diritti umani, l’ondata di edifici costruiti ha a sua volta incoraggiato le comunità di coloni in ogni modo, compresa la frangia che mira ad attaccare i palestinesi, nel tentativo di intimidirli nella loro terra.

Un rapporto del 2013 delle Nazioni Unite ha tracciato un legame tra la crescita degli insediamenti e l’aumento della violenza dei coloni, che ha dal 2005 si manifesta notoriamente come “Tag Mehir,” o movimento “Price Tag” – un termine usato per descrivere la minaccia per cui, ogni volta che il governo israeliano si muove per frenare l’espansione degli insediamenti, dovrebbe pagare un “prezzo” in forma di attacco a persone palestinesi o cose.

Nel rapporto delle Nazioni Unite si legge che, oltre agli attacchi alle terre e proprietà agricole, 14 attacchi a scuole da parte di coloni israeliani sono stati segnalati negli anni tra il 2009 e il 2013, e che il fallimento delle forze di sicurezza israeliane di proteggere i palestinesi da tali atti “solleva interrogativi circa [la loro] volontà di intraprendere l’applicazione della legge in modo non discriminatorio “.

Udi Levy, il capo della task force creata per combattere la violenza dei coloni, ha detto che a partire dallo scorso anno gli attacchi si sono discostati da quelli di più piccole dimensioni come il vandalismo e lo sradicamento di oliveti, per tendere invece verso attacchi fisici contro i palestinesi, con l’intento di causare danni.

“Anche se siamo stati in grado di raccogliere informazioni di qualità e raggiungere la deterrenza, i giovani attivisti di cui ci stiamo occupando hanno cominciato a prendere una linea più dura e a compiere atti volti a scioccare e disturbare l’ordine in questo paese”, ha detto Levy.

Quello “shock” è avvenuto il 30 luglio, quando sospetti coloni mascherati si sono intrufolati nel villaggio cisgiordano di Duma nel cuore della notte, lanciando bombe incendiarie nelle case di due famiglie, e scarabocchiando “Viva il Messia” e “Vendetta!” su un muro vicino. Un bambino di 18 mesi, Ali Saad Dawabsheh, è stato immediatamente bruciato vivo e, poco dopo, i suoi genitori, Saad e Reham, sono deceduti per le gravi ustioni subite durante l’attacco. Zohdei Dawabsheh, residente a Duma, ha detto che mentre Duma era sempre stato un “villaggio della pace”, lui e i suoi vicini ora non esiterebbero a “uccidere qualsiasi israeliano che mette piede nel villaggio”.

Mentre Netanyahu ha definito l’incendio doloso “un orribile, atroce atto di terrorismo ebraico” e ha promesso un giro di vite per individuare e catturare gli autori, tre mesi dopo le forze di sicurezza – note per scovare con successo tutti i palestinesi accusati di terrorismo con metodi controversi come le incursioni di casa o l’invio di truppe speciali – non hanno segnalato alcun progresso.

Secondo l’ONG Yesh Din, che segue le attività di insediamento, è emerso un modello: oltre l’85 per cento dei casi di violenza dei coloni aperti in Cisgiordania sono stati chiusi “per la mancanza  [da parte delle autorità] di indagini appropriate”. Tra il 2005 e il 2014, inoltre, solo il 7 per cento dei fascicoli d’indagine di casi di violenza dei coloni hanno portato a rinvii a giudizio.

Attaccando i palestinesi e scarabocchiando graffiti messianici, questo movimento giovanile presente in Israele e nella Cisgiordania può essere inteso come una nuova e più giovane forma, più anti-gerarchica di “romantico sionismo religioso”, ha detto Shlomo Fischer, professore di sociologia ed esperto di estremismo ebraico. Il desiderio di molti giovani a tornare a uno stato di Israele “puro” è, secondo Fischer, paragonabile a quello di altri gruppi estremisti della regione, come il cosiddetto Stato islamico.

