Fonte: Land Destroyer.blogspot.it

http://www.controinformazione.info/

22 Sett 2015

 

Ingegneria sociale: come creare ad arte una Crisi dei Rifugiati

di Tony Cartalucci

ricercatore e scrittore di geopolitica per la rivista online “New Eastern Outlook”

Traduzione di Eduardo Garcia Torres

 

All’inizio del 2007, gli Stati Uniti si trovavano già in una fase decisionale per pianificare il rovesciamento e la distruzione di tutto l’ordinamento imperante nella regione del Medio Oriente e del nord dell’Africa (MENA).

Attraverso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e la “National Endowment for Democracy” (NED), molti agitatori politici sono letteralmente volati a New York ed a Washington, così come in altri luoghi intorno al mondo, per ricevere addestramento, equipaggiamento e finaziamenti prima di ritornare ai propri paesi d’origine e cercare di rovesciare i rispettivi governi dell’area di provenienza ( Medio Oriente e Nord Africa).

 

Questo è stato detto chiaramente in un articolo del 2007, pubblicato sul New York Times dal giornalista e Premio Pulitzer, Seymour Hersh: gli Stati Uniti hanno aiutato vari gruppi a fomentare insurrezioni nei paesi arabi”. In questo articolo venivano descritti i sistemi e le forme di addestramento che ricevevano gli agitatori reclutati dal Dipartimento di Stato.

 

Gli organismi come la NED ed altri istituti che sono stati parte del programma, sono liberamente affiliati con i partiti Democratico e Republicano. Furono creati dal Congresso e si finanziano attraverso la “Fondazione Nazionale per la Democrazia”, un istituto che si creò nel 1983 per “promuovere la democrazia” nei paesi in via di sviluppo. La Fondazione riceve circa 100 milioni id dollari ogni anno dal Congresso. La Freedom House riceve anche questa la maggior parte del suo denaro dal governo statunitense, principalmente dal Dipartimento di Stato.

Risulta chiaro che la copertura politica della “primavera araba” ed il premeditato appoggio ai gruppi terroristi come Al Qaeda, avvenuti in seguito, sono stati pianificati alcuni anni prima delle “primavere arabe” che si sono sviluppate nel 2011. L’obiettivo era, senza alcun dubbio, quello di rovesciare i governi che ostruivano gli interessi di Washington e di Wall Street e le ambizioni egemoniche come parte di un programma più vasto di isolare, accerchiare la Rusia e la Cina.

La distruzione dei paesi del Medio Oriente è stata quindi un fatto intenzionale, premeditato e continua fino al giorno d’oggi.

 

Come si blocca l’ondata di cambio di regime

Fin dal 2011 tutte le “rivoluzioni colorate” appoggiate dagli USA e dall’ Occidente hanno sbocco nella creazione di un esercito di terroristi sostenuti dall’estero per cercar di dividere e distruggere ogni nazione. In Libia questo obiettivo è stato già raggiunto da molto tempo. In Egitto ed in Siria, con diversi gradi di fallimento, il programma è semi fallito. In Egitto, per la dimensione del paese e, grazie alle capacità e la forza del suo Esercito, di fatto si è impedito il sorgere di una guerra civile.

In Siria, di fronte all’invasione, tanto dalla Turchia e dalla Giordania, la violenza si è sviluppata in modo molto più drammatico e duraturo. Tuttavia, nonostante l’euforia sorta in tutto l’Occidente che aveva sospinto l’insidiosa cospirazione nella regione, la capacità della Siria per resistere al potere delle forze mercenarie sostenute dall’Occidente ha fino ad ora bloccato l’intervento ed interrotto questa ondata di cambiamento di regimi.

Gli USA ed il senatore repubblicano McCain, il quale ha letteralmente posato per le foto con i leaders terorristi in Libia ed in Siria, compreso quello che è adesso il leader dello Stato Islamico (ISIS) in Libia, Abdul Hakim Belhaj, al verificarsi della primavera araba, prematuramente si era preso gioco di Mosca e di Pekino minacciando di portare il caos orchestrato dagli USA direttamente nelle loro regioni. Questo basta per dire che Mosca e Pekino non solo erano pronte per afforntare i tentativi di destabilizzazione, ma si preparavano a respingerli prima che arrivassero a tanto come a minacciare le loro frontiere.

In un momento in cui si è bloccato il processo, gli USA ed i loro alleati regionali hanno cercato di giustificare un intervento militare diretto in Siria in un primo tempo come lo svolsero in Libia, dichiarando che si cercava di “evitare un disastro umanitario” e prestare assistenza ai “combattenti della libertà”. Tuttavia con i crimini commessi dagli USA e dalla NATO in Libia ancora freschi nella mente dell’opinione pubblica mondiale, questa narrativa diventa totalmente insostenibile.

