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03 ott 2016

 

Il dramma silenzioso del popolo Sahrawi

di Cecilia D’Abrosca

 

Il Forum Femminile delle Voci del Sahara e l’Equipe Media Branch, giornalisti e attivisti sahrawi hanno denunciato le continue azioni repressive delle autorità marocchine sul loro territorio. Dal 1990 i sahrawi sono in attesa di una soluzione che ponga fine alla loro tragedia

 

Roma, 3 ottobre 2016, Nena News –

 

Il Forum Femminile delle Voci del Sahara e l’Equipe Media Branch, giornalisti e attivisti del campo rifugiati Sahrawi hanno denunciato le azioni della polizia marocchina che una decina di giorni fa ha bloccato l’ennesima dimostrazione e ha arrestato la leader femminile del movimento, Jad Ahlu. Già nel 2010, 24 militanti ed attivisti Saharawi furono arrestati e ancora oggi sono in carcere, in attesa del processo. Dalla prigione chiedono che i loro diritti siano legittimati e garantiti. A parlare è Jad Ahlu, militante e rappresentante delle voci femminili del Sahara Occidentale, che compie una ricostruzione storica e politica della situazione attuale nella regione Nordafricana. Racconta del suo arresto e della condizione dei rifugiati in carcere.

 

La Repubblica Democratica Araba dei Saharawi, RASD

Il Fronte Polisario, l’Esercito di Liberazione del Sahara Occidentale, proclama la Repubblica Democratica dei Saharawi [per la quale si utilizza l’acronimo RASD], nel 1976. Da allora il nordafrica occidentale, con sede la RASD, diviene l’area contesa tra il Marocco e l’Esercito di Liberazione. Il Marocco non riconosce la RASD e rivendica la sovranità sull’intero territorio; allo stesso tempo, il Fronte Polisario non intende cedere all’annessione marocchina e ciò sfocia in rivendicazioni e azioni di resistenza da parte dei Saharawi, che il Marocco reprime duramente.

 

Il Fronte Polisario dichiara la città di Laayoune sua capitale, che in lingua spagnola diventa El Aaiùn (in quanto ex colonia prima dell’invasione marocchina), ma di fatto la città simbolo della Repubblica è Tifariti. Mentre, il centro del business è la città di Tindouf in Algeria, sede del governo in esilio, ospitato all’interno del campo profughi della città. Dal momento della proclamazione della Repubblica Democratica Araba dei Saharawi, la situazione territoriale è la seguente: la RASD, rappresentata dal Fronte Polisario, definisce i territori posti sotto il suo controllo, il 25 per cento dell’intera zona occidentale, Territori Liberati, nello specifico: il campo dei rifugiati, Saharawi, una sottile striscia di terra lungo il confine con l’Algeria e un’altra lungo il confine con la Mauritania; mentre, il restante territorio, circa il 75 per cento, è controllato dal Marocco, e costituisce, per le autorità marocchine le “Provincie del Sud”, le 7 provincie della regione. L’Esercito considera le “Provincie” Territori Occupati del Sahara Occidentale.

 

Dal 1976 fino al 1991, la guerriglia tra Marocco e Esercito di Liberazione, per il controllo della ricca regione mineraria occidentale, non si è mai arrestata, fino a che in quell’anno viene dichiarato il cessate-il-fuoco. Il passo ulteriore comportava la decisione di indire un referendum di autodeterminazione per regolamentare la questione sahariana occidentale e quella dei suoi rifugiati, ma fino ad oggi non è stato raggiunto alcun accordo sul suo oggetto. Dunque i Saharawi sono in attesa di una soluzione definitiva dal 1990 e la stessa MINURSO (Missione dell’Onu per l’Organizzazione del Referendum nel Sahara Occidentale), vive una fase di stallo. Attualmente il Sahara Occidentale continua ad essere “controllato” da entrambi, Marocco e Esercito di Liberazione. In questo tratto di terra, hanno luogo mobilitazioni e battaglie dei rifugiati Saharawi (di cui 165mila vivono nei campi, secondo l’agenzia Onu per i rifugiati UNHCR), degli attivisti, del Forum femminile e dell’Equipe Media Branch, per il riconoscimento internazionale della Repubblica Democratica Araba dei Saharawi. L’ultima azione è avvenuta una decina di giorni fa, a seguito di un’iniziativa femminile, durante la quale, racconta la leader Jad Ahlu, “Io stessa sono stata fermata. Mi hanno confiscato la bandiera e poi condotto in caserma dove ho trovato altre donne che prendevano parte alla protesta insieme a me. Dopo ci hanno portate tutte in una grossa stanza per interrogarci.“

 

Poi, Jad Ahlu prende a parlare del campo di protesta di Gdeim Izik, spiegando che ad un certo punto la mobilitazione dei rifugiati del Sahara Occidentale aveva assunto una forma organizzata e pianificata, che portò alla creazione di un campo di protesta, Gdeim Izik, sorto nelle vicinanze della città di Laayoune. Il primo obiettivo dei militanti ed attivisti era di ottenere i diritti in campo economico e sanitario ed il riconoscimento, a livello internazionale e dal Marocco, della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi e dunque l’esercizio della piena sovranità sul territorio. Gdeim Izik, sorto nell’ottobre del 2010 e smantellato in quello stesso anno, era un campo di resistenza abitato da circa 20-25mila persone che cooperavano affinché l’attenzione sulla causa sahariana fosse mantenuta alta. Secondo alcuni intellettuali e storici questa fase segna l’inizio della primavera araba.

 

Le ultime azioni dimostrative del Forum Femminile delle Voci del Sahara.

In occasione dell’ultima azione di protesta organizzata da Jad Ahlu, dalle donne del Forum e dalle giornaliste che vivono nei territori occupati, alcune di loro, con in mano la bandiera del Fronte Polisario, sono state fermate ed arrestate dalla polizia marocchina, che continua ad intervenire per fermare ogni loro iniziativa. La donna racconta che, in un primo momento, un black out ha colpito la copertura della notizia giornalistica e subito dopo la polizia ha fatto irruzione e ha portato via molte di loro (così come aveva fatto nel 2001 con gli altri attivisti e militanti). Una volta condotta in caserma, è stata rinchiusa in una stanza con altre donne e poi interrogata.

 

Dopo alcune settimane è stata scarcerata e oggi dice che è veramente difficile agire nei Territori occupati del Sahara Occidentale a causa della polizia marocchina che agisce con durezza, procede ad arresti, condanne e abusi. Le carceri sono piene, ha dichiara, di militanti e rifugiati in attesa di una sentenza, e per questo motivo, le Nazioni Unite dovrebbero predisporre, all’interno della loro Missione, un sistema di tutela dei diritti umani. Sembra che, sottolinea, coloro i quali si battono per la causa sahariana siano abbandonati alla loro sorte di prigionieri, in attesa che qualcuno si accorga che si tratta di “persone e non di oggetti afferrati e messi là.” Ricorda che i rifugiati nel Sud Ovest dell’Algeria vanno dai 50 ai 160 mila e sono stati spinti fino a lì dopo il 1976. “Per loro e per tutti i Saharawi bisogna continuare la lotta e la protesta perché prima o poi qualcosa dovrà cambiare”. Nena News

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