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28 agosto 2015

 

E se cadesse?

di Andre Vltchek

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Beirut brucia: è colpita, arrabbiata e incerta circa il proprio futuro. Le ambulanze ululano. Centinaia sono feriti. Volano pallottole di gomma. E pallottole vere. Una rivoluzione? Una rivolta?

 

Chi sono quegli uomini, a torace nudo, muscolari, che scagliano sassi contro la polizia nel centro di Beirut? Sono veri rivoluzionari? Sono là per rivendicare la così malamente screditata “Primavera Araba?”

O sono venuti qui in una dimostrazione di forza, perché pagati dall’occidente? Se lo stato libanese crolla, potrebbe entrare l’ISIL e occupare almeno una parte considerevole del Libano. Ciò farebbe gli interessi dell’occidente, e quelli della Turchia, nonché quelli degli stati del Golfo.

Oppure Israele potrebbe approfittare del vuoto e invadere il Libano, un’altra volta. Oppure entrambi, ISIL e Israele.

Due settimane fa una mia amica ha detto, scherzando: “Ho conosciuto un ragazzino a Beirut. Mi ha detto che avrà un lavoro presso una ONG europea. Il suo lavoro consisterebbe nel contribuire a destabilizzare il Libano”.

Ha nominato il paese che finanzia l’ONG, ma preferisco non citarlo qui, per non aggiungere altra benzina sul fuoco. CI siamo fatti una bella risata allora, ma ora non pare troppo divertente, non più.

Ieri mi ha detto: “La polizia gli ha sparato”.

Era là. Non si era vantato. Non era uno scherzo.

Nulla pare uno scherzo in Libano, non più!

O potrebbero esserci due “tipi” di manifestanti nello stesso posto e alla stessa ora? Quelli che combattono per un Libano migliore e quelli che sono pagati per combattere a favore del settarismo e degli interessi stranieri (che in questo paese sono la stessa cosa)?

***

Solo un giorno prima che scoppiassero gli scontri in strada mi sono recato a Beirut, attraversando le montagne e poi procedendo verso nord, attraverso la Valle della Bekaa.

La notte è scesa sull’antica città di Baalbek. Mayada El-Hennawy, la grande musicista classica pan-araba siriana, ha cominciato a cantare, la sua notevole voce amplificata e poi trasportata verso le montagne che formano il confine tra due fratelli: Libano e Siria.

Che spettacolo! Che follia! Alle spalle di Mayada c’è l’enorme struttura del Tempio di Bacco; sopra di lei droni. Carri armati e centinaia di soldati erano di stazione in tutta Baalbek, proteggendo il luogo e l’evento. A solo pochi chilometri di distanza Hezbollah è impegnato nella sua epica battaglia contro l’ISIL.

Ma sono arrivate migliaia di persone, in una sfida impressionante, rifiutandosi di soccombere alla paura. Hanno guidato sin qui da Beirut e da altre città di un Libano acciaccato, oggi quali non funzionante.

Sono venuti a celebrare la vita e la cultura araba; sono venuti ad ascoltare le loro amate canzoni e a rendere omaggio a questa celebrata diva siriana. Alcuni, chiaramente, sono venuti a rendere omaggio alla Siria stessa; alla Siria e alla vita.

Quando Mayada El-Hennawy ha cominciato a cantare, la gente ha urlato.

***

Ventiquattro ore dopo il concerto, una folla si è scontrata con la polizia libanese nel centro di Beirut, vicino al palazzo del governo.

Ci sono state dozzine di feriti e il 24 agosto è stato riferito che una persona è morta in ospedale.

Il movimento “You stink” [Puzzi] ha organizzato le proteste per primo. Migliaia di persone sono scese in strada in reazione alla crisi dei rifiuti in corso che, secondo molti, ha reso quasi insopportabile la vita già difficile a Beirut.

“Puzzi!” Da 18 anni il governo non è in grado (o non ha la volontà) di costruire un sito permanente di riciclaggio dei rifiuti. Da 18 anni i poveri abitanti dei villaggi vicino alla discarica “provvisoria” hanno sofferto, sono finiti avvelenati, sono morti per livelli insolitamente elevati di cancro e di malattie respiratorie. Poi alla fine hanno detto “Halas! Basta!” Hanno bloccato il sito. E dopo che l’hanno fatto, l’immondizia ha cominciato ad accumularsi nelle stradi di Beirut. Invece di trovare una soluzione permanente il governo ha irrorato di un veleno tossico bianco per topi le pile di spazzatura marcescente. La gente della capitale ha cominciato ad ammalarsi.

