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Lunedì 05 settembre 2016

 

Khartoum non si accontenta

di Bianca Saini

 

Il Sudan alza il tiro nelle richieste all’Europa per il controllo dei flussi migratori. Ma i guardiani delle frontiere sono le famigerate milizie janjaweed, accusate di atrocità in Darfur e che il regime di al Bashir intenderebbe rafforzare. Andranno anche a loro i fondi europei per il controllo dei migranti?

 

Alcuni giorni fa, a Khartoum, alti gradi dell’esercito, della sicurezza nazionale e della polizia, hanno convocato una conferenza stampa presso gli uffici del ministero della Difesa, dunque in un luogo istituzionale, per rendere pubblico il loro contributo nel controllo dei flussi migratori ed avanzare nuove richieste, allo scopo di poter lavorare più efficacemente.

Secondo il resoconto della conferenza stampa riportato dal quotidiano Sudan Tribune, il discorso più esplicito è stato quello di Mohamed Hamdan Daglo, (detto Hametti), comandante delle Rapid support forze (Rsf) - di fatto i famigerati janjaweed riorganizzati e rinominati -, milizia al diretto comando dei Servizi di sicurezza nazionale (Niss). Sia le Rsf che il Niss sono ben noti in Sudan per agire al di sopra e al di fuori della stessa legge del paese, per violare abitualmente in modo gravissimo i diritti umani più basilari e per l’assoluta impunità in cui agiscono. L’anno scorso Human rights watch (Hrw), in un suo rapporto, li ha definiti “uomini senza pietà”.

 

Hametti ha dichiarato senza peli sulla lingua che i suoi uomini stanno combattendo le migrazioni irregolari e il traffico di esseri umani per conto dell’Europa, lamentando di non essere stati neppure ringraziati per gli sforzi fatti e le perdite subite. Le Rsf sono state dispiegate ai confini settentrionali del paese lo scorso giugno, per controllare i traffici illegali che li attraversano, quello degli esseri umani in particolare. In circa tre mesi, in diverse operazioni, hanno fermato alcuni trafficanti ed almeno 800 migranti, la maggioranza eritrei, immediatamente rimpatriati.

Hametti ha proseguito dicendo che negli scontri con i trafficanti - che a suo dire fanno parte dei movimenti di opposizione armata del Darfur i quali si finanzierebbero anche con i proventi del traffico -, 25 dei suoi uomini hanno perso la vita, 315 sono rimasti feriti, 151 automezzi sono andati distrutti. Per la verità, non risultano finora foto o testimonianze di migranti scortati da grossi contingenti armati nel loro viaggio attraverso il deserto. Chi conosce bene la regione, nega che sulle rotte dei migranti e sui tratti di confine che di solito vengono da loro attraversati, ci sia la presenza di movimenti ribelli. Vien da dire che, fino a prova contraria, Hametti probabilmente si riferiva genericamente a scontri con i movimenti di opposizione armata, sovrapponendo volutamente informazioni e circostanze, allo scopo di batter cassa. Nel suo discorso, infatti, ha fatto anche chiaramente capire che, senza ulteriori riconoscimenti, i suoi miliziani potrebbero essere molto meno attivi nel controllare le frontiere.

Durante la conferenza stampa è stato anche più volte ribadito che il Sudan non è interessato dal fenomeno delle migrazioni irregolari, ma è solo un paese di transito. Ma i dati smentiscono queste affermazioni. Secondo quelli forniti dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), i sudanesi sono il 7% circa dei 93.611 migranti sbarcati in Italia nei primi sette mesi del 2016, dunque circa 7.000, una cifra non irrilevante.

Richieste dirette per miglioramenti tecnologici nel controllo delle frontiere - e possiamo scommettere che potranno essere usati anche per altro - sono stati avanzati invece dal rappresentante del dipartimento dell’immigrazione e del Niss stesso. Un team europeo di tecnici del settore sarebbe già stato inviato nel paese, per studiare le soluzioni più appropriate alla situazione.

