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7 novembre 2015

 

Il diritto di torturare un popolo

di Norman Finkelstein e Haniya Khalid

 

“Se stessi cercando di fare una gara di popolarità, avrei scelto un’altra causa.”

 L’ampia intervista con il Professor Norman Finkelstein sullo zelo eccessivo del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), sulla legge internazionale e sugli infami che non vi aderiscono,  sul diritto di auto-difesa e il problema del linguaggio ideologico quando si parla del conflitto israelo-palestinese.

 

Quando è esplosa la violenza a Gerusalemme e in Cisgiordania questo ottobre, il mondo  osservava  stancamente  le scintille di un conflitto che dura da 70 anni, radicate  in un’occupazione di 50 anni che, ancora una volta, distribuivano le loro ustioni brucianti su ogni cosa nello spazio di attacco. Mentre le scene di brutalità, di sangue e di tribalismo mostrate su smartphone e schermi televisivi, un sospiro collettivo proveniente dalla comunità internazionale si poteva quasi sentire al di sopra degli slogan furiosi, degli insulti e dei litigi  tra gli aderenti autoritari di entrambi i lati della frattura.

Infatti, secondo Norman Finkelstein, considerato sia dai suoi ammiratori che dai suoi più feroci detrattori un esperto della polveriera  che spesso esplode, cioè il conflitto israelo-palestinese, del punto cruciale dell’occupazione durata mezzo secolo che alimenta le ricorrenti battaglie che formano la costante natura di questo conflitto, e della sua agognata risoluzione, che sta semplicemente e soltanto nella legge formulata dalle più alte autorità legali del mondo.

 

“Il primo obbligo in base alla Legge Internazionale, se si è una potenza occupante, è che si suppone che a un certo punto se ne vada. Questa è la natura dell’occupazione, la cui caratteristica primaria, e non sto facendo lo spiritoso, lo dico letteralmente, in base alla legge internazionale, è che si suppone che sia temporanea. Questo distingue un’occupazione da un’annessione.”

 

Parlando tramite Skype dalla sua casa in Ocean Parkway a Brooklyn, New York, le parole di Finkelstein  fanno eco a quelle che due professori ebrei americani, Steven Levitsky e Glen Weyl hanno scritto sul Washington Post la settimana scorsa. In un annuncio congiunto, in cui dichiarano la loro intenzione di boicottare Israele, i due accademici che si definiscono “sionisti da una vita”, dicono di aver sempre creduto nella necessità di uno stato ebraico “per proteggere la nostra gente da disastri futuri,” e che tale stato si era sempre ipotizzato che fosse  “democratico, che accettasse i valori universali dei diritti umani che molti hanno appreso come lezione dall’olocausto.”

 

Però scrivono: “Dobbiamo affrontare la realtà: l’occupazione è diventata permanente” e “Le misure antidemocratiche intraprese alla ricerca della sopravvivenza di Israele, come l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, e la negazione dei diritti fondamentali ai palestinesi che vivono là, si intendeva che fossero temporanee.”

“Sono chiaramente non temporanee,” concorda Finkelstein. “Dopo mezzo secolo, se non se ne sono andati o se non hanno dimostrato alcuna intenzione di partire, allora è de facto un’annessione. Questo è illegale. Questo significa infrangere la legge.”

 

Dopo un mese di violenze che hanno provocato la morte di 70 palestinesi e di 9 israeliani, e il ferimento di oltre mille palestinesi e di 100 israeliani, ci si chiede chi esattamente stia applicando la Legge Internazionale nell’attuale situazione e chi lo abbia fatto per tutta la durata dell’occupazione iniziata nel 1967.

“Ebbene, i palestinesi non hanno voce in capitolo, non possono fare bene o male in regime di occupazione. Non hanno nessuna capacità, realmente, di applicare la legge internazionale. Israele è una potenza occupante e, in base alla legge internazionale, come potenza occupante, ha forse certi diritti e questo significa certi obblighi.”

