http://comune-info.net/

22 settembre 2015

 

Migrazioni mediatiche

di Fulvio Vassallo

Paleologo Univ. Palermo

 

Gli obiettivi Ue? Scaricare le responsabilità delle stragi in mare sugli scafisti, distinguere i "migranti economici" dai profughi, eliminare le norme che vietano i respingimenti collettivi verso paesi che non garantiscono i diritti delle persone

 

Con una cadenza sempre più fitta si susseguono a Bruxelles le riunioni della Commissione, del Consiglio dei ministri dell’interno e del Consiglio dell’Unione europea sulle tante questioni ancora irrisolte dopo la proposizione di una Agenda sulle migrazioni il 13 maggio.

Martedì 22 settembre, ennesimo vertice dei ministri dell’interno dell’Unione Europea: si discute di quote di redistribuzione ma si trova un accordo solo sulle decisioni di sbarramento, come l’adozione obbligata di una lista di paesi terzi sicuri verso i quali respingere i migranti anche se presentano una richiesta di asilo. Tra questi “paei terzi sicuri” ve ne potrebbero essere molti, sulla scorta di analoghe liste già adottate da vari paesi europei, come la Nigeria, nei quali non è garantito, soprattutto alle donne, il pieno rispetto dei diritti, a partire dal diritto alla vita ed alla libertà personale.

Si prosegue poi nella direzione del Processo di Khartoum, per semplificare i rimpatri forzati venendo a patti con paesi che sono governati da regimi militari di chiaro stampo dittatoriale, anche quando sono legittimati da elezioni farsa.

 

Ciascun paese deve dimostrare rigore nella lotta alle organizzazioni criminali che gstiscono il traffico. Ma spesso si tratta solo di un rigore mediatico, o di operazioni che riescono ad arerstare solo gli scafisti “a perdere”, come le imbarcazioni, generalmente molto giovani, se non addirittura minorenni, senza arrecare nessun danno alle organizzazioni di trafficanti ramificate ormai in diversi paesi. Ad ogni strage segue puntualmente la notizia dell’arresto dei presunti scafisti e l’impegno a rinforzare le attività di contrasto di quella che viene ancora definita come “immigrazione illegale” anche se oltre l’ottanta per cento delle persone che sbarcano sono profughi, che si lasciano alle spalle morte, guerre e torture, subite anche nei paesi di transito come la Libia.

È ormai in atto una precisa stragegia comunicativa di Frontex e di altre agenzie di sicurezza che tendono a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle responsabilità delle stragi in mare, dovute spesso alla scarsa presenza di mezzi di ricerca e salvataggio, verso la lotta agli scafisti, perchè di trafficanti veri e propri, tra i tanti arrestati in questi mesi, non se ne contano molti. Altro obiettivo comunicativo di Frontex, anche per giustificare la sua missione operativa, è distinguere i “migranti economici” dai profughi o rifugiati (sulla funzione sociale della classificazione dei migranti ragiona, tra gli altri, il sociologo spagnolo Albert Sales in Refugiats sí, immigrants no… La funció social de classificar els moviments migratòri).

Intanto, aumentano gli agenti di Frontex a terra e diminuisce la presenza dell’Agenzia nelle operazioni di soccorso in mare. Nelle ultime settimane la presenza dei mezzi di Frontex/Triton nelle acque antistanti la Libia si è infatti ulteriormente rarefatta, anche se hanno fatto la loro comparsa navi militari appartenenti a stati dell’Unione europea, come la Sclheswig-Holstein, che non si comprende bene se operino all’interno del dispositivo Triton, o facciano parte invece dell’operazione Eunavfor Med, oppure ancora se siano state inviate dai rispettivi governi, in proprio, per garantire sicurezza alle rotte commerciali che passano vicino alla costa libica. Naturalmente nessuno scrive delle violenze che tutti i migranti subiscono in Libia.

Anche l’Italia ha da tempo una operazione in corso, denominata Mare Sicuro che interviene con mezzi militari anche in operazioni di ricerca e salvataggio coordinate dal Comando centrale del Corpo delle Capitanerie di Porto. Ed anche l’operazione Eunavfor Med è a guida italiana.

Dopo gli sbarchi, nelle ultime settimane, e probabilmente a bordo delle navi militari, si è fortemente intensificata la presenza di agenti Frontex (chiaramente identificabili per i segni identificativi che portano addosso). Ufficialmente gli agenti di Frontex e di Eunavfor Med dovrebbero raccogliere dati, stanno procedendo a schedature di massa. Saranno presto in discussione i nuovi limiti di protezione dei dati personali rispetto alle indagini in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare. Una presenza discreta, senza interventi diretta nelle operazioni di assistenza a terra o di identificazione dei migranti, ma con un controllo totale di tutto quello che avviene sulle banchine. Frontex elabora così studi e “analisi dei rischi” mentre il vero obiettivo è smantellare quel consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo che vieta i respingimenti collettivi verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali delle persone. Un macigno sui percorsi che l’Unione europea e le sue agenzie operative vorrebbero imboccare per rendere possibile un maggior numero di respingimenti e di rimpatri, oggi sanzionabili in base alle decisioni di quella Corte sui casi Hirsi/Italia, Sharifi/Italia e Grecia, Khlaifia/Italia.