La conferenza stampa sarebbe stata, dunque, un chiarissimo messaggio all’Europa, perché aumenti il suo già notevole sostegno economico al paese per il contrasto dei flussi migratori. E’ inoltre risultato sufficientemente chiaro che il governo sudanese userà questi fondi per rafforzare il suo controllo in Darfur, ma, si può supporre, anche nelle altre zone del paese in conflitto e contro l’opposizione in genere. E’ altrettanto chiaro che tra i maggiori beneficiari dei fondi europei per la gestione dei flussi migratori, ci saranno le Rapid support forces, o milizie janjaweed, tra le più famigerate del continente.

Yassir Arman, segretario generale dell’Splm-N, il movimento di opposizione armata che combatte il governo di Khartoum nel Sud Kordofan e nel Blue Nile, ha diffuso nei giorni scorsi un accorato e circostanziato documento, in cui dice di avere le prove del piano del governo per rafforzare le Rsf con i fondi europei, affidando loro il controllo dei confini. E si appella all’Unione europea perché non contribuisca con le sue politiche e i suoi contributi, a prolungare i conflitti aperti in Sudan.

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05.09.2016

 

Italia e Germania frenano il flusso dei clandestini finanziando criminali internazionali

di Andrea Spinelli Barrile

 

Come si combatte l'immigrazione clandestina “alla radice”, andando a operare laddove insistono le ragioni che portano gli esseri umani a partire per andare lontano, rischiando la propria vita? Guerre, repressione, crisi economiche e cambiamenti climatici sono i principali motivi che spingono milioni di africani a emigrare dalla propria terra, spesso cercando inizialmente la propria opportunità in Africa, decidendo infine di rischiare la vita attraversando alcune delle zone più impervie del mondo, mar Mediterraneo compreso.

Domenica 4 settembre 2016 il segretario generale del Sudan People Liberation Movement-North (SPLM-N) Yasser Arman ha rilasciato una dichiarazione alla stampa che avrebbe dovuto far drizzare i capelli ai piani alti dell'Unione europea e alle cancellerie tedesca e italiana ma, per ora, nulla di tutto ciò è accaduto: “Abbiamo accurate informazioni secondo cui esiste un piano dell’Unione Europea per finanziare le Rapid Support Forces [RSF, ex milizie genocidarie in Darfur oggi agli ordini della sicurezza nazionale sudanese, nda]. In particolare la Germania metterebbe a disposizione il denaro necessario, mentre all’Italia è stato affidato il supporto logistico”. Tornando alla domanda iniziale, come si combattono le ragioni che portano le persone a migrare, la risposta dell'Europa è stata questa: con i soldi.

Il Processo di Khartoum è stato lanciato durante il semestre italiano di Presidenza UE, nella seconda metà del 2014, e prevede di trasferire sui paesi terzi, di transito e di origine, il compito di "difendere" le frontiere europee di fronte ad un crescente afflusso di migranti, aumentando i controlli anche attraverso l'agenzia FRONTEX e realizzando operazioni di respingimento verso i paesi di origine. All'interno di questo Processo, secondo quanto denunciato da Loretta Napoleoni sul Fatto Quotidiano il 31 luglio scorso, la Commissione UE ha pubblicato una bozza di proposta per fornire 100 milioni di euro alle forze armate di alcuni paesi africani (tra queste le RSF sudanesi) con lo scopo di bloccare i migranti diretti prima in Libia e poi in Europa. Il 3 agosto il capo della Polizia italiana Franco Gabrielli e il direttore generale della polizia del Sudan Hashim Osman hanno firmato un accordo di cooperazione anti-migrazione al cui interno è prevista anche la pratica delle “deportazioni forzate” (così le definisce il magazine americano Quartz): l'ultima settimana di agosto 48 migranti sudanesi sono stati rimpatriati dopo essere stati arrestati a Ventimiglia e portati all'aeroporto di Torino, dove sarebbero stati detenuti legati in un garage sotterraneo, identificati dalle autorità sudanesi e fatti salire su un volo Egypt Air per Khartoum. Qui sono stati picchiati fino al punto di non potersi sdraiare per giorni. Questa testimonianza è stata resa da uno di loro proprio a Quartz e confermata dall'attivista Musa Ibrahim, che vive in Italia.