 

Finkelstein delinea il quadro fondamentale che costituisce questi obblighi – proposti dalla Corte Internazionale di Giustizia, “l’organismo legale più eminente del mondo”, l’Assemblea Generale dell’ONU, “l’organismo politico più rappresentativo del mondo,” e le organizzazioni per i diritti umani – come “due stati con i confini del 1967 e una giusta risoluzione del problema dei profughi.”

“Quelli sono i termini per risolvere il conflitto, sono comuni a tutte le più importanti terze parti per il conflitto. Lasciamo, quindi da parte ciò che dice Israele e presumiamo soltanto che sarà opportunista, diciamo come il marito al tribunale per il divorzio, lasciamo da parte che cosa dicono i palestinesi, supponiamo che sia come la moglie al tribunale per il divorzio, e limitiamoci a quello che hanno da dire le organizzazioni internazionali.”

 

Certamente, però, questi prestigiosi organismi riconoscono che in qualche punto della legge, entrambi i protagonisti nell’ambito del conflitto posseggono in qualche misura il diritto di auto-difesa. I gruppi pro-Palestina possono impegnarsi in una opposizione legittima, mentre gli Stati Uniti dicono che Israele ha il diritto di difendersi. Chi ha ragione secondo la legge?

“Entrambe le affermazioni sono corrette. I palestinesi hanno il diritto dinanzi alla legge internazionale di usare la forza per mettere fine a un’occupazione aliena. Israele ha il diritto dinanzi alla legge internazionale di usare le forze armate per perpetuare un’occupazione illegale o l’assedio illegale di Gaza. Se Israele vuole difendersi, è suo diritto, ma la Cisgiordania e Gaza non sono Israele.”

 

Molti sostenitori di Israele supplicherebbero di dissentire. Israele non è l’unico che commette violenze. Che dire dei palestinesi che tirano i sassi?

“Qualsiasi persona in regime di occupazione ha il diritto di usare le forze armate per porre fine all’occupazione, e nel caso di Gaza non si tratta soltanto di un’occupazione lunga 50 anni, ma sovrapposta a quella c’è stato un assedio illegale, immorale e disumano, durato un decennio. Hanno quindi il diritto davanti alla legge internazionale di usare la forza. E’ una cosa astuta da fare? Questa è un’altra domanda. Mi chiedete se hanno il diritto in base alla legge: la risposta è: sì.”

 

E Hamas che lancia i missili?

“Se deplorate davvero gli attacchi di Hamas con i razzi – come vengono chiamati – non sono razzi, sono fuochi artificiali- c’è un modo molto facile per fermarli. Anche i sostenitori più espliciti di Israele hanno detto che Hamas usa questi missili perché vuole la fine dell’assedio. Questa era l’interpretazione uniforme. Il Consiglio per i Diritti Umani ha dichiarato nel suo più recente rapporto su Gaza che l’assedio deve essere revocato e ora cito le loro parole: “immediatamente e incondizionatamente’. Se quindi si vuole porre fine agli attacchi di Hamas con i missili, c’è un modo molto facile di farlo. Tutto quello che deve fare Israele è obbedire alla legge.”

 

E gli attacchi con i coltelli e con le macchine contro i soldati e i civili israeliani nella recente ondata di violenza?

“Le uccisioni fatte casualmente, a meno che non si cristallizzino in un’organizzazione, in una piattaforma, in tutto il resto, non durano molto a lungo. Le persone rinunciano e basta. E c’è una forza di polizia palestinese della Giordania, molto efficiente, addestrata dalla CIA, un apparato per la sicurezza, repressivo, che sarà in grado di schiacciare una reazione fondamentalmente angosciata, sconfortata da parte della gente, che si concretizza con gli accoltellamenti.”

 

E allora, quando l’opposizione legale e l’auto-difesa diventano terrorismo? Finkelstein è sincero.

