Originale: Counterpunch

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4 settembre 2015

 

“Sciami” che entrano nel Regno Unito? Che cosa possiamo ancora imparare da Che Guevara sulla crisi dei migranti

di Susan Babbit

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

David Cameron si preoccupa degli “sciami” che entrano nel Regno Unito. Gli sciami sono nuvole di insetti. Cameron dovrebbe sapere che i migranti che arrivano da Siria, Iraq e Libia, sono persone. Tuttavia la solidarietà non è il cameratismo. Implica la comprensione. La comprensione non è individuale o neanche sociale. Dipende da reti di convinzioni e pratiche – sociali, economiche, culturali e politiche.

E’ significativo che l’educatore brasiliano, Paulo Freire, abbia scritto che la liberazione degli oppressi dipende dal dare loro un nome. Sapeva quanto è difficile. E  anche Che Guevara. Le osservazioni di Guevara sulla solidarietà sono pertinenti. L’errore non interessante di Cameron ci fa deviare dalla reale sfida della crisi dei migranti.

Guevara definisce la solidarietà come la preparazione a morire. La sua argomentazione è, in parte, che la solidarietà implica sacrificio, perfino una trasformazione. La solidarietà, avvertiva, “ha qualcosa dell’amara ironia dei plebei che tifano per i gladiatori nel circo di Roma.” Non basta “desiderare il successo della vittima”; invece “si deve condividere il suo fato. Deve unirsi alla vittima nella vittoria o nella morte”. [i]

Ad alcuni non piacerà l’accenno alla morte. In Nord America pratichiamo la “positività patologica” [ii], credendo nella (nostra propria) sopravvivenza, in ogni caso. Antoni Gramsci o chiamava un atteggiamento di pigrizia.  Si permette che la propria comprensione della realtà venga “bruciata su qualche sacro altare dell’entusiasmo”. Tale ottimismo, scriveva, non “è nulla se non un modo di difendere la propria pigrizia, irresponsabilità e indisponibilità” di vedere le cose come sono.

Però vedere come sono le cose dipende anche dalle circostanze e dalle condizioni. Non è un fatto soltanto intellettuale, se i migranti siano sciami o persone non verte attorno alla lingua o alla filosofia. Non verte principalmente sui diritti umani. Il filosofo brasiliano, Frei Betto, osserva che “la mediazione della filosofia non basta per comprendere la ragione politica e strutturale per la massiccia esistenza della non-persona.”

Questo era chiaro a Guevara: Se uno “tifa per i gladiatori”, ha poco effetto. E’ ancora peggio tuttavia,  se non si trasformano le istituzioni rilevanti, compresi i modi di pensare, potrebbero non esserci vittime con cui essere solidali. Senza contestare l’imperialismo, compresa la sua visione  del modo in cui vivere, nessuno persona può essere sul ring. Non saranno identificabili come tali. Sono “non-persone” che non contano.

2.

Quando Fidel Castro parlò alle Nazioni Unite nel 1960 invitò i presenti a immaginare “che una persona dallo spazio dovesse arrivare a questa assemblea, qualcuno che non aveva letto né il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx, né i dispacci dell’Associated Press (AP) o dell’United Press International (UPI) o qualche altra pubblicazione controllata dal monopolio. Se dovesse chiedere come è diviso il mondo e se vedesse su una carta geografica che la ricchezza era divisa tra i monopoli di quattro o cinque paesi, direbbe: ‘Il mondo è stato diviso male’”.

Il punto non è che il mondo è diviso male. La verità di quella dichiarazione è che ovvia, ma è difficile darle importanza. E’ difficile vedere che è importante per quello che pensiamo del mondo e delle persone che ci vivono, compresi noi stessi. Il messaggio all’ONU è che un visitatore proveniente dallo spazio – qualcuno la cui comprensione deriva da circostanze e condizioni diverse – potrebbe considerare importanti e perfino urgenti questi dati empirici.

O forse no. Il giornalista italiano Gianni Minà nota che non sorprende che la minoranza ricca non trovi nulla di male in un sistema globale in cui così tante persone nascono per morire. Identifica però una “logica grottesca” che rende sorprendente il fatto che quattro quinti della popolazione mondiale, avendo perso le loro risorse a vantaggio del quinto più ricco, cerchino di entrare nei nostri confini per avere un’opportunità di sopravvivenza.

