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Giovedì 09 giugno 2016

 

Boko haram, altro che finita

di Elio Boscaini

 

I violento attacco ad opera dei jihadisti nigeriani Boko Haram in Niger, nella regione di Diffa al confine con la Nigeria, che ha causato la morte di 32 soldati e l'invio di truppe di sostegno da parte del Ciad, conferma che il gruppo terroristico è lungi dall'essere sconfitto.

 

Ma non ci avevano annunciato che Boko Haram era sconfitto? Non si soffiava ottimismo ovunque? E poi? Ti svegli un mattino di giugno, il 3 giugno 2016 esattamente, e scopri che il movimento jihadista ha colpito pesantemente Bosso, città rurale nel sudest del Niger, obbligando 50mila persone terrorizzate – sono i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) – a fuggire la città. Molti sfollati sono fuggiti a piedi lungo la strada per Toumour, a circa trenta chilometri di distanza.

Bosso si trova nella regione di Diffa, uno dei territori più poveri al mondo, dove le persone costrette ad abbandonare le proprie case si contano già a centinaia di migliaia. In queste terre sfortunate si trova anche un campo profughi che può ospitare fino a 10mila persone, ma che è già al completo, ed è già di per sé minacciato da crisi alimentari e malattie.

L’assalto a Bosso di venerdì scorso ad opera dei jihadisti, armi in pugno, ha provocato la morte di 30 soldati nigerini e due nigeriani. Il bollettino parla anche di 55 miliziani del gruppo fondamentalista morti.

 

Niger chiede aiuto

Ed ecco il presidente Mahamadou Issoufou in fretta e furia recarsi due giorni fa a Ndjamena per supplicare l’aiuto del Ciad che evidentemente conosce la gravità della situazione. Subito le truppe ciadiane sono partite verso il lago Ciad e sono già arrivare a Bosso: nigerini e ciadiani uniti per lottare contro Boko Haram. Si tratta di ben 2000 soldati ciadiani mobilitati per “stanare ovunque si trovi Boko Haram”, soldati pesantemente armati e che dispongono soprattutto di blindati, lanciamissili e veicoli sormontati da mitragliatrici.

I militari ciadiani conoscono bene la zona del Lago Ciad perché sono già intervenuti più volte nell’offensiva contro gli estremisti islamici nigeriani, in particolare nel 2015. Già nel gennaio dello stesso anno, infatti, i soldati ciadiani erano intervenuti nell’estremo nord del Camerun su richiesta del presidente Paul Biya. Il mese dopo era proprio dalla zona di Bosso, in Niger, che le forze ciadiane partivano per condurre azioni contro in Nigeria nel feudo dei jihadisti nello stato di Borno, infliggendo perdite importanti agli insorti.  Eppure, nonostante le diverse offensive congiunte, in questa zona frontaliera per stanare i Boko Haram (come quella lanciata congiuntamente nel marzo 2015 a partire dal Niger e che aveva permesso di riprendere il controllo di diverse città nigeriane occupate, come Damasak e Malam Fatori), quest’ultimi sembrano ancora capaci di nuocere.

A riprova di ciò, il fatto che nei mesi scorsi, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha incluso Boko Haram nella black list mondiale del terrorismo di matrice qaidista, con conseguente embargo sulla vendita di armi e il congelamento dei beni riconducibili ai suoi militanti. E sarebbe giusto domandarsi da dove vengono allora le armi in loro possesso per compiere gli attacchi dell’ultimo periodo. Perché nei mesi precedenti la strategia del gruppo si era decisamente spostata sugli attacchi kamikaze che avvenivano sempre con l’atroce tecnica “dell’attacco gemello”: dopo una prima bomba, ne esplode una seconda, così da gettare il panico tra la popolazione e accrescere il numero delle vittime tra i soccorritori che sono agenti delle forze di sicurezza. Mentre oggi ci ritroviamo di nuovo di fronte ad assalti militari veri e propri.

 

Esercito nigeriano inaffidabile

Di certo c’è che ormai la vittoria contro Boko Haram non è a portata di mano dell’esercito nigeriano così com’è oggi. Contrariamente a quanto dichiarato dal presidente francese, Francois Hollande, in occasione del vertice internazionale contro il terrorismo ad Abuja (Nigeria) il mese scorso, che parlava di un arretramento e indebolimento dei terroristi e si complimentava con la Nigeria, il paese in prima linea in questo conflitto contro un male nato in casa sua.

Un rapporto appena pubblicato dell’International Crisis Group sul funzionamento dell’esercito nigeriano, rivela infatti che le truppe soffrono su diversi fronti: mancano i finanziamenti, sono mal addestrate e c’è una diffusa corruzione al loro interno. Senza una vera riforma ad opera del governo di Abuja, l’esercito nigeriano, che deve affrontare contemporaneamente i Boko Haram nel nordest e il rinfocolarsi di minacce sulle installazioni petrolifere nella regione del Delta del Niger rappresentate da nuovi gruppi ribelli separatisti, non può farcela.

Quando le condizioni di lavoro dei soldati sono poco gratificanti, con stipendi inadeguati e con insufficiente manutenzione dei mezzi, il contesto interno diviene propizio per lo sviluppo della frode e della corruzione. La “macchina” militare nigeriana non funziona bene e le conseguenze le pagano la popolazione civile e anche i paesi vicini come il Niger.

Da più di un anno ormai, l’amministrazione del presidente nigeriano Muhammadu Buhari, fa della trasparenza nelle istituzioni la sua priorità assieme alla lotta a Boko Haram, ma con i pochi successi ottenuti si sta lentamente indebolendo, anche a causa della crisi economica che ha colpito il suo paese per via del calo del prezzo del petrolio.  Se la leadership di chi è in prima linea in un conflitto come questo traballa, è difficile pensare a una svolte decisiva in un conflitto come questo. È probabile che degli attacchi del gruppo jihadista sentiremo purtroppo ancora parlare.

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