Ma non è solo la spazzatura che sta rendendo la vita nella capitale, e di fatto in tutto il paese, quasi intollerabile.

Va capita una cosa: il Libano non è l’Iraq, la Libia o la Siria. Tutti questi paesi avevano una dirigenza forte e avevano robusti programmi socialisti e sociali (disprezzati dall’occidente): dall’assistenza medica all’istruzione, all’edilizia popolare alle pensioni.

In totale contrasto, il governo del Libano non funziona, è corrotto e diviso. Il paese è sopravvissuto più di un anno senza un presidente, nonostante il consiglio dei ministri si sia riunito più di venti volte per eleggerne uno.

L’immondizia è stata solo la punta dell’iceberg. L’infrastruttura del Libano è al collasso: c’è scarsità d’acqua e ci sono costanti blocchi dell’elettricità. C’è a malapena un servizio di trasporti pubblici degno di tale nome, non ci sono quasi aree pubbliche verdi. In tutto il paese ci sono accaparramenti della terra. La sanità e l’istruzione sono a livelli disastrosi. Per molti è un posto estremamente brutale.

Il Libano è forse uno dei paesi più capitalisti del globo. Non c’è quasi nulla di pubblico, nulla di socialista rimasto qui, non più. E il capitalismo selvaggio (sempre prescritto dai “partner” occidentali ai loro stati vassalli) in Libano, come dovunque nel mondo, semplicemente non funziona.

Il Libano non produce quasi nulla. Ci sono più libanesi che vivono all’estero di quanti vivano nello stesso Libano e sono le loro rimesse che in qualche modo tengono a galla lo stato. Ci sono anche considerevoli entrate che affluiscono da affari equivoci in Africa Occidentale, in Iraq, ma anche redditi dall’industria bancaria (prevalentemente al servizio del Medio Oriente e degli Stati del Golfo) e dalla droga coltivata nella Valle della Bekaa.

C’è un mucchio di contante nelle tasche e nei conti bancari dei singoli, ma quasi nulla per servizi pubblici elementari. Lamborghini e Ferrari sfrecciano a sera lungo il Cornish [lungomare – n.d.t.] e la marina di Zaitunay Bay fa vergognare la sua omologa di Abu Dhabi. Ma la maggior parte della città è inquinata, fatiscente e disperata.

In mezzo a tali facciate contrastanti siriani disperati chiedono l’elemosina.

Nulla sembra essere sufficiente. Il denaro affluisce e in grosso, misteriose fette semplicemente evapora.

Oggi il paese è totalmente al fallimento. Fonti governative affermano che il debito pubblico del Libano attualmente è pari a circa il 143 per cento del prodotto interno lordo.

Il Libano è diviso su linee settarie: 18 gruppi religiosi. I principali sono cristiani, mussulmani sunniti, mussulmani sciiti e una piccola minoranza drusa. A causa del settarismo a malapena c’è una qualsiasi unità nazionale, o un “progetto nazionale”.

Numerosi manifestanti con i quali ho parlato affermano di averne abbastanza del settarismo e delle divisioni. Vogliono un unico Libano unito e forte. O almeno è questo che dicono.

Ahmed, uno dei dimostranti, un professionista di mezza età di Beirut, ha spiegato: “Non voglio un Libano di cristiani e mussulmani. Voglio un solo Libano, un solo paese, unito!”

Ma pare non esserci alcuna ideologia che unisca realmente questi manifestanti. Quelle che hanno in comune sono solo le rimostranze.

Le rivendicazioni appaiono legittime.

Ma in Libano non si può essere certi di ciò che bolle sotto la superficie. Corrono voci che ciascun gruppo religioso sta ora mandando i suoi combattenti sulle barricate.

Per anni e decenni, interessi politici in competizione tra loro stanno tirando questo minuscolo paese in direzioni diverse.

“Ho visto un tizio che stava manifestando e che era chiaramente un britannico”, mi ha raccontato un diplomatico residente a Beirut che non vuole essere identificato. “Non era un giornalista; era realmente uno dei dimostranti! E non parlava arabo. Ci sono molti personaggi bizzarri nelle proteste.”

