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13 giugno 2015

 

Migranti in trappola

di Fulvio Vassallo

Paleologo all’Università di Palermo.

 

Il racconto di quanto accade in questi giorni a migranti e profughi è avvolto da una totale mistificazione dei fatti. I grandi media sostengono che le responsabilità della gravisima crisi umanitaria nelle città italiane siano conseguenza delle tante organizzazioni criminali che spingerebbero verso le città del nord i profughi sbarcati in Sicilia. E dove non si citano gli scafisti di terra arrivano gli allarmi sanitari, come se la scabbia fosse più grave della peste, e non invece una patologia risolvibile con estrema facilità. Si nasconde che quelle persone arrivano nelle città italiane non sui pulmini degli scafisti di terra, ma sugli autobus finanziati e organizzati dalle prefetture su decisioni di riparto assunte dal ministero dell’interno.

C’è semmai da chiedersi chi sta decidendo e che cosa all’interno del Tavolo nazionale di coordinamento attivato dal ministero dell’interno, e che ruolo hanno, se e quando si riuniscono, i Tavoli regionali sull’immigrazione. Esiste un raccordo tra la programmazione nazionale dei trasferimenti dei migranti appena sbarcati e i piani di distribuzione adottati dalle Regioni con i tavoli regionali? In Toscana, per esempio, esiste una capacità organizzativa che in altre regioni come la Sicilia è del tutto assente. L’Asgi Sicilia (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) aveva chiesto il confronto e la convocazione del tavolo regionale già due anni fa, ma le poche riunioni sono state solo una comparsata degli attori istituzionali. Qui a decidere sono solo Prefetti e Questori.

Vorremmo capire adesso che ruolo hanno avuto i componenti di questi tavoli, frequentati anche da Luca Odevaine, sui casi oggetti dello scandalo Mafia Capitale, e che ruolo possono avere oggi questi “Tavoli” nella programmazione del movimento dei richiedenti asilo su base nazionale. Domande sulle quali dovrà dare risposte molto precise, al termine dei suoi lavori, la Commissione di inchiesta sui centri per stranieri, dunque non solo sui Cie, che è stata nominata dalla Camera lo scorso anno.

Evidentemente chi oggi dispone le partenze degli autobus dei porti siciliani verso nord non ha la minima idea su dove andare a “scaricare” i profughi, che lasciati allo sbando e senza informazioni, non hanno altra alternativa che bivaccare nelle stazioni ferroviarie. Un caos organizzativo che risale proprio ai tempi di Maroni al governo. Nessuno ammette che si sta affrontando ancora una volta, con misure violente di polizia, come gli sgomberi della stazione Tiburtina a Roma, e le identificazioni forzate nei porti, una emergenza umanitaria che è frutto di ciniche scelte (o non scelte) politiche di chi governa l’Ue e i principali stati che ne condizionano le politiche. Si arriva persino alle ronde davanti i centri di accoglienza.

Va detto che il blocco dei migranti nelle città italiane, e gli accampamenti che ne sono derivati, sono conseguenza diretta e immediata del blocco delle frontiere imposto dalla Germania con la sospensione del Regolamento Schengen 562/2006, deciso unilateralmente in vista del vertice G7. Altri blocchi sono stati operati in tempi diversi dalla Francia alla frontiera di Ventimiglia, in alcune occasioni anche in violazione degli obblighi di informazione preventiva che incombe sugli stati che ritengono di sospendere il regime di libera circolazione alle frontiere interne dell’Unione Europea.

Per mesi decine di migliaia di migranti erano andati via dall’Italia, oltre 100.000 persone solo lo scorso anno, per presentare in un altro paese europeo la loro domanda di asilo. Anche nel 2015 l’Italia resta un paese di transito, un trampolino dal quale raggiungere altri stati europei dove presentare una domanda di protezione. Magari un paese nel quale funziona un sistema di accoglienza più dignitoso e non occorre attendere anche 18-24 mesi per avere consegnati i documenti di soggiorno come asilanti.

