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Sabato, 28 Marzo 2015

Egitto e sauditi verso l’invasione dello Yemen

di Marco Santopadre

 

Gli Stati Uniti di Barack Obama si sono infilati in un nuovo cul de sac in Medio Oriente. Quando avevano deciso di disinnescare lo scontro diretto con Teheran in nome del raggiungimento di un accordo sul programma nucleare con l’Iran, gli Stati Uniti avevano fatto imbestialire da una parte Israele e dall’altra parte l’Arabia Saudita. Entrambe le potenze regionali consideravano e considerano l’Iran il nemico numero 1 nell’area e l’ostacolo principale al raggiungimento dei propri obiettivi egemonici. Anche la Turchia non è rimasta contenta del dietrofront statunitense e insieme a Tel Aviv e Riad nell’ultimo anno ha perseguito sistematicamente il boicottaggio delle strategie della Casa Bianca – vaghe e confuse più che mai – nell’area, in particolare la realizzazione di una coalizione militare contro i fondamentalisti dello Stato Islamico alla quale Turchia e Israele non hanno affatto partecipato, e alla quale i sauditi hanno dato uno scarso contributo nella misura in cui continuano a strumentalizzare i tagliagole di Al Baghdadi per perseguire i propri interessi egemonici nella regione.

Ora, improvvisamente, il tavolo di trattativa con Teheran potrebbe saltare, visto che difficilmente gli iraniani possono accettare che le comunità sciite dello Yemen del Nord possano essere massacrate da un intervento militare guidato dalle potenze dell’asse sunnita – in particolare Arabia Saudita ed Egitto – senza intervenire in qualche modo.

Se il filo della trattativa dovesse spezzarsi Obama e soci si ritroverebbero un Medio Oriente ancora più instabile e destabilizzato da un nuovo conflitto che rischia di far deflagrare per l’ennesima volta il conflitto tra sciiti e sunniti andato già in scena in Siria e Iraq – e parzialmente in Libano – senza però raggiungere l’obiettivo di disinnescare una ascesa anche sul piano nucleare dell’Iran che preoccupa non poco l’establishment di Washington. Di fatto le continue indecisioni e i rapidi quanto inspiegabili cambiamenti di fronte statunitensi non fanno altro che favorire l’ascesa di Riad al ruolo di potenza regionale incontrastata, che pur di perseguire il ritorno al potere dei fantocci messi a guardia dei propri interessi nello Yemen non ha esitato a intervenire militarmente nel vicino Yemen già diviso da una guerra civile a bassa intensità che poteva essere risolta con un passo indietro delle potenze regionali e con una via diplomatica che prevedesse il ristabilimento di eguali diritti tra la maggioranza sunnita e la battagliera minoranza sciita.

L’Arabia Saudita non ha voluto agire da sola, e per dimostrare la propria forza e la propria capacità di leadership ha imbarcato in una pericolosa avventura militare altri nove paesi, di cui alcuni – i suoi partner del Consiglio di Cooperazione del Golfo – hanno già messo a disposizione bombardieri, soldati, mezzi blindati e navi da guerra, contribuendo allo schieramento di un meccanismo militare formidabile: quasi 200 mila uomini, 200 tra caccia e aerei da ricognizione, una consistente pattuglia di navi da guerra e mezzi da sbarco.

Sembrano essere almeno tre gli obiettivi neanche tanto reconditi della cosiddetta operazione ‘Tempesta Decisiva’ scatenata dal regno feudale wahabita: dare uno stop alla parziale ripresa dell’egemonia iraniana dovuta al protagonismo delle forze filogovernative in Libano, Iraq e Siria; riprendersi il controllo di un paese centrale sia dal punto di vista economico che geopolitico, dal quale passano il 40% delle riserve petrolifere di tutto il Medio Oriente; mettere gli Stati Uniti davanti al fatto compiuto obbligandoli a imbarcarsi in una collaborazione tutt’altro che favorevole ai propri interessi e se possibile provocare una rottura tra Casa Bianca e Teheran. Una rottura che c’è in parte stata nei giorni scorsi, quando i soldati iracheni e le milizie sciite irachene e iraniane che combattevano contro i miliziani jihadisti per liberare Tikrit dall’Is hanno dovuto fare a meno del supporto aereo e di intelligence statunitense. Che quando è arrivato, tardivo e incompleto, ha causato il ritiro dall’operazione di alcune unità sciite proprio alla vigilia dell’inizio dei bombardamenti sauditi su alcune postazioni degli Houthi a Sana’a.

Bombardamenti che hanno causato finora la distruzione di numerose postazioni della contraerea dei ribelli sciiti e dei reparti dell’esercito fedeli all’ex presidente Saleh alleati degli Houthi, ma soprattutto la morte di parecchie decine di civili inermi falciati nelle loro case e nelle strade dalle bombe di Riad, compresi alcuni bambini i cui volti martoriati dalle schegge la stampa occidentale si guarda bene dal mostrare.