Chi è chi e chi sta con chi è spesso estremamente difficile da dire.

La lealtà dei cristiani e prevalentemente nei confronti dell’occidente. I mussulmani sunniti sono stretti alleati degli Stati del Golfo e, indirettamente, dell’occidente. I mussulmani sciiti, compreso Hezbollah, tendono verso l’Iran.

Quasi tutti qui sono d’accordo che Hezbollah è l’unica solida forza sociale del paese. Mira anche a unire il Libano, estendendosi a gruppi non sciiti.

Attualmente Hezbollah è bloccato in un’epica lotta contro l’ISIL, un brutale esercito terrorista che è in origine è stato appoggiato e addestrato dall’occidente, dalla Turchia, in generale dalla NATO. Hezbollah si oppone ai terribili atti di distruzione che sono diffusi dall’occidente e da Israele in tutta la regione. Per tale motivo il nome di Hezbollah è fermamente scolpito nella lista selettiva statunitense dei terroristi.

Il Libano è spremuto da tutte le parti. La guerra civile in Siria alimentata dall’occidente ha già costretto almeno due milioni di siriani ad attraversare il confine e a cercare asilo in questo minuscolo paese. L’ISIL sta continuamente tentando di impossessarsi del territorio nella parte settentrionale del Libano. Mentre Hezbollah sta conducendo la maggior parte della lotta contro l’ISIL, l’esercito e le forze di sicurezza libanesi sono addestrati in occidente. L’Arabia Saudita ha recentemente la fornitura francese di armi al Libano. Israele sta costantemente minacciando un’invasione. Come se non bastasse ci sono stati rinnovati scontri nei campi profughi palestinesi nel Libano meridionale, con diversi morti e molti feriti.

“Quel che vogliamo è liberarci dal settarismo”, ha spiegato Ahmed, in piedi di fronte al muro di cemento eretto per impedire che i dimostranti marcino dentro l’edificio del governo. “Non più cristiani e mussulmani; solo libanesi! E se vinciamo ci sarà decisamente molto più socialismo qui, più riforme sociali, sanità, istruzione e infrastrutture migliori”

Ma questo gruppo può davvero vincere contro un’enorme inerzia capitalista e religiosa?

“E’ ancora difficile immaginare come potremmo vincere”, ammette Ahmed. “Abbiamo bisogno di almeno un milione di persone per cambiare questo paese.”

Ma il numero delle persone arrabbiate e decise sta crescendo costantemente.

“Ne abbiamo avuto abbastanza. Basta!” grida un uomo che porta un sacchetto di plastica pieno di immondizia come simbolo.

Pochi minuti dopo un gruppo di dimostranti mi dice: “E’ pieno di interessi stranieri qui … francesi, gli Stati Uniti, sauditi … abbiamo bisogno di un’indipendenza vera”.

***

Tutti i dimostranti con cui parlo sono stufi, ma pochissimi tra loro sono in grado di vedere una via d’uscita dalla crisi. In Libano non c’è alcuna ideologia e nessun discorso serio di socialismo. L’America Latina non è stata citata nemmeno una volta.

Il gruppo originale di dimostranti è inorridito. Molti di loro si sono recati alla protesta con i loro bambini piccoli sulla schiena e con i nonni al seguito. Pensavano di andare a discutere con il governo. Invece sono stati accolti con cannoni ad acqua, pallottole di gomme e lacrimogeni.

Scontri e tremende ferite sono seguiti. Poi è stato eretto un muro, all’esterno del Grand Serail, solo per essere smantellato il giorno dopo. Il filo spinato è ancora dappertutto nel centro della città. Il selciato è punteggiato di sassi, ci sono vetrine infrante, auto bruciate. Bruciano pneumatici, bloccando le arterie principali della città.

La polizia è onnipresente, a piedi, a bordo dei suoi Humvee e in cima ai carri armati. E lo stesso vale per medici e paramedici, pronti a un’ulteriore intensificazione.

“E’ una prosecuzione della Primavera Araba?” ho chiesto.

“Sì”, mi è stato detto.

Chi c’è dietro questa rivolta?

Tutti, nel luogo della dimostrazione, affermano che la ribellione è assolutamente spontanea, che non ci sono influenze straniere.