 

E adesso avanti all’ondata di profughi

Mentre oscilla quest’ultimo tentativo di giustificare una spinta finale per il cambio di regime in Siria, e mentre le potenze europee cominciano ad interrogarsi sull’opportunità o meno di intervenire ulteriormente in Siria a fianco degli Stati Uniti, ecco che inizia ad affluire sull’Europa un diluvio di rifugiati, come se tutti avessero ricevuto un segnale. In modo simile che alla scena di un film, ecco apparire orde di rifugiati laceri ammassati lungo le varie frontiere. Come hanno riferito vari media occidentali, sembravano essere sbucati fuori dal nulla, come da una nuvola di fumo. In realtà, non sono affatto sbucati dal nulla. Sono apparsi in Turchia, membro della NATO dagli anni ’50 e uno tra i più fedeli paesi alleati degli Stati Uniti. La Turchia, attualmente, sta ospitando i militari statunitensi, incluse le forze speciali e la CIA che, insieme ai militari e alle agenzie di intelligence turche, conducono dal 2011 una guerra per procura nella vicina Siria.

La Turchia ha adottato entusiasticamente e in modo sospetto una politica di ‘porte aperte’ ai rifugiati, spendendo ingenti somme di denaro e di capitale politico per accoglierli. La ‘Brookings Institution’ – uno dei maggiori think-tank politici che hanno architettato la guerra in Siria – nel suo articolo di luglio 2015 – “Dal Caos all’ Ordine – “Il significato per i rifugiati siriani della politica ‘porte aperte’ della Turchia,” scriveva:

Oggi la Turchia è il paese che riceve il più alto numero mondiale di rifugiati. Dall’Ottobre del 2013, il numero dei profughi siriani si è più che triplicato, raggiungendo quasi due milioni di registrati.

Brookings scrive anche:

Il prezzo per la Turchia è stato altissimo. I funzionari governativi si sono affrettati a far sapere al mondo di aver speso più di 6 miliardi di dollari per i rifugiati e lamentano la mancanza di un adeguato sostegno internazionale.

Brookings ha descritto in dettaglio gli sforzi compiuti dalla Turchia, in coordinamento con le ONG occidentali, per gestire l’ondata umana. Avrebbe poco senso se questi rifugiati all’improvviso scomparissero e finissero in Europa all’insaputa del governo Turco e soprattutto di quelli Europei, o senza un loro diretto coinvolgimento.

 

Pedine di guerra

E’ chiaro che dietro alla politica per i rifugiati della Turchia, non c’è una vera motivazione altruistica. La Turchia è uno dei principali incubatori di terroristi che operano in Siria, e un importante collaboratore nella guerra per procura della NATO contro il suo vicino di casa. La Turchia ha permesso ogni giorno a centinaia di camion carichi di rifornimenti di attraversare indisturbati i suoi confini e raggiungere i territori controllati da ISI.

La Turchia è stata anche incaricata, attraverso diversi documenti politici statunitensi, di creare una “zona cuscinetto” e un “porto sicuro” per l’accoglienza dei rifugiati, e di costituire in territorio siriano una ‘fortezza’ per i terroristi pilotati dalla NATO, da cui poter lanciare le varie operazioni militari. Probabilmente, i profughi dovevano servire come popolazione iniziale di un qualsiasi nuovo stato che la NATO avesse costituito con i territori sequestrati nella Siria settentrionale, dove avrebbe anche stabilito delle no-fly zones.

Ora pare che molti di questi rifugiati siano invece stati reindirizzati verso l’Europa. Tuttavia, non tutti i profughi che dalla Turchia si riversano in Europa sono collegati al conflitto siriano. Molti sono in transito in Turchia da altri teatri bellici sempre pilotati dalla NATO, come Afghanistan, Pakistan e Iraq. La Turchia sembra stia fungendo da punto centrale di transito non solo come centro di smistamento dei terroristi destinati al conflitto siriano, ma anche per raccogliere i rifugiati proveniente da tutta l’area MENA e dall’Asia Centrale, per poi convogliarli in gran numero verso i paesi dell’Europa. Alcuni rapporti indicano anche che i rifugiati stanno ricevendo assistenza direttamente dal Governo Turco.

Il documento Greek Kathimerini dell’International New York Times, in un articolo intitolato “L’ondata dei profughi è legata alle nuove politiche della Turchia,” dice così:

Secondo fonti diplomatiche, il forte aumento nell’afflusso dei migranti in Grecia, per lo più provenienti dalla Siria, è dovuto in parte ad un cambiamento nelle strategie geopolitiche della Turchia.

Secondo questi funzionari, esiste un collegamento tra l’ondata dei migranti nell’Egeo orientale e le pressioni politiche in Turchia che si prepara alle elezioni anticipate in novembre, e con una recente decisione di Ankara di collaborare con gli Stati Uniti nel bombardamento di obbiettivi governativi in Siria. L’analisi di diversi funzionari indica che l’afflusso dei profughi in Turchia si sta verificando come se il governo Turco facesse finta di niente o se lo stesse addirittura incoraggiando.