Una presenza altrettanto discreta, ma più operativa si riscontra all’interno dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione, dove pattuglie di Frontex collaborano con le autorità di polizia italiana nelle operazioni di respingimento o di espulsione attuate con i cosiddetti voli congiunti, finanziati dall’Agenzia stessa, che permettono il rimpatrio sommario di decine di migranti provenienti da paesi con i quali i singoli stati, o Frontex, abbiano stipulato accordi di riammissione ed accordi operativi sulle modalità nelle quali effettuare i rimpatri.

Gli ultimi rimpatri, è il caso più grave e più recente, si sono verificati il 17 settembre dal Cie di Roma (Ponte Galeria) dal quale una ventina di ragazze nigeriane sono state trasferite in aeroporto, sotto una forte scorta militare, e quindi rimpatriate a Lagos, malgrado fossero già arrivate e continiassero ad arrivare, proprio durante l’imbarco a bordo dell’aereo Meridiana noleggiato da Frontex, altre pronunce di sospensiva adottate dal Tribunale di Roma (qui un articolo di Connessioni precarie, L’Ungheria a casa nostra. Sulla deportazione annunciata di 66 donne nigeriane).

Nella maggior parte dei casi si trattava di ragazze soccorse in mare e sbarcate a luglio nell’isola di Lampedusa, che avevano presentato una richiesta di asilo che la Commissione territoriale di Roma aveva respinto, malgrado i rischi evidenti che avrebbero poruto correre al momento del rimpatrio.

L’Italia avrebbe così dimostrato, come auspicato dal ministro dell’interno Alfano, che i rimpatri li sa fare, quando l’Unione europea contribuisce con i suoi fondi e il suo personale. Adesso tutto sembra pronto per l’apertura degli Hot Spot, nei quali dovrebbero essere identificati nell’immediatezza dello sbarco i migranti economici da separare (ed espellere) rispetto ai richiedenti asilo ed ai profughi da inviare nelle strutture di accoglienza. Ma senza linee chiare su come garantire i diritti fondamentali negli Hot Spot, e senza sapere neppure dove andare a rinchiudere i cosiddetti migranti economici che potrebbero essere così individuati, perchè di certo non è pensabile una riapertura dei Cie o una loro proliferazione in ogni luogo di sbarco, non si comprende come l’Italia potrà garantire le pratiche di selezione e di respingimento richieste dall’Unione europea in cambio di una modesta quota di richiedenti asilo da rilocare in altri paesi. A meno di non cambiare soltanto i nomi, come si sta facendo già adesso e rinominare Hot Spot i vecchi Cpsa (Centri di primo soccorso ed accoglienza) già esistenti a Lampedusa ed a Pozzallo (Ragusa).

Nomi nuovi per strutture vecchie che da anni sono segnalate per i tempi prolungati di trattenimento amministrativo, in assenza delle garanzie previste dalla legge, per tutti, in materia di libertà personale, senza diritti effettivi di difesa e senza possibilità di una imemdiata formalizzazione delle richieste di protezione. Strutture all’interno delle quali vengono fatte entrare le autorità consolari a scopo di identificazione, e nelle quuali si è recentemente aggiunta una presenza costante di agenti di Frontex, con una postazione fissa all’interno del Cpsa di Pozzallo.

In questo modo il governo italiano spera che l’Unione europea renda effettiva la promessa di una ridisclocazione di 20.000 migranti giunti nei mesi scorsi, a partire dal 15 aprile 2015, verso altri paesi europei, e sembrerebbe che per un primo pacchetto di 4.000 persone ci siano già i piani di viaggio pronti. Ma 4.000 persone arrivano in un solo giorno in Sicilia, e non si vede ancora come l’Unione europea e i singoli stati riescano a garantire quel rapporto equilibrato tra “responsabilità” e “accoglienza” che è alla base del Piano europeo sull’immigrazione adottato dalla Commissione europea il 13 maggio. Un Piano sul quale il Parlamento europeo non è mai stato chiamato a decidere, come lo stesso Parlamento rimane ormai escluso dalle scelte più importanti relative alle politiche di contollo delle frontiere, rimesse a gruppi ristretti come il Coreper, Comitato permanente dei rappresentanti degli stati membri, e le varie task force di esperti nominate dalla Commissione europea o direttamente da Frontex. Rimangono solo le fotografie a dare conto all’opinione pubblica dei costi umani e della impraticabilità concreta delle scelte adottate dall’Unione europea in materia di immigrazione ed asilo.

Resta dunque cruciale stabilire il rispetto delle garanzie fondamentali dei diritti delle persone, dal momento del primo soccorso in mare fino all’avvio verso centri di accoglienza che garantiscano standard dignitosi in linea con le prscrizioni europee. E a fronte dei risultati nulli in termini di contrasto di quella che si continua a definire come “immigrazione illegale”, con la conseguente moblità secondaria dall’Italia verso altri paesi europei, appare realistica e praticabile la proposta di aprire corridoi umanitari, sia dalle aree di maggior crisi verso l’Unione europea (e non solo), sia all’interno della stessa Ue, prima che logica dei muri e della fortificazione delle frontiere interne faccia altre vittime.

top