La solidarietà è uno strumento per rivelare questa logica. Parlando agli operatori sanitari nel 1960, Guevara consigliava: “Se usiamo tutti la nuova arma della solidarietà…allora l’unica cosa che ci rimane è conoscere il tratto quotidiano di strada e percorrerlo. Nessuno ci può indicare quel tratto… sulla strada personale di ogni individuo; è quello che farà ogni giorno, ciò che otterrà dalla sua esperienza individuale”.

“Quello che farà ogni giorno”. Guevara era un materialista dialettico, un naturalista che riconosceva la causa e l’effetto. Considerava che la libertà umana dipendeva dalla “stretta unità dialettica” che esiste tra le persone che si muovono in maniera collaborativa in una direzione definita. Il modo in cui cresciamo è il modo in cui conosciamo. E’ un processo di trasformazione che talvolta ha come risultato “l’uomo nuovo” che è in grado di comprendere meglio, da una prospettiva più adeguata.

Le femministe di oggi spesso sono d’accordo. La comprensione intellettuale è limitata dalla disponibilità dei concetti, compreso quello che uno ha di se stesso.     non possiamo capire ciò a cui non possiamo dare un nome, almeno non completamente. Perciò dobbiamo, almeno occasionalmente essere mossi da sensazioni, nel corpo, allo scopo di sapere. I sentimenti possono creare interesse e motivare la scoperta. E così, per Guevara, i veri rivoluzionari possiedono “grandi sentimenti di affetto”. Riconoscono gli esseri umani che non hanno un nome.

Guevara è criticato per aver esortato alla lotta armata, anche se sua figlia Aleida dice che suo padre fosse vivo, sarebbe un patito della tecnologia, si organizzerebbe con internet e sarebbe affascinato dai computer. [ììì] Però Guevara e Freire ci consegnano    un messaggio più minaccioso. Freire sosteneva che è impossibile che la direzione verso il “recupero dell’umanità rubata delle persone” non sia percepibile. Forse, le possibilità per una “autentica umanità…vanno semplicemente sentite – talvolta neanche questo”. Ma esistono e si possono scoprire. Si può dare loro un nome tramite “l’unità, l’organizzazione e la lotta”.

La sfida è che, se si può dare un nome all’umanità autentica, si può fare lo stesso con quella non autentica. E forse è quello che stiamo vivendo. Naturalmente non crediamo nell’umanità autentica in Nord America, così siamo salvi. Come scrive Alan Ehrenhalt, crediamo nella scelta, più ce ne sono, meglio è. La felicità non è autentica o non autentica. E’ qualsiasi cosa che scegliamo che sia. L’umanità, ammesso che esista, si conosce “dal di dentro”.

Al contrario, Guevara, Freire,  Simón Bolívar, José Martí, Frantz Fanon, and José Carlos Mariátequi sapevano che “la tigre [dell’imperialismo] attende dietro ogni albero, si accovaccia in ogni angolo”. [iv] Dovevano chiedere come conoscere la vera umanità. Sapevano anche che vivere dall’interno non dà la risposta giusta. Non include i latino-americani, già squalificati. Mariátequi, invece, insisteva che le tradizioni indigene sostituiscono il “pensiero eurocentrico”:  “La vita viene dalla terra e ritorna alla terra”, e quindi si deve conoscere “dalla terra”, tramite  l’impegno, non tramite l’egoismo e l’introspezione.

Le osservazioni di Guevara sulla solidarietà non lo distinguono da altri filosofi (per lo più non europei).L’antico filosofo cinese Chuang Tzu (IV sec. AC) sosteneva che perdere la propria vita vuol dire salvarla e cercare di salvarla per amore di se stessi vuol dire perderla. I filosofi orientali in particolare comprendevano che l’attaccamento al proprio io, e l’ossessione della sicurezza costituiscono la forma più radicale di alienazione. Non si possono conoscere gli altri in quel modo, almeno non la maggior parte degli altri. Ancora peggio, si rischia di non sapere che sono lì per essere conosciuti.

Quando l’inviato della BBC Iain Bruce faceva ricerche sulla rivoluzione di Chávez, notò che l’uso frequente dei venezuelani della parola surgir (emergere, fare un salto in avanti). I venezuelani dei barrios (i quartieri poveri) parlavano del voler emergere. E in effetti, un’intera sezione della società venezuelana, “milioni di persone che erano state seppellite nel silenzio, nell’oscurità e nell’abbandono, sono improvvisamente ‘emerse” dalle ombre e si sono affermate come protagonisti sia delle loro storie individuali che del dramma collettivo della nazione.”[v]

Secondo il presidente boliviano Evo Morales: “Se dobbiamo difendere l’umanità, dobbiamo cambiare il sistema, e questo significa rovesciare l’imperialismo degli Stati Uniti.” Ma non verte soltanto sugli oppressi. Al primo Congresso Internazionale degli scrittori per la Difesa della cultura nel 1935, Bertolt Brecht suggerì che quando qualcuno cade, altre persone svengono, ma se la violenza cade come la pioggia, le persone si voltano dall’altra parte quando gli altri soffrono. Il problema era dare un nome  al fascismo. Se la violenza è ovunque e cade come la pioggia, non è violenza.

