Originale: Ceasefire

http://znetitaly.altervista.org/

1° giugno 2015

 

Il violento  umanitarismo dell’Europa nel  Mediterraneo

di Bridget Anderson e Luke De Noronha

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

L: Nel 2014 3.200 persone hanno perso la vita per attraversare il Mediterraneo.

Considerando le circa 2.000 morti già registrate nel 2015, sembra probabile che in questo anno si superi quel numero. I leader politici europei hanno replicato con l’invito a distruggere le ‘reti dei trafficanti’.  In che modo dovremmo interpretare questa risposta?

B: Mentre questo è  inquadrato come problema di persone che arrivano con i barconi, quello che vediamo nel Mediterraneo è un sintomo di problemi di gran lunga più gravi, problemi radicati nella disuguaglianza e nell’ingiustizia globale, nel capitalismo neo-liberale, nell’escalation delle guerre ai  margini  dell’Europa e alle molteplici crisi negli stati nazione e nei regimi di cittadinanza. Si tratta di più che di sola ‘immigrazione’. Questi sono problemi grossi che sono proprio fuori dall’ambito  dell’attuale mentalità politica. Inquadrarlo come un problema di immigrazione  prima di tutto limita le possibili risposte.

Ma  i decisori politici stanno anche  raccogliendo i frutti del vortice di sentimento nazionalista che è stato in parte seminato dai politici nel tentativo di  deviare   la rabbia popolare per il crollo dell’economia, in modo che il loro spazio di manovra  sia ancora più stretto. Questo tipo di umanitarismo violento è cresciuto in anni recenti – possiamo ripensare al Kossovo, ma prima  quel saccheggio coloniale veniva giustificato sulla base di ‘porre fine alla schiavitù’- infatti era questo il modo in cui il re Leopoldo [del Belgio] giustificava l’invasione del Congo: una missione anti-schiavitù.

 

L: Questa idea di ‘umanitarismo violento’ è interessante.  Sembra riassumere molto bene la perversa replica dell’UE. Lei parla anche di schiavitù, e sembra che la replica militare dell’UE (cioè la sua violenza), sia basata, chiaramente, sul combattere la schiavitù di oggi (cioè l’umanitarismo). Esiste  una gamma di termini che vengono usati sbadatamente in questo dibattito – come: schiavitù, traffico, contrabbando, e bande criminali. Che distinzioni vengono ricavate da questi termini diversi, e dovremmo usarli?

B: Sì, questi termini sono intercambiabili anche se nel linguaggio legale non sono equivalenti – quindi si ipotizza che il contrabbando sia consensuale, e il traffico di esseri umani no, per esempio. Si investono tantissima energia e tempo parlando del motivo per cui nessuna di queste cose è la stessa, su quale è la differenza tra contrabbando di cose e traffico di esseri umani, e così via. E la distinzione può essere importante quando si è in tribunale. Penso però che dovremmo evitare questo tipo di terminologia. E’ facile essere d’accordo che il ‘traffico’ è sbagliato, ma poi scopriamo che tutti intendiamo cose diverse quando usiamo quella parola. Implementa anche una gerarchia di violenza e di  “merito” – e così  gli ‘immigrati clandestini’ non meritano compassione, mentre le vittime del traffico umano la meritano. Il linguaggio è decisamente depoliticizzante, trasforma le persone in   buoni e cattivi  e devia la nostra attenzione dalla violenza strutturale e dal ruolo dello stato.

 

L: E il termine ‘schiavitù’?

B: Negli scorsi due anni abbiamo visto che schiavitù  sta  rimpiazzando il termine “traffico di esseri umani”. Questo ha ottenuto molto seguito  e ci sono molti tipi di persone che normalmente non hanno compassione per i migranti che saltano sul carro dell’anti-schiavitù – prenda, per esempio, Frank Field che sosteneva che si deve assumere una posizione ‘morale’ sull’emigrazione e prendersi prima cura dei nostri poveri, è diventato un sostenitore esplicito del Modern Slavey Act, la Legge antitratta degli esseri umani [approvata nel marzo di quest’anno dal Parlamento inglese, n.d.t.).  La schiavitù ha un potere enorme. Ricorda  il razzismo e, in particolare, la schiavitù al di là dell’Oceano, e, naturalmente, nessuno può essere favorevole alla schiavitù. Ora, però, i leader dell’Unione Europea si stanno accalcando  e dicono che la loro risposta punitiva per il Mediterraneo è in nome dello sradicamento   della schiavitù! Abbiamo scritto una lettera al riguardo che è stata pubblicata sul sito web di Open Democracy.

