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30 marzo 2015

 

Anp smentisce il Jerusalem Post: “Porteremo tutti i crimini israeliani all’Aja”

 

La dirigenza palestinese nega la notizia della presunta distensione diplomatica nei confronti di Israele e si dichiara “più determinata che mai” a procedere con la denuncia di Tel Aviv alla Corte Penale Internazionale per l’offensiva a Gaza e per la colonizzazione di Cisgiordania e Gerusalemme est

 

Roma, 30 marzo 2015, Nena News – 

 

“I rapporti della stampa israeliana non sono altro che invenzioni dell’ufficio di Netanyahu: non c’è mai stato un accordo del genere. Il denaro che Netanyahu ha trasferito è denaro palestinese e lui non ci sta facendo un favore”. E’ dura la smentita della dirigenza palestinese alla notizia diffusa ieri dai media israeliani, primo fra tutti il Jerusalem Post, che annunciava la rinuncia, da parte dell’Anp, di denunciare Israele alla Corte Penale Internazionale per la colonizzazione dei Territori occupati in cambio del trasferimento dei proventi delle tasse palestinesi trattenute da Tel Aviv dal gennaio scorso. Alla smentita, data dal quotidiano Haaretz, è seguita una dichiarazione ferma: “Questo mercoledì – ha detto un alto funzionario palestinese al quotidiano israeliano – la Palestina diventerà membro della Corte penale internazionale e il ministro palestinese degli Esteri, Riyad al-Maliki, rappresenterà i palestinesi a L’Aja”. “Ci aspettiamo – ha concluso – che la Corte penale internazionale apra un’inchiesta sugli insediamenti israeliani così come sulla recente guerra di Gaza”.

Ieri il Jerusalem Post aveva diffuso la notizia sul fatto che l’Anp avrebbe trascinato Israele davanti alla Corte penale internazionale per i crimini compiuti la scorsa estate a Gaza, ma non “per la colonizzazione dei territori occupati”. Il motivo? Venerdì scorso Tel Aviv avrebbe deciso di decongelare i proventi delle tasse destinati a Ramallah, milioni di dollari che si era rifiutata di erogare da gennaio, in risposta alla volontà di Ramallah di continuare l’iter penale contro la potenza occupante all’Aja. E così la dirigenza palestinese, stando all’esclusiva del giornale israeliano, non solo avrebbe subito dichiarato che avrebbe continuato la cooperazione sulla sicurezza con Israele, ma avrebbe anche deciso di non perseguire Tel Aviv per la massiccia colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme est.

A monte sta il cambio di strategia del rieletto premier Benjamin Netanyahu che, dopo aver trattenuto i proventi dei dazi delle merci destinate ai territori palestinesi transitate nei porti israeliani, venerdì ha deciso di sbloccare quei quasi 400 milioni di dollari accumulati in ripicca all’adesione dell’Anp alla Corte dell’Aja senza mancare però di sottrarre il più possibile: “Le entrate fiscali – si legge in un comunicato dell’ufficio del primo ministro – che si sono accumulate da febbraio saranno trasferite, dopo che ne saranno stati dedotti i pagamenti per i servizi destinati alla popolazione palestinese, compresa l’energia elettrica, l’acqua e le ricevute ospedaliere”.

La decisione, come recita il comunicato, è stata presa per “ragioni umanitarie e in considerazione degli interessi complessivi di Israele in questo preciso momento”: come riporta il Jerusalem Post, Netanyahu avrebbe spiegato che “dato il deterioramento della situazione in Medio Oriente, si deve agire in modo responsabile e con la dovuta considerazione a fianco di una lotta decisa contro gli elementi estremisti”. Una concessione, insomma, fatta per proteggere la propria popolazione da qualsiasi attacco: gli ufficiali militari israeliani avevano già avvertito che la strategia delle sanzioni economiche contro l’Anp sarebbe stata controproducente e avrebbe potuto portare a una sollevazione della Cisgiordania.

Lo testimoniano le esercitazioni militari organizzate negli ultimi mesi in varie località dei Territori occupati in preparazione a eventuali disordini. Quei 127 milioni mensili di entrate fiscali rappresentano infatti due terzi del budget dell’Anp: senza i 400 milioni trattenuti da Israele, il mese scorso Ramallah è riuscita a pagare solo il 60 per cento degli stipendi del settore pubblico, e questo dopo aver chiesto vari prestiti bancari. Il resto dei dipendenti si è visto decurtare il salario del 40 per cento, mentre come riporta il portaleMiddle East Eye, gli impiegati nella Sicurezza avrebbero cominciato a prendere benzina e generi alimentari a credito per mancanza di liquidi. Per mettere una toppa al malcontento in Cisgiordania mentre portava avanti il suo braccio di ferro con Ramallah, Tel Aviv ha pensato bene di aumentare i permessi di lavoro per i palestinesi in Israele.

Altra conseguenza del “gesto magnanimo” di Tel Aviv sarebbe stata, sempre secondo ilJerusalem Post, la decisione dell’Anp di proseguire con la cooperazione sulla sicurezza con Israele. Nonostante il Consiglio centrale dell’Olp, presieduto da Abu Mazen, all’inizio di marzo avesse deciso di interrompere la cooperazione per il “mancato rispetto da parte di Israele degli accordi siglati tra le due parti”, molti analisti della stampa israeliana avevano previsto che la mossa dell’Olp difficilmente sarebbe stata “drammatica”, almeno non prima della formazione del nuovo governo: le indiscrezioni di funzionari palestinesi anonimi citate dal quotidiano Times of Israel, per esempio, suggerivano che la decisione, come già avvenuto in passato, sarebbe rimasta lettera morta. E così è stato. Perché se Ramallah può permettersi di denunciare Tel Aviv davanti alla comunità internazionale per i suoi bombardamenti su Gaza, la stessa comunità internazionale, che non ha mai messo in dubbio la questione del diritto di Israele alla sicurezza, difficilmente potrebbe capire le ragioni palestinesi di una sua sospensione. Nena News

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