Molti di questi sudanesi erano originari del Darfur, una regione del Paese dilaniata da una guerra civile che sembra non finire mai. In Darfur, nel 2003, il governo creò le milizie filogovernative janjaweed, formate da tribù arabe per combattere i diversi gruppi ribelli protagonisti della guerriglia in Darfur. Queste facevano parlare di sé commettendo atrocità e crimini di guerra: donne stuprate , uomini e anziani uccisi, bambini rapiti e resi schiavi, interi villaggi dati alle fiamme. Nel 2004 le autorità statunitensi definirono quelle violenze “genocidio” e oggi sul capo del Presidente sudanese Omar al-Bashir pende un mandato di cattura internazionale dalla Corte Penale Internazionale.

Nell'agosto 2013 le milizie si trasformarono nelle Rapid Support Forces (RSF, in arabo al-Quwat al-Da’m al-Sari’) messe al soldo della sicurezza nazionale sudanese, e oggi queste hanno il compito ufficiale di pattugliare il nord Darfur a caccia di migranti da fermare: fino ad oggi hanno bloccato 808 persone nel loro cammino, sopratutto eritrei ed etiopici. Il 30 agosto il comandante delle RSF Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto anche come Hemeti, ha confermato con una dichiarazione stampa il legame economico e logistico con l'Unione Europea: Hemeti ha detto che le truppe RSF stanno combattendo “il traffico di esseri umani […] combattiamo gli immigrati illegali a nome dell'Europa”, con costi notevoli in termini di uomini e mezzi senza che l'UE abbia “espresso la propria gratitudine”.

Tali informazioni relative a un supporto tedesco e italiano, per conto europeo, sono state confermate anche da alcune fonti diplomatiche delle Nazioni Unite a Massimo Alberizzi, direttore di Africa-ExPress. Le parole di Yasser Arman, inquadrate in questo contesto in cui l'Unione Europea finanzia ex-miliziani genocidari per lavarsi le mani dei migranti in terra africana, suonano come terribili e avrebbero meritato un eco maggiore: “Gli interessi di queste forze accusate di genocidio si saldano così a quelli dell’Europa. Loro sono i terroristi che in questo modo godono di un riconoscimento internazionale ufficiale. Se il Protocollo di Khartoum non verrà immediatamente bloccato vorrà dire che queste bande di assassini potranno vedere riconosciuto il loro preteso diritto di ammazzare con la copertura dell’Europa e quindi anche dell’Italia”. La richiesta, nemmeno troppo velata, di altri mezzi ed altre armi fatta da Hemeti ne è solo una piccola dimostrazione.

Esattamente un anno fa Human Rights Watch pubblicava un rapporto inerente le attività delle Rapid Support Forces sudanesi denunciando attacchi ai civili e scorribande nei villaggi, come se dai tempi dei janjaweed non fosse cambiato granchè. Il rapporto è un atto d'accusa quasi formale al governo del Sudan ma è evidentemente passato in secondo piano, sia per l'UE che per l'Italia, che con i vertici dell'RSF hanno siglato accordi pericolosi in termini di tutela del diritto.

In tal modo l'Europa finanzia di fatto la perpetrazione del genocidio in Darfur, nei Monti Nuba e nella regione del Nilo Azzurro e cade nella trappola tesa da Omar al-Bashir, che grazie ai denari europei paga gli stipendi alle RSF e può concentrare le finanze pubbliche su altro, come nel corrompere le autorità di altri Paesi ed evitare così l'arresto. In questo modo inoltre le RSF acquistano legittimità e credibilità internazionale e si rischia di coprire con un velo pietoso le accuse di genocidio al presidente del Sudan e ai generali degli ex-miliziani “ripuliti”. Ad oggi il governo di Khartoum ha ricevuto 223 milioni di euro dal fondo fiduciario europeo per frenare il flusso dei migranti che entrano in Libia da sud: migliaia di uomini sono stati schierati nel deserto tra Sudan, Libia ed Egitto ma è evidente che le ragioni che spingono le persone a rischiare la vita e migrare sono più forti del terrore che le milizie incutono loro.

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