In maniera ancora più ipocrita, il governo britannico oggi ha annunciato che confischerà i guadagni dei migranti privi di documenti, considerandoli  utili ottenuti  da reati.  In pratica (dato che le persone non hanno conti in banca, percepiscono salari bassi, e che spesso vivono alla giornata),  questo significa frugare  nei loro portafogli e borsellini quando vengono fermati , e prendere il loro denaro. Furto del salario approvato dallo stato. E poi questo stesso governo esprime la sua avversione alla schiavitù.

 

L: So che lei e altri hanno sostenuto che parlare di traffico e di schiavitù offusca il ruolo dei controlli dell’immigrazione nel costringere le persone a fare questi viaggi rischiosi. Nella narrativa prevalente le storie di dominio politico ed economico vengono cancellate,   e lo stato scompare per riapparire soltanto come  gendarme-e-salvatore. Ma questo tipo di replica aggressiva, militarista, alle morti in mare è difficile da comprendere, secondo me. E’ proprio una cosa nuova, non è vero? E modelli analoghi si possono individuare attualmente nell’Asia sud-orientale. Quali sono i collegamenti qui, in termini di  confini  e di più ampio controllo dell’immigrazione? E che c’entrano le barche e il mare? Ci sono tante domande intrecciate, chiedo scusa…

B: Non sono convinta che sia tutto così nuovo….lo stato, in sostanza agiscono  con violenza. Forse è l’elemento militarista che è così sconvolgente? Pensiamo allora ai droni che ora si usano per sorvegliare i confini, le mine di terra che li segnalano, le torri di guardia, le armi. Fanno sembrare i funzionari dell’immigrazione facili da trattare. Naturalmente questo conta, perché il confina ha molto a che fare con lo spettacolo, con l’essere visti mentre si ‘fa qualcosa’.

Gli stati spesso dicono che questo significa inviare un messaggio agli aspiranti migranti, ma sospetto che abbia in gran parte a che fare con l’inviare un messaggio alle loro proprie popolazioni. In questo caso, tuttavia, sospetto che  la forza sia stata aumentata perché c’è realmente preoccupazione sui confini “permeabili” , considerando le guerre ai confini con l’Europa. C’è timore della moltitudine, perché, naturalmente, tutti i confini sono porosi; è semplicemente impossibile tenere tutti fuori tutti, e più persone arrivano, più questo fatto viene rivelato.

Penso che certamente lo spettacolo della violenza sia delicato per gli stati liberali, perché rischia di danneggiare la patina di ordine controllato. Devono essere in grado di minacciare la violenza, ma ogni volta che la usano,  questa  danneggia  la loro reputazione  morale. Notate, tuttavia, che la propongono soltanto per distruggere le bande di trafficanti di esseri umani, cioè, sarà diretta contro i trafficanti cattivi, e sarà solo una sfortuna se altre persone diventeranno ‘danni collaterali’ – ma forse è un prezzo che vale la pena pagare. Anche le immagini delle persone nelle barche che circolano sono in gran parte immagini di uomini africani neri, anche se ci sono tantissimi persone che provengono dall’Iraq, dalla Siria e dalla Palestina, e, naturalmente bambini e donne. Il danno collaterale è ridotto, come sapete, per i Neri. Per non parlare dei circa 20 anni di interventi umanitari  che implicano bombardare la gente, compresa, naturalmente, la Libia.