Fare un salto in avanti, almeno secondo Guevara, è quello che significa essere umani, un’implicazione delle nostre circostanze reali, nell’ambito della natura. Conosciamo il mondo e le persone che lo abitano, soltanto cambiandolo e cambiando noi stessi. Vivendo dall’interno, mentre tifiamo per i gladiatori, rischiamo di non sapere per che cosa applaudiamo. Non vedremo che la violenza sta cadendo come la pioggia.

Ci sono ragioni migliori di essere ottimisti diverse dal credere in noi stessi. Il “sacro altare dell’entusiasmo” potrebbe essere meglio definito se guardiamo a Sud. Non verte soltanto sul vedere come il mondo viene diviso, e comprenderne le implicazioni. Verte  anche sull’autenticità in quella che Charles Taylor chiama la “era dell’autenticità”, che forse è falsa. Le osservazioni di Guevara sulla solidarietà fanno parte di un  progetto più grande: la condizione umana. Non è un punto di vista radicale. E i suoi meriti possono essere conosciuti vivendoli. Ma anche la necessità di un tale punto di vista deve avere un nome che potrebbe essere: “unità, organizzazione e lotta.”

Gabriel García Márquez lo scrittore vincitore del Premio Nobel, ha notato a Cuba “la convinzione quasi mistiche che la maggiore conquista dell’essere umano è l’appropriata formazione della coscienza. Guevara fa parte dell’eredità. Vedeva gli incentivi morali, non materiali che spingono avanti il mondo, intendendo con “morale” il senso più ampio, più interessante di sperimentare l’umanità.   Questo significa che non è virtuoso, ma pratico, perseguire la solidarietà. E’ così, perlomeno se si riconosce la realtà scientifica semplice e pratica” (vi) dell’esperienza umana.

La Seconda Dichiarazione dell’Avana del 1962  afferma che “Cuba e l’America Latina fanno parte della…lotta di coloro che sono soggiogati; lo scontro  tra il mondo che sta morendo e il mondo che sta nascendo”. E’ ancora così.

Cuba, il Venezuela, la Bolivia e l’Ecuador negli anni recenti, come dice la Seconda Dichiarazione, hanno “fatto notare il pericolo che volteggia sull’America e lo hanno chiamato con il suo nome: imperialismo.” Hanno dato il nome anche alle sue conseguenze: una concezione sbagliata e dannosa del benessere umano. Volteggia su tutti noi.

 

Note

[i] Guevara, Che.”Create two, three, many Vietnam” [Create due, tre, molti Vietnam], David Deutschman (Ed.), The Che Guevara reader (New York: Ocean Press, 1997) 316

[ii] Terry Eagleton, Reason, faith and revolution [Ragione, fede e rivoluzione], (Yale University Press, 2009) 138

[iii] Discorso al  Kingston Collegiate Vocational Institute, Kingston, Canada, Sept. 30, 2003.

[iv] Martí, José “Our America”. [La nostra America].[ In Esther Allen (Ed. and Trans.), José Martí: Selected writings [Scritti scelti],  (New York: Penguin Books, 2002) 293

[v] Bruce, Iain. The real Venezuela: Making socialism in the 21st century [Fare il socialism nel 21° secolo],  (London: Pluto Press, 2008) 22.

[vi] Martí, “Wandering teachers” [Insegnanti erranti]. In Deborah Shnookal & Mirta Muñez (Eds.), José Martí Reader: Writings on the Americas [Scritti sulle Americhe], (New York: Ocean Books) 47.

 


Susan Babbitt è professoressa associate di  fiilosofia alla Queen’s University, Kingston, Canada e autrice of José Martí, Ernesto “Che” Guevara and Global Development Ethics: The Battle for Ideas [Ernesto “Che” Guevara e l’etica dello sviluppo globale: la battaglia per le idee] (Palgrave MacMillan 2014).

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.counterpunch.org/2015/09/04/swarms-entering-the-uk-what-we-can-still-learn-about-the-migrant-crisis-from-che-guevara

 

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