Sotto effetto delle pressioni europee, mentre l’Ue non apriva nessuno spiraglio per corridoi umanitari e modifiche del Regolamento Dublino III, la circolare del ministero dell’interno del 26 settembre 2014 imponeva il prelievo delle impronte digitali subito dopo lo sbarco, “anche con il ricorso all’uso della forza”. Le impronte così prelevate sono state inserite nel sistema informativo Eurodac che consente ad ogni paese europeo di conoscere i paesi attraverso i quali è transitato ogni richiedente asilo.

Da quel momento si sono verificate violenze nel prelievo delle impronte digitali, in diverse strutture, soprattutto nel CSPA (Centro di soccorso e prima accoglienza) di Pozzallo, e sono aumentati in modo esponenziale i rinvii e le riammissioni in Italia di persone che, dopo essere transitate nel nostro paese, erano arrivate a depositare la loro richiesta di asilo in altri stati europei, come la Germania, la Svezia, la Norvegia. Anche dove non ci sono più violenze fisiche resta sempre violento il prelievo delle impronte digitali a persone appena sbarcate dalla nave che li ha soccorsi in mare. Per lo più ai migranti sbarcati non si forniscono quelle informazioni di base che sono previste dal Regolamento Eurodac oltre che da un minimo senso di umanità. E che non vengano a raccontare che il diritto all’informazione in frontiera è garantito da un paio di operatori degli enti coinvolti nell’operazione Praesidium (Croce Rossa, Acnur, Save The Children e Oim) a fronte dello sbarco di oltre mille profughi “smaltiti” nel giro di qualche ora. Problemi di prelievo delle impronte che si erano già verificati lo scorso anno. Sempre più spesso chi rifiuta di rilasciare le proprie impronte, oltre al normale fotosegnalamento, si impone un periodo di trattenimento amministrativo senza convalida del magistrato.

Per effetto del prelievo delle impronte digitali subito in Italia migliaia e migliaia di migranti sono stati riammessi in Italia da diversi paesi europei nei quali avevano parenti e amici e nei quali avevano tentato di presentare una domanda di asilo. In qualche caso, è intervenuta pure la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ma alla fine si è ritenuta sufficiente per la riammissione in Italia, la garanzia fornita dal governo italiano di assicurare un idoneo alloggio e la dovuta assistenza alle persone che sarebbero state riammesse nel suo territorio per effetto dell’applicazione del Regolamento Dublino III. In questi ultimi mesi, le pressioni di alcuni stati europei sull’Italia si sono intensificate ancora e l’Unione Europea ha inviato agenti di Frontex per monitorare le frontiere marittime meridionali, con una missione stabilmente insediata a Catania e con un gruppo operativo nel CPSA di Pozzallo.

La mobilità dei migranti non è comunque diminuita, un numero sempre elevato di persone deve ancora raggiungere i paesi del nordeuropa, molti hanno già in quei paesi i loro parenti con i quali ricongiungersi, per altri si tratta solo di fuggire da un paese come l’Italia che non offre prospettive di accoglienza degna e di integrazione.

Le immagini di questi giorni, migliaia di migranti allo sbando nelle grandi città italiane, immagini che i media usano contro i migranti, per trasferire su di loro le responsabilità di un degrado che è prodotto dall’assenza delle istituzioni e dalla corruzione del sistema di accoglienza, confermano tutte le ragioni per le quali chi sbarca in Sicilia, e nelle altre regioni meridionali, in molti casi, vuole abbandonare il nostro paese prima possibile.

Adesso l’Unione Europea chiude le frontiere, respingendo persino i timidi tentativi della Commissione che voleva ammettere, seppure in via di principio, il principio della condivisione degli oneri, e dunque del ritrasferimento dei profughi arrivati in Italia verso altri stati europei. Ritorna in auge l’idea infame dei campi di raccolta in Africa. In Italia a sostenerla, in combutta con i paesi del nordeuropa governati dai fascisti e dai nazionalisti, il presidente della Regione Lombardia.