“Ascoltate. Al piano di sopra ho dei vicini. Per circa tre mesi hanno dato colpi, colpi, colpi sul mio soffitto, facendomi impazzire. Speravo e pregavo che un camion andasse a sbattere contro la loro macchina e che li ammazzasse, va bene? C’erano dei momenti in cui volevo prendere un coltello da macellaio e tagliargli le gambe. Giusto? Non sono pensieri molto morali. Non comincerò neanche a raccontarvi alcuni altri pensieri che ho avuto riguardo a loro. Non pensieri tra i più gentili. Chi sono quindi io per dare lezioni ai palestinesi su come dovrebbero agire e reagire a un’occupazione di 50 anni, che giorno dopo giorno, sistematicamente rovina e distrugge le loro vite? Non li condannerò. Non posso, perché bisogna essere moralmente coerenti. Mi perdete. Non perché non abbia un senso morale, ma perché il mio primo precetto nella vita è: ‘Se non fosse per la grazia di Dio, che cosa farei in quelle situazioni? E giudicando dal modo in cui attualmente mi sento riguardo ai miei vicini…”

 

Ma è precisamente questo tipo di linguaggio che ha conferito a Finkelstein la reputazione di estremismo tra i suoi critici. Non pensa che questo tipo di linguaggio sia quello che porta alcuni a etichettarlo come “ebreo che odia se stesso” o sostenitore del terrorismo?

“Non ha nulla a che fare con Israele. Deve avere a che fare con un’occupazione immorale, illegale. Non mi importa se è Israele, non mi importa se è ebreo. Non ha nulla a che fare con questo. Voi pensate che avessi sentimenti affettuosi per il mio paese quando bombarda il Vietnam? A quei tempi eravamo tutti chiamati ‘anti-americani’, americani che odiano se stessi, ho fatto lo stesso in questo caso.”

 

Parlando di opinioni non conformiste, Finkelstein non è molto popolare neanche tra i membri del movimento pro-palestinese BDS che sostiene di parlare per la società civile palestinese nel suo invito a boicottare, disinvestire da Israele e imporgli sanzioni fino alla fine dell’occupazione. Finkelstein ride.

“Se stessi cercando di fare una gara di popolarità, avrei scelto un’altra causa per cui combattere.”

 

Quali sono quindi le preoccupazioni per il movimento?

“La piattaforma BDS mi sembra completamente ipocrita perché non si può sostenere di essere ancorato alla legge internazionale e poi continuare a sostenere che soltanto i palestinesi hanno diritti in base a quella legge.  La legge comprende i diritti, di sicuro, ma anche responsabilità. E se si vuole sostenere il diritto all’autodeterminazione e alla condizione di stato per i palestinesi, non si può continuare a essere agnostici riguardo al diritto di Israele all’autodeterminazione e alla condizione di essere stato. Proprio la stessa legge che garantisce quei diritti ai palestinesi, li garantisce agli israeliani. Questa è la legge. Se non vi piace la legge, va bene. Si può dire: ‘Considero che quella legge è capitalista, razzista, imperialista, sionista, convinta della supremazia dei bianchi, e tutti gli altri loro stupidi epiteti. Ma non si può affermare di sostenere la legge e poi ignorarne le parti che non piacciono perché è esattamente quello che fa Israele.”

 

E la decisione dei professori Steven Levitsky e Glen Weyl?

“Non hanno detto che avrebbero boicottato Israele per mettere in atto il BDS, si sono limitati a dire che la condotta di Israele è illegale secondo la legge internazionale. Riconoscono i diritti di Israele entro i parametri della legge. Questo non il BDS. Il BDS non riconosce alcun diritto a Israele. Limitatevi alla legge, perché queste due persone hanno detto esplicitamente che si limitano alla legge.”

 

Quindi lei non si oppone al boicottaggio senza l’etichetta BDS oppure…?

“Un boicottaggio è una tattica non violenta: di conseguenza è legittima in base a ogni interpretazione della legge internazionale. Il problema, allora, è la sua potenziale efficacia; è una faccenda di giudizio, non di principio. Secondo me, i boicottaggi specificamente culturali/accademici (non i boicottaggi in generale) inevitabilmente deviano l’attenzione dall’occupazione e si trasformano invece  in disquisizioni colte e irrilevanti sulla libertà accademica.”

 

Crede quindi  davvero che i boicottaggi possano funzionare?

