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Aprile 23, 2015

 

«L’Eritrea è un inferno, l’Onu è inutile e non ci aiuta. I trafficanti sono la nostra unica possibilità»

di Leone Grotti

 

Un servizio del Guardian sui profughi eritrei spiega bene perché i migranti non smetteranno mai di accalcarsi sulle sponde libiche: «Se muoio in mare, almeno non sarò torturata»

 

Fino a quando ci saranno persone che condividono la stessa esperienza di Sofia, i migranti non smetteranno mai di accalcarsi sulle coste libiche per tentare la traversata del Mar Mediterraneo verso le coste europee: «Io ho due scelte: una è morire, l’altra vivere. Se muoio in mare, non è un problema: almeno non verrò torturata».

 

«VOGLIO ESSERE UMANA». Sofia viene dall’Eritrea, ha diritto all’asilo politico ed è una delle poche fortunate ad essere riuscita a fuggire dal regime africano per stabilizzarsi al Cairo, in Egitto. Ma anche se ha evitato un viaggio disperato su un barcone, la sua vita è un inferno: «Qui rischio di essere deportata. Se ti vuoi registrare come rifugiato con l’agenzia dell’Onu (Unhcr), ti danno un appuntamento per il 2017. Ma chi può permettersi di aspettare così tanto?», spiega al Guardian. «Meglio tentare la traversata. Qui non hai un destino: non puoi avere un’educazione (l’accesso alle scuole è vietato, ndr), non puoi avere un lavoro, non puoi aiutare la tua famiglia. Ogni giorno non fai altro che chiedere aiuto. Ma se vai in Europa almeno, a un certo punto nel futuro, avrai una nazionalità e sarai un essere umano».

 

«SE NESSUNO CI AIUTA». Un altro migrante, Bayin Keflemekal, spiega: «Noi non vogliamo salire sulle barche. Se il governo libico o l’Onu ci aiutassero, tenteremmo qualcos’altro. Ma se il governo non ci aiuta, l’Onu non ci aiuta, se nessuno ci aiuta, i trafficanti sono la nostra unica possibilità. Siamo come sospesi nell’aria».

 

REGIME ERITREO. Il secondo gruppo più consistente di migranti è rappresentano dagli eritrei. Se solo l’anno scorso quasi in 40 mila hanno chiesto asilo politico, ma quelli scappati dal regime sono molti di più, c’è un motivo. Racconta ancora Sofia: «In Eritrea hai paura anche di parlare con la tua famiglia. La persona di fianco a te al bar potrebbe essere una spia che controlla quello che fai. La gente scompare nel nulla ogni giorno». Come una sua amica, che cominciò a parlare in un bar con un uomo, che poi si rivelò essere un membro dell’ambasciata libica: «Stavano solo chiacchierando del più e del meno. Ma hanno detto che la mia amica era una spia e gli stava passando informazioni. Non sappiamo cosa le sia successo. Oggi è ancora in carcere. Un giorno mi hanno detto che era stata ricoverata in ospedale con la pressione alta ma avevo così paura di essere arrestata, che non sono andata a visitarla».

 

«TUTTI SCAPPANO VIA». In quanto a repressione, nel mondo solo la Corea del Nord batte l’Eritrea. Lo Stato dell’Africa orientale è guidato dal presidente Isaias Afewerki, che governa da quando Asmara ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993. La repressione è costante, il regime di polizia onnipervasivo. Spiega Elsa Chyrum, attivista eritrea: «Non c’è libertà di parola, non c’è libertà di espressione, non c’è libertà religiosa. Abbiamo più di 300 carceri nel paese e la gente non ha niente da mangiare». La leva militare può durare per un periodo indefinito e c’è chi ha passato più di 30 anni in caserma. «Ci sono figli che non hanno mai conosciuto i loro padri, rapiti dallo Stato con la coscrizione a vita. Intere famiglie sono spezzate. Persino chiedere la carità è proibito. E allora cosa fanno i bambini, che non vogliono fare una vita da miserabili come i loro padri? Scappano via. Tutti scappano via. Qualcuno si stupisce?».