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Mercoledì 07 dicembre 2016

 

Donna e combattente Boko Haram

di Marco Coch

 

Non sono solo vittime. Aderiscono volontariamente al gruppo terrorista nigeriano e stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante. Sono donne che intendono così riscattarsi da una penosa condizione sociale. Lo sostiene una recente ricerca.

 

«Molte donne che vivono nel nord-est della Nigeria – regione a maggioranza musulmana dove il patriarcato è profondamente radicato e la povertà e la discriminazione di genere sono parte integrante della loro esistenza – hanno volontariamente scelto di unirsi a Boko Haram nella speranza di migliorare la loro condizione di vita».

La sconcertante rivelazione è contenuta in un rapporto dal titolo Nigeria: Women and the Boko Haram Insurgency, pubblicato lunedì scorso dall’International Crisis Group (Icg) nell’intento di offrire una chiave di lettura analitica e approfondita dell’esperienza delle donne non solo come vittime, ma anche come carnefici nel conflitto scatenato più di sette anni fa dai terroristi islamisti nella Nigeria settentrionale.

Lo studio prende atto che alcuni gruppi impegnati nella salvaguardia dei diritti umani, tra cui Amnesty International, hanno raccolto prove ed evidenze che testimoniano come molte donne e ragazze siano state rapite dal gruppo jihadista, che le ha utilizzate come cuoche, schiave sessuali ma anche come attentatrici suicide. Non è infatti difficile convincere all’estremo sacrifico una donna disperata e psicologicamente succube. Inoltre, le giovani impiegate in attacchi kamikaze sono più efficaci perché passano inosservate, fanno meno paura degli uomini e possono nascondere meglio il materiale esplosivo sotto le vesti. Il risultato è che Boko Haram è il gruppo armato che ha usato il maggior numero di attentatrici suicide nella storia del terrorismo.

Tuttavia, la ricerca cerca di capire perché nonostante tutto questo tante donne abbiano deciso di unirsi spontaneamente al gruppo estremista nigeriano. Ed evidenzia come in questa parte della Nigeria, dove le percentuali di matrimoni precoci, iscrizioni scolastiche e alfabetizzazione tra le ragazze sono molto peggiori rispetto al resto del paese, Boko Haram rappresenta una via di fuga per un numero considerevole di donne imprigionate in una quotidianità prestabilita, umiliante e faticosa.

Una simile constatazione riflette una diffusa disperazione femminile e un conclamato fallimento sociale nel nord-est del paese. Alla ricerca di un riscatto, spesso le donne arrivano ad assumere posizioni di rilievo in Boko Haram, all’interno del quale hanno quasi le stesse probabilità degli uomini di essere schierate come combattenti. E non è raro che, utilizzate come reclutatori, spie e messaggeri, riescano a far meglio dei maschi.

Nel report emerge anche come la gestione delle donne e delle ragazze in età da marito, tra cui le vedove, sembra essere stata una prerogativa dei leader e una questione che ha creato controversie all’interno della setta. In una registrazione del 2016, Mamman Nur, un capo della fazione scissionista di al-Barnawi, critica lo storico leader Abubakar Shekau per aver tradito la sua promessa di dare in spose ai membri dell’organizzazione le ragazze rapite nell’aprile del 2014 nella scuola di Chibok.

La conclusione dello studio: è fuorviante considerare le donne solo come vittime passive di Boko Haram, come è ampiamente accettato dopo il rapimento delle studentesse di Chibok. Gli analisti dell’Icg ritengono che questa visione dovrebbe essere rivista perché la violenza contro le donne non dovrebbe oscurare il fatto che molte di esse sono state coinvolte volontariamente nel conflitto e hanno avuto un ruolo attivo nella pianificazione e nell’esecuzione di molti attentati.

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