Violenza senza sosta

Nelle scorse settimane, le attività violente hanno proseguito senza interruzione, sia nelle comunità israeliane isolate che in quelle principali. Secondo Ghassan Daghlas, un funzionario palestinese che controlla l’attività dei coloni sul territorio, 133 episodi di violenza dei coloni sono stati riportati in questo periodo in Cisgiordania. In un episodio recente, uomini mascherati dell’insediamento di Yitzhar hanno lanciato pietre contro i palestinesi, scortati dai soldati israeliani, come si vede in un video caricato sul sito web della ONG Btselem.

Venerdì scorso, un diciassettenne israeliano che più tardi avrebbe detto alla polizia: “Tutti gli arabi sono terroristi”, ha pugnalato e ferito quattro palestinesi nella città meridionale di Dimona. I social media si sono infiammati di accuse sul fatto che, a differenza degli assalitori palestinesi ai quali la polizia israeliana aveva subito risposto con la violenza, l’aggressore israeliano non fosse stato ferito, ma rinchiuso per una valutazione psichiatrica.

Da parte loro, i coloni e i loro leader hanno condannato gli attacchi terroristici ebraici, ma hanno anche fortemente voluto reindirizzare la conversazione sul “terrore arabo”, che, dicono, è il nocciolo del problema.

Avi Roeh, presidente del Consiglio regionale Binyamin in Cisgiordania, ha definito il  Tag Mehir e altri attacchi israeliani contro i palestinesi come “disumani e non-ebrei”. Ma ha anche negato il legame tra tali attacchi e le violenze in corso, aggiungendo che, in ogni caso, l’autorità del suo e degli altri insediamenti ” non si estende al di fuori delle comunità ebraiche – questo è il compito della IDF e la polizia”.

La chiamata a prendere la Cisgiordania

Ora, più urgentemente che mai, spetta a Israele sfruttare “questo momento storico”, e agire per “annettere la Cisgiordania, sia la sua terra che la gente”, ha detto Roeh a Middle East Eye, di fronte alla residenza del primo ministro a Gerusalemme, dove i bambini dell’asilo di vari insediamenti in Cisgiordania si sono riuniti per protestare contro la mancanza di sicurezza nelle loro comunità.

Ma gli annunci del governo israeliano di aumento delle misure di sicurezza, come ad esempio mettere fuori legge il ramo settentrionale del Movimento islamico o l’installazione di telecamere lungo le strade della Cisgiordania, non indicano una strategia a lungo termine, quanto piuttosto il mantenimento dello status quo con cautela.

Nel corso di una conferenza stampa la scorsa settimana, Netanyahu ha offerto “nessun obiettivo, nessuna visione di come vuole che il nostro rapporto con i palestinesi appaia alla fine del suo mandato”, ha scritto Barak Ravid nel quotidiano israeliano Haaretz. “Sta cercando il più possibile di evitare ogni ulteriore escalation che potrebbe essere causata da una vasta operazione militare nella Cisgiordania o un’escalation diplomatica in seguito all’espansione degli insediamenti.”

Ma per molti dei 500 mila israeliani in Cisgiordania, le questioni di ridimensionamento della loro presenza e le domande di pace in generale sono irrilevanti, dicono i residenti.

“La vera domanda è come possiamo continuare a combattere il selvaggio nemico [palestinese]“, ha detto Nir Salomon, portavoce dell’insediamento di Nerya. “Posso capire quando un ragazzo di 16 anni dice: ‘I miei vicini sono stati uccisi a sangue freddo, non posso stare in silenzio.’ Dobbiamo dire loro che è inadeguato far esplodere quella rabbia”, ha detto, chiarendo che la vera responsabilità spetta allo Stato al fine di garantire che gli attacchi palestinesi “non si ripetano più”.

Proprio come i discorsi ascoltati tra coloro che si stabilirono nella Striscia di Gaza prima del disimpegno israeliano del 2005, inoltre, Salomon ha detto che la sua comunità funge da cuscinetto tra gli “arabi” e il centro di Israele, e in questo modo impedisce “l’Iran lanci missili” direttamente nel cuore di Israele.

Da una montagna che domina i vigneti israeliani e una linea di villaggi palestinesi, Salomon ha detto che mentre gli “arabi” non hanno alcun collegamento diretto con il 90 per cento della terra, “noi [i coloni] siamo tutti per la coesistenza, ma solo se vengono in pace , come veniamo in pace”. Nena News