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10 ott 2016

 

In Etiopia dichiarato lo stato di emergenza

di Federica Iezzi

 

“In sei mesi si metterà fine alla più grave minaccia alla stabilità del Paese in un quarto di secolo” ha dichiarato il primo ministro Desalegn.secondo i report di Human Rights Watch, forze di sicurezza etiopi hanno ucciso più di 500 persone durante le proteste nel corso dell’ultimo anno.

 

Addis Abeba (Etiopia), 10 ottobre 2016 – Dichiarato lo stato di emergenza nella Repubblica Federale Democratica di Etiopia (FDRE), dopo una riunione di gabinetto ministeriale presieduta dal primo ministro Hailè Mariàm Desalegn. In attesa dell’approvazione da parte dell’Ethiopian House of People’s Representatives, una delle due camere parlamentari riservata per lo più all’opposizione e ai rappresentanti degli oltre 80 gruppi etnici, non è ancora chiaro cosa esattamente sarà incluso nella definizione di stato di emergenza.

“In sei mesi (durata dello stato di emergenza, nda) si metterà fine alla più grave minaccia alla stabilità etiope in un quarto di secolo. Si metterà fine ai danni contro infrastrutture, istituti di istruzione, centri sanitari, edifici amministrativi e di giustizia”, secondo il primo ministro.

Ma cosa c’è davvero dietro l’ondata di proteste? Quello che sta succedendo è una combinazione di tutto: marginalizzazione storica e attuale emarginazione. E’ una rivolta contro il governo di minoranza e le sue politiche. Tutto nasce da mesi di proteste portate avanti dai membri dei due gruppi etnici più rappresentati in Etiopia: gli oromo e gli amhara, che costituiscono circa il 60% del totale della popolazione. La piccola elite tigrina detiene il potere.

Da dove arriva il malcontento? Alla minoranza musulmana sono stati imposti i capi di governo. Gli agricoltori che per secoli hanno amministrato propri appezzamenti terrieri, sono stati spodestati dalle loro terre per far posto all’agricoltura commerciale. Alla comunità amhara è stato prescritto di vivere nella regione del Tigrè, invece che in quella storica di Amara. La risposta: la chiusura quasi totale dello spazio politico alle forze moderate. Il governo non è disposto ad aprire alcun dialogo con l’opposizione. Perchè ciò dovrebbe includere il rilascio di tutti i prigionieri politici, la libertà di stampa e di espressione, la riforma delle istituzioni chiave fondamentale per regolare il sistema giudiziario.

Risalente alla scorsa domenica l’ultimo episodio di violenza, che ha visto come protagonista la morte di massa di civili al festival religioso annuale di Irreecha, a Bishoftu una cittadina a 40 chilometri a sud est della capitale. 55 i morti dell’etnia oromo dopo duri scontri tra manifestanti e polizia. Decine di migliaia gli arresti. Le forze di sicurezza etiopi hanno ucciso più di 500 persone durante le proteste nel corso dell’ultimo anno, secondo i report di Human Rights Watch.

Secondo fonti governative, nelle ultime settimane i manifestanti avrebbero preso di mira anche le società estere, minacciando la reputazione dell’Etiopia come un’economia in crescita e allontanando così gli investimenti internazionali. Sebbene ci sia stata una notevole crescita economica negli ultimi due decenni, l’aumento della disoccupazione e la crescente disuguaglianza sono i padroni delle giornate etiopi. Inoltre sempre più evidenti sono: corruzione pubblica, soffocamento delle libertà civili e malgoverno.

Da una settimana intanto, ad Addis Abeba non è più in funzione internet a banda larga. Bloccati dai funzionari governativi social media e siti web indipendenti, in molte zone dell’Oromia. E molte strade dentro e fuori la capitale sono incessantemente vegliate da posti di blocco della polizia.

La dittatura militare amhara di Mengistu Hailè Mariàm conclusasi nel 1991, ha lasciato posto a un governo di etnia tigrina. Meles Zenawi, che ha giocato un ruolo chiave nella ribellione e nel successivo rovesciamento del regime di Mengistu, prese il potere prima come presidente, poi come primo ministro. Quando morì, nel 2012, il turno al governo sarebbe spettato alla maggioranza oromo, ma il sostituto prescelto di Zenawi, fu l’attuale primo ministro, del piccolo gruppo etnico Welayta del sud. Da lì i primi attriti. Nena News

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