Cadono i veli e le cortine fumogene, la propaganda fatta a suon di battute, gli espedienti che hanno avvolto le affermazioni eclatanti di Renzi, Alfano, Gentiloni e della Commissaria Ue Mogherini dopo il Consiglio straordinario dell’Unione Europea del 23 aprile, pochi giorno dopo la strage del 17 aprile, la strage più grande del Mediterraneo, una strage per la quale si è pure rinunciato a ricercare i poveri corpi intrappolati in fondo al mare.

Mentre il sistema di accoglienza sembra proseguire nei suoi metodi clientelari di gestione, senza essere scalfito dalle tante indagini penali che, da Gradisca d’Isonzo a Mineo ed a Trapani lo stanno penetrando, gli sciacalli leghisti si avventano sui profughi e si invoca il ricorso all’uso delle armi per garantire “sicurezza” alle città. Intanto attorno al mega Cara di Mineo non cambia nulla.

A Roma, alla Stazione Tiburtina, qualcuno ha già deciso come procedere nei confronti dei profughi per risolvere una emergenza umanitaria che è solo all’inizio. Con i manganelli e con gli arresti. Le operazioni di sgombero si sono abbattute su persone vulnerabili, come eritrei ed etiopi già vittime di terribili abusi nei paesi di origine e poi in Libia. Persone che poche ore prima degli sgomberi avevano provato ad argomentare civilmente le loro richieste, una serie di richieste di aiuto che sono rimaste inascoltate.

L’ultimo sgombero della stazione Tiburtina, donne in fuga con i loro banbini, numerose persone fermate dalla polizia. Una soluzione ignobile di ordine pubblico, con 18 arresti, arresti di persone fuggite dalla dittatura in Eritrea, che sono state private indebitamente della loro libertà personale da parte di agenti di uno stato che sa ricorrere alla forza con i deboli per indietreggiare davanti alla forza della corruzione e dell’illegalità praticata dalle autorità amministrative. Uno stato che mentre bastona i profughi eritrei che riescono ad arrivare in Italia prosegue le trattative per il Processo di Khartoum riconoscendo legittimità a regimi impresnetabili, come quello eritreo o sudanese.

Criminale è chi tratta con i criminali di guerra, non chi si sdraia su un cartone in una stazione ferroviaria solo perchè non sa dove andare e nessuno gli offre un alloggio o una possibilità immediata di uscire dal nostro paese. La carenza di informazioni e l’assenza di canali legali di ingresso in altri paesi europei sta almentando un fiorente mercato di intermediari che garantiscono il passaggio verso il nordeeuropa.

Adesso si vedranno le decisioni che adotterà l’Ue, con il Consiglio dei ministri fissato a Bruxelles il 15 giugno, e poi con il Consiglio Europeo del 25 e del 26 giugno. Se le previsioni pessimistiche che si stanno diffondendo in questi giorni saranno confermate, dall’Europa non arriverà nessun sostegno per il sistema di accoglienza italiano, e nessun allentamento del regime dei controlli fissato dal Regolamento Schengen e dai Regolamenti Dublino III ed Eurodac.

Quello che stiamo vedendo in questi giorni alle stazioni di Roma e di Milano potrebbe essere solo l’inizio di una crisi umanitaria di proporzioni incalcolabili. Alla fine, a ricavarne vantaggi saranno sempre e solo i partiti di destra, che ormai fanno della xenofobia il loro manifesto elettorale. Ma le soluzioni proposte dai leghisti potrebbero produrre altra morte in mare e un’esplosione senza precedenti dell’emergenza umanitaria in Italia, come confermano già questi giorni nei quali si sta bloccando la libera circolazione tra i paesi che aderiscono al Regolamento Schengen. La Lega cambia programmi, Maroni si ricrede… le frontiere Schengen non si sbarrano più.

 

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