Il problema del mare è interessante e ci ho pensato nelle due scorse settimane. Penso che in parta abbia a che fare con il problema della sovranità – se non  si è in acque territoriali, allora o si può agire come un pirata oppure ci si può sentire liberi di agire in ‘maniera incivile’. C’è qualcosa che riguarda la civiltà, ma non sono sicura di che cosa si tratti. E, in relazione a questo, sono stata anche colpita, quando salgo  su una barca, di come è organizzata, di come ognuno deve conoscere il proprio posto, essere al posto giusto, sapere chi vi dirà che cosa fare, obbedire senza fare domande ecc., dato che si è in uno spazio limitato e il mare è imprevedibile. Mi chiedo, quindi, che cosa potrebbero dirci gli antropologi circa lo spazio sulle barche, e come la gente vi viene organizzata quando si spostano da una barca a un’ altra  tratta in salvo, e come si mettono in atto l’ordine e la gerarchia.

Riguardo al problema dell’Asia sud-orientale, trovo incredibile che i media ordinari siano in grado di ignorare gli aspetti paralleli  tra ciò che sta accadendo alle Andamane e ciò che accade ora nel Mediterraneo. E sono sicura che lei ha ragione, sono più che paralleli. I paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico – Association of South-East Asian Nations) osservano molto attentamente  in che modo l’UE gestisce l’immigrazione. Quello che succede al largo delle coste dell’Italia e della Grecia legittima l’azione della Thailandia, senza dubbio.

 

L: Con tutto il controllo dei confini è difficile mantenere la fede. Voglio terminare domandandole, ed è una domanda  inquisitoria,  se lei vede spazi di speranza per un futuro con confini meno serrati e  meno  estesi (forse con nessun confine?). Che possibilità c’è per un futuro meno tetro?

B: Dobbiamo sperare, altrimenti siamo alla disperazione. Un motivo per cui ci si sente impotenti è che così tanta attenzione e attività politica viene diretta a livello dello stato-nazione. Ma è questo che in sostanza è quello che bisogna contestare. Naturalmente lo stato-nazione non metterà  tranquillamente fine alla sua esistenza con una legge. E mentre il controllo  dei confini si è intensificato, anche l’opposizione è aumentata.

Non molto tempo fa  proporre i confini aperti o nessun confine, era impensabile. La gente non ne parlava neanche. Ora si può – o almeno è possibile iniziare a immaginarlo. E’ anche sempre più palese che ciò che riguarda i confini è un progetto distopico  e la sua attuazione rivela l’orribile violenza dello stato. E succedono tante cose a livello locale e anche di città. Alcune persone  non applicano regole quando viene loro richiesto, altri offrono sostegno e (qui secondo me risiede la speranza) e cercano la solidarietà e la causa comune con i migranti.

Penso che riconoscere che i ‘migranti’ e i cittadini non sono in competizione per ottenere i magri privilegi dell’appartenenza, è il settore in cui  si sta facendo l’opera più eccitante. E la posizione dei  migranti dell’UE offre un importante potenziale per farlo. Infine, penso che mettere  l’immigrazione al centro  di lotte locali dove non è considerata come un problema, è realmente fondamentale, come per esempio una lotta sugli alloggi su una proprietà fondiaria ‘britannica’. Pensare che cosa significa la migrazione per le soluzioni e  le strade da percorrere, è fondamentale, perché se non ci pensiamo all’inizio, sarà poi introdotto come un mezzo per minare il coordinamento e per immaginare nuovi futuri in seguito.

 


Luke de Noronha è dottorando in Antropologia all’Università di Oxford (COMPAS)

[Centro per la migrazione, la politica e la società.

La sua ricerca esplora l’ espulsione degli ex-criminali dal Regno Unito a Giamaica. E’ su Twitter@LikeEdeNoronha.


Bridget Anderson è docente di Migrazione e Cittadinanza Vice direttore del COMPAS all’Università di Oxford. Si interessa particolarmente di cittadinanza, nazionalismo, attuazione dell’immigrazione (compreso il ‘traffico di esseri umani’), e il lavoro pagato poco, e di migrazione e stato. Ha lavorato a stretto contatto con le organizzazioni dei migranti, con i sindacati e gli avvocati, a livello locale, nazionale e internazionale.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/europes-violent-humanitarianism-in-the-mediterranean/

top