“Dio aiuta coloro che aiutano loro stessi; lo dico come ateo deciso.  La Palestina sarà liberata quando il popolo della Palestina troverà dentro di sé la forza e la buona volontà per porre fine all’occupazione. Qui, fuori della Palestina, possiamo svolgere un ruolo fondamentale nell’appoggiarlo, di sicuro, ma l’idea che si possa liberare la Palestina dall’esterno, per mezzo dei boicottaggi accademici e cose simili, secondo me non ha alcuna base nella storia per quanto ne capisca, non ha alcuna base reale e senso comune.”

 

E come si libereranno i palestinesi?

“Secondo me, il modello più chiaro per ottenere i loro scopi legittimi è la prima Intifada.”

 

Il termine ‘Sionista’ è offensivo da usare come insulto, come succede spesso?

“Guarda, non mi importa del sionismo. Ho scritto la mia dissertazione per il dottorato su questo argomento, quindi dovrebbe importarmi, e invece non è così. Infatti proprio adesso non dobbiamo usare questo linguaggio ideologico che molte persone non comprendono e che importa ad ancora meno persone. Si può usare un linguaggio elementare che tutti possono comprendere. Si può usare un termine come ‘occupazione’, espressioni come ‘insediamenti ebraici illegali’, si può dire ‘un blocco e un assedio illegale’, ‘prendere di mira i civili’, ‘uccidere 500 neonati durante l’attacco più recente a Gaza’, ‘distruggere 19.000 case a Gaza’; tutti lo capiscono, ognuno si rapporta a quello, quel tipo di linguaggio troverà il favore del senso morale di tutti.”

 

Qualche partito israeliano  ha speranza per la fine dell’occupazione?

“Non c’è alcuna dichiarazione da parte di nessun importante partito di  Israele che accetti i termini della comunità internazionale come vengono proposti; uno stato palestinese in tutta la Cisgiordania, comprese Gerusalemme e Gaza e una giusta risoluzione della questione dei profughi. Tutti i maggiori partiti politici israeliani rifiutano qualsiasi reclamo dei profughi palestinesi, e tutti i più importanti partiti politici sostengono che Israele ha il diritto di detenere i maggiori blocchi di insediamenti.”

 

Anche il partito di sinistra Meretz?

“Il Meretz ha la stessa posizione di Netanyahu circa la questione dei blocchi di insediamenti, sono un poco diversi rispetto a Gerusalemme e al problema dei rifugiati. Forse sono contro l’espansione degli insediamenti, ma ci sono già 550.000 coloni lì, e i blocchi di insediamenti occupano circa il 10% della Cisgiordania; tagliano in due la Cisgiordania al nord, la Cisgiordania a ovest da Gerusalemme a Gerico e si appropriano di parte della terra più preziosa presso le fondamentali risorse idriche. Quindi si dice che Israele ha il diritto di mantenere i blocchi di insediamenti – questa è la posizione del Meretz, quindi non c’è nessuno stato palestinese. Che cosa ne faranno dei 550.000 coloni?”

 

Quindi lei dice che  non c’è alcuna speranza all’interno di Israele che si ponga fine a questo prolungato conflitto  sanguinoso, che devasta l’anima?

“Israele si è spostata molto a destra, è una specie di nazione folle. E il loro primo ministro è un pazzo da rinchiudere. Voi potreste dire: ebbene, gli Stati Uniti hanno eletto due volte Bush, ed è vero; e Bush aveva un sacco di rotelle che non gli funzionavano in testa, ok, va bene, ma nel caso di Bush si può almeno dire che è stato disprezzato e detestato alla fine del suo secondo mandato, anzi, alla fine è stato il presidente più impopolare della storia. Nel caso di Netanyahu, invece, ogni volta che fa un’altra dichiarazione folle o va avanti in un modo più folle, il consenso per lui aumenta. Netanyahu è la misura e il riflesso dell’umore della società israeliana. E quindi cercare una speranza  là adesso non mi sembra davvero un modo razionale di percepire le cose. Ci sono state sanzioni applicate a Israele, per far loro sperimentare che si paga un prezzo per la propria condotta folle. E quando si deve pagare un prezzo, si sarà sorpresi di vedere quanti pazzi improvvisamente diventano molto misurati e razionali. Me se si va avanti in quel modo nell’impunità, allora la gente continuerà così, è la natura degli esseri umani. Si fa scatenare la bestia dentro qualcuno quando si lasciano andare avanti nell’impunità e senza che subiscano alcuna conseguenza. E’ però anche un fatto notevole che gli esseri umani, una volta che devono pagare il prezzo, si rimettono in carreggiata.”