“Rivoluzione!” gridano ripetutamente i manifestanti.

“Questa non è come una di quelle rivoluzioni colorate”, mi dicono. Un manifestante si riferisce ai movimenti sostenuti dall’occidente e pagati per attuare i “cambiamenti di regime” in tutto il mondo. “Qui siamo padroni a casa nostra. Vogliamo un Libano unito, libero e migliore!”

Non c’è dubbio che molti manifestanti che oggi si battono nel centro della capitale siano cittadini “veri” e indignati. Ma altri chiaramente non lo sono. La situazione è stata la stessa in quasi tutti i “paesi della Primavera Araba”: desiderio iniziale di riforme e di politiche sociali. Poi è seguita presto l’infiltrazione di diversi gruppi politici (prevalentemente filo-occidentali e filo-sauditi). Dopo un po’ i programmi genuini sono stati sequestrati.

Tutte le ribellioni del mondo arabo sono condannate fin dall’inizio? Finiranno tutte con colpi di stato orchestrati dagli USA e dalla UE, con massacri sanguinari e alla fine con orribili collassi delle nazioni? Lo scenario libico è davvero inevitabile?

Uno dei docenti di spicco dell’American University di Beirut mi ha detto recentemente: “Questa università è dove è stata istruita la maggior parte dei leader degli Stati del Golfo. E quelli che non lo sono stati stanno realmente sognando di poterlo essere”.

Poi uno degli “esperti internazionali” residenti nella regione mi ricorda: “Sono sicuro che lei già sa che i seminari tenuti per gli attivisti per ‘innescare’ la Primavera Araba sono stati tenuti in Libano”.

Lo so. E ciò dice molto. Per molti anni e decenni Beirut ha attirato quelli che volevano assaggiare il “mondo occidentale” senza lasciare il Medio Oriente. E’ qui che è stato disseminato l’indottrinamento e dove sono stati conclusi così tanti accordi equivoci tra l’occidente e i governanti e reggitori locali.

Alcune migliaia di dimostranti nel centro di Beirut sono tenute strettamente sott’occhio. Superfluo dire che ciascuna loro mossa è analizzata e che l’occidente cercherà di volgere gli eventi a proprio vantaggio.

Questo non significa che non si dovrebbe tentare di migliorare il mondo o di lottare per un paese molto migliore. Ma significa che questi pochi dimostranti autentici saranno sempre soverchiati nel numero e che dovranno sempre affrontare i leader della feroce dirigenza capitalista libanese, sostenuta dall’occidente e dagli Stati del Golfo. Dovranno anche affrontare quegli altri “dimostranti” che già sono riusciti a infiltrare questa piccola rivolta e che sono gestiti dai vari interessi politici, locali e stranieri.

Se ciò che sta accadendo ha origini all’estero, allora perché c’è improvvisamente tutta questa corsa ad abbattere il Libano? E’ a causa delle sempre maggiori iniziative diplomatiche russe vincenti per bloccare tutti i conflitti in Medio Oriente? O c’è un piano per circondare quasi interamente la Siria? Hezbollah potrebbe ora essere nella lista dei bersagli dell’occidente?

Di voci ce n’è una quantità mentre le informazioni scarseggiano. Una cosa è certa: se il Libano crolla l’intera regione diventerà di nuovo una colonia.

 

Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha seguito guerre e conflitti in dozzine di paesi. I suoi libri più recenti sono “Exposing Lies of the Empire”  [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism” [Lotta contro l’imperialismo occidentale]. La sua discussione con Noam Chomsky “On Western Terrorism” [Sul terrorismo occidentale]. Point of No Return [Punto di non ritorno] è il suo romanzo politico acclamato dalla critica. Oceania – un libro sull’imperialismo occidentale nel Pacifico meridionale. Il suo libro provocatorio sull’Indonesia: “Indonesia – The Archipelago of Fear” [Indonesia, l’arcipelago della paura]. Andre realizza documentari per teleSUR e Press TV. Dopo aver vissuto per molti anni in America Latina e in Oceania, Vltchek attualmente risiede e lavora in Asia Orientale e in Medio Oriente. Può essere raggiunto sul suo sito web o su Twitter.

 


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Originale: http://www.counterpunch.org/2015/08/28/lebanon-what-if-it-fell/

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