Catastrofi come queste, che a prima vista possono sembrare “improvvise” e “inattese” – e anche “inarrestabili” – in realtà vengono incoraggiate nel quadro di uno scenario operativo totalmente controllato dagli Stati Uniti e dalla NATO, costituendo quindi una reale cospirazione che contrappone profughi disperati e/o appositamente sfruttati provenienti dalla Turchia, a un pubblico europeo manipolato, timoroso e male informato.

Lo stesso vale per tutta quella serie di attacchi programmati in vari paesi Europei – attribuiti ad ISIS. In tutti i casi avvenuti, senza alcuna eccezione, gli autori erano già noti alle agenzia d’intelligence occidentali, come nel caso del massacro del Charlie Hebdo. Tutti gli individui coinvolti erano stati monitorati per quasi dieci anni dall’agenzia di sicurezza francese. Uno di loro, che è stato arrestato, durante il periodo di sorveglianza aveva anche viaggiato all’estero, divenendo complice di al Qaeda, ed era tranquillamente tornato in Francia. E neanche a farlo apposta, le agenzie d’intelligence francesi avevano interrotto solo sei mesi prima la loro sorveglianza a causa di “mancanza di risorse”.

Quelli a cui è familiare il programma ‘Gladio’ della NATO degli anni della Guerra Fredda, comprendono facilmente che si è trattato di attacchi pianificati, nel quadro di una strategia della tensione intesa a creare paura e timore all’interno del paese e raccogliere consenso per le guerre all’estero.

La recente crisi dei rifugiati viene utilizzata allo stesso scopo. Infatti, mentre i mezzi stampa occidentali alimentano un falso dibattito tra vari personaggi politici sull’accettare o rifiutare incondizionatamente i profughi, l’unico argomento su cui si cerca di creare accordo tra le due ‘correnti’ è che la responsabilità del problema risiede nell’ instabilità di tutta l’area Medioorientale e che quindi si renderanno necessari ulteriori bombardamenti…

Gli attuali dibattiti sull’opportunità di un intervento militare diretto in Siria ormai non riguardano più il ‘ sostegno ai combattenti per la libertà” o il “fermare gli WMD” o la “lotta contro ISIS”; ma solo “un intervento militare che può aiutare a risolvere la “crisi dei rifugiati”.

I titoli dei maggiori mezzi di stampa occidentali non fanno alcun cenno al ruolo che l’Occidente ha avuto nella distruzione dell’area del M.O., e neanche al fatto che questa crisi trae origine dall’interno della NATO e non tanto dall’esterno. I rifugiati non sono che pedine, volutamente spostate da una parte all’altra della scacchiera per provocare una prevedibile reazione da parte dei loro avversari del tutto impreparati – il pubblico europeo. Mentre gli ingegneri sociali sono impegnati in una partita a scacchi tridimensionale, il pubblico occidentale sembra un bambino che si mette in bocca le pedine.

Considerando questa triste realtà, qualunque sia la giustificazione che l’Occidente darà alla crisi dei profughi, dovrà in ogni caso affrontare da solo il problema Siria e dei suoi alleati – con un pubblico europeo disperatamente indifeso di fronte ad una cospirazione di cui esso stesso si è reso complice.

 

Ingegneria sociale v.s l’inevitabile declino di un impero

Una crisi di rifugiati era inevitabile, indipendentemente dalla tempistica e dall’entità di qualsiasi ‘diluvio’ manipolato o fabbricato dall’Occidente. Distruggendo il pianeta per creare un impero, saccheggiando nazioni e depredando le ricchezze del mondo, inevitabilmente si provocano flussi infiniti di vittime defraudate alla ricerca della tana dei ‘ladri’. Mentre si espande un impero, e con esso il numero delle sue vittime, al numero di quelli che l’impero è in grado di assimilare al suo interno si contrappone il numero di quelli che invece ne restano sopraffatti. E alla fine dei conti, la bilancia pende sempre dalla parte di questi ultimi.

Fu proprio questo il destino dell’Impero Romano, che nel corso del suo declino, vide le sue istituzioni sopraffatte dai popoli che aveva conquistato più velocemente di quanto esse riuscissero ad assimilarli.

Tornando all’Occidente, esso ha preferito lo scontro alla cooperazione. Ha tagliato i suoi legami commerciali con la Russia, ha allontanato la Cina e continua a partecipare a guerre interminabili in tutta le regione MENA e in Asia Centrale. Si è lanciato in una pericolosa campagna di ‘dividit et impera’ nel Sud-Est Asiatico, condita da terrorismo e disordini politici, dimenticando tutte le virtù che lo resero all’inizio un potere mondiale di tutto rispetto.

Difficile dire quanto della recente crisi dei profughi sia da attribuire ad un’ ingegneria sociale e quanto all’inevitabile conseguenza di un impero in declino – anche se, il fatto che degli ‘ingegneri sociali’ siano stati tentati dallo sfruttare un gran numero di rifugiati creati dalle loro stesse politiche estere, è indicativo di un profondo e irreversibile declino geopolitico.

 

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