 

I sostenitori progressisti di Israele forse considerano insensibili queste osservazioni, comprese quelle contro l’occupazione, specialmente perché sono dirette all’unica nazione ebraica del mondo. Potrebbe essere considerato razzismo giustificato. Molti potrebbero dire che imporre le sanzioni significa punire un intero popolo per le azioni compiute dal loro governo.

“Prima di tutto ora ci sono sanzioni che vengono applicate contro molte nazioni: la Russia è sotto sanzioni per il ruolo avuto in Ucraina. Ci sono molti paesi che subiscono sanzioni. Secondo, nessuno ora punisce il popolo di Israele; quello che gli si dice è: non potete andare avanti in questo modo senza conseguenze. Quando non continuerete più in questa maniera illegale, queste sanzioni saranno revocate, non ci sarà più una richiesta di sanzioni oppure, se la gente le chiederà, saranno ignorate dal 99% dell’umanità che ha altre cose da fare. Non vengono puniti,  sono  ritenuti responsabili  della loro condotta immorale, oppure responsabili per la loro indifferenza nel processo della condotta illegale che viene seguita. Israele vuole la sua torta e vuole mangiarla; vuole mantenere un blocco illegale disumano su Gaza, e vuole essere in grado di continuarlo come se Gaza non esistesse. La maggior parte degli Israeliani, quando si tratta dell’occupazione, non la considerano parte della loro vita, per loro non esiste. Quindi si vuole essere in grado di avere il diritto – e questo non significa usare un linguaggio iperbolico ed esagerato – si vuole avere il diritto di torturare un popolo. Questo è ciò che si vuole. Non si può avere il diritto di torturare un popolo. Non si ha quel diritto. Mi dispiace, non si ha quel diritto. Se si vuole avere quel diritto, si deve affrontare l’obbrobrio internazionale e le sanzioni.”

 

Avendo queste opinioni, si sente mai un pariah all’interno della comunità ebraica?

“Vivo a Ocean Parkway a Brooklyn, New York. Sono tutti ebrei. Ci sono più ebrei che a Israele. Nessuno mi attacca, a nessuno importa di me, non perché lei mi chiama pariah. Ho rapporti molto buoni con tutti, tranne che con i miei vicini del piano di sopra che non sono ebrei. Direi che metà della mia corrispondenza arriva da ebrei, ma l’altra metà arriva da musulmani. E abbiamo una bella corrispondenza, cioè una parte può essere malevola, ma per lo più non è così. La maggior parte del  tempo la gente capisce che non chiedo la distruzione di Israele, o stronzate di questo genere,  voglio soltanto che la legge sia applicata. E ho scoperto che coloro che mi scrivono, e, in generale, coloro che mi ascoltano, con l’eccezione di una manciata di pazzi,  tendono a essere misurati e ragionevoli.”

 

Dopo aver parlato con questa persona nata a Brooklyn, figlio di ebrei-americani sopravvissuti all’Olocausto, e che ha dedicato tutta la sua vita alla causa della risoluzione di questo conflitto, la strada per la pace sembra sorprendentemente chiara. Una cosa è sicura: il conflitto israelo-palestinese è un conflitto la cui soluzione è stata già decisa da ogni organismo legale indipendente che esiste sulla terra. E’ un conflitto che potrebbe essere risolto domani o proprio in questo momento se soltanto i potenti e i responsabili avessero la buona volontà di applicare i diritti legittimi di tutti coloro che sono invischiati in questa  stretta  tossica.

E se, anche quando le loro ossa saranno pestate fino a quando si spezzeranno, qualcuno è stato, inesplicabilmente, innegabilmente e ferocemente coraggioso abbastanza da stare dritto in piedi ancora una volta.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte: http://zcomm.org/znet/article/the-right-to-torture-a-people