D’altronde il sistema mediatico occidentale dovrebbe spiegare all’opinione pubblica come è possibile che mentre negli ultimi mesi i fondamentalisti sunniti di Al Qaeda e dello Stato Islamico siano stati descritti come ‘un nemico della civiltà’ e della ‘democrazia occidentale’ tanto da giustificare leggi speciali e una coalizione militare passata all’azione in Iraq e Siria, Ue e Usa sostengono il principale finanziatore e promotore del fondamentalismo jihadista contro gli sciiti che nello Yemen rappresentano – che piaccia o meno – un oggettivo argine all’espansione tanto dell’organizzazione di Al Zawahiri che di quella guidata da Al Baghdadi.

Ora l’avventura militare scatenata da Riad e dai suoi satelliti – Bahrein, Kuwait, Qatar, Emirati e quant’altro – rischia di evolvere verso una invasione di terra che potrebbe avere ripercussioni assai gravi tanto dal punto di vista militare-umanitario che geopolitico. Secondo quanto scrivono varie fonti, i paesi della ‘coalizione dei volenterosi’ il cui intervento è stato chiesto dal presidente yemenita Hadi spodestato dagli Houthi, stanno ammassando navi da guerra e mezzi da sbarco pieni di soldati a poca distanza dalla città di Aden, dove si è rifugiato il governo fantoccio assediato dai ribelli e da dove a Riad e soci sarebbe possibile controllare tutto il traffico nel Mar Rosso e nel Canale di Suez. Anche se dal punto di vista militare la sproporzione tra lo schieramento guidato da Riad e quello a disposizione dei ribelli sciiti del nord del paese è enorme – l’Iran sostiene gli Houthi ma finora in forma abbastanza limitata – nel caso in cui truppe straniere dovessero sbarcare sul suolo yemenita e tentare di marciare verso nord si troverebbero a scontrarsi non solo con migliaia di miliziani di Ansar Hallah, ma anche con le popolazioni sciite del centro-nord. Il blitz a quel punto potrebbe diventare una guerra aperta con migliaia di vittime da entrambe le parti.

Un nuovo elemento di drammatizzazione lo ha introdotto il regime militare egiziano che dopo l’inizio dei raid su Sana’a e altre città yemenite ha schierato apertamente il suo paese al fianco degli alleati sauditi, chiarendo che il Cairo vuole essere un protagonista di primo piano in un riassetto violento del Medio Oriente che proceda a partire dagli interessi delle potenze regionali arabe prima ancora che di quelli di Washington che per ora fa buon viso a cattivo gioco, in attesa di capire come riprendere la situazione in mano (se mai ci riuscirà). E così dopo i bombardamenti e l’intervento dei corpi speciali dell’esercito contro i miliziani islamisti legati ai Fratelli Musulmani e poi allo Stato Islamico in Libia, Al Sisi ha unito le sue forze a quelle delle petromonarchie nei raid sullo Yemen, inviando le proprie navi da guerra verso Aden e promettendo anche la partecipazione ad un intervento di terra che sembra sempre più probabile e vicino.

Per ora la Lega Araba, senza la cui copertura Riad e Il Cairo hanno agito, sembra intenzionata a dare comunque il proprio assenso al ‘ristabilimento della legalità’ nello Yemen. D’altronde per i paesi sunniti del Medio Oriente – così come per Israele – l’Iran e i suoi alleati sono sempre stati ritenuti più pericolosi dell’Isis, e le cancellerie arabe – oltre che quella turca – non ne hanno mai fatto mistero. E’ per questo che Riad è riuscita a coinvolgere anche la Giordania, il Marocco, il Sudan, addirittura il Pakistan, in un’impresa militare che rischia seriamente di ridare fiato allo Stato Islamico non solo in Yemen ma anche a Baghdad e Damasco. Per ora l’unica voce dissonante nel mondo arabo rispetto ad una operazione militare che i media sunniti descrivono con orgoglio nazionalista e guerresco è l’Algeria. Il ministro degli Esteri di Algeri, Ramtane Lamamra, a margine dell’incontro con i ministri degli Esteri dei paesi della Lega araba a Sharm el Sheikh, ha affermato che non è disponibile a partecipare alla guerra santa contro gli sciiti e che anzi è disposta a sostenere il dialogo tra tutte le fazioni yemenite, chiarendo che gli Houthi rappresentano un attore ineliminabile della vita del paese. Ovviamente i governi di Iran, Siria e Iraq hanno condannato l’avventura bellica guidata da sauditi ed egiziani.

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