Originale: Counterpunch

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21 ottobre 2016

 

Il Sudan, l’Africa e il mosaico di orrori

di Andre Vltchek

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Prima parte

 

Khartoum, Sudan.

“Quale potrebbe essere l’immagine più impressionante, un’immagine che descriverebbe chiaramente il coinvolgimento distruttivo degli Stati Uniti in Sudan?” chiedo. “In breve, che cosa dovrei fotografare che possa mostrare la sofferenza del popolo sudanese?”

“Andiamo a fotografare quello che resta della fabbrica di Al-Shifa,” mi dicono. “E’ terribile, e realmente simbolica.”

E’ pressoché impossibile fotografare una qualsiasi cosa in Sudan. Per motivi giusti o sbagliati, il governo è paranoico. Permessi complicati devono essere rilasciati per viaggiare fuori dalle principali aree urbane, e per fare foto e video anche all’interno della capitale stessa, Khartoum. Se si osa farlo, si deve operare rapidamente e clandestinamente, anche se si progetta di non fare nulla di dannoso per il Sudan.

E certamente non venivo qui come nemico.

Perché ero qui? Dopo aver fatto i miei film, dopo aver fatto servizi sulle orribili guerre dei Grandi laghi africani, essere stato testimone della terribile devastazione della Repubblica Democratica del Congo (DRC), ero infine arrivato in Sudan che per me rappresentava il pezzo che rimaneva, quell’ultimo pezzo del “puzzle” , la parte del mosaico degli orrori che coprono ora l’intero continente africano.

Ho pensato che dovevo essere lì, per comprendere tutte le sottili sfumature del modo in cui i disegni imperialisti occidentali hanno a poco a poco frammentato e rovinato tutto questo continente.

Ho convinto uno dei miei amici a Khartoum ad accompagnarmi, e il terzo giorno che ero in Sudan, siamo partiti in macchina verso il luogo ‘vista’leggendaria della ex casa farmaceutica di Al-Shifa, ad Al Khartoum  Bhari (la terza città più popolosa del Sudan, n.d.t.). La strada che abbiamo preso attraversava quartieri relativamente        pine di case grandi,  anche di ville, alcune delle quali, mi è stato detto, appartengono alo stesso Omar al-Bashir (l’atttuale presidente del Sudan, n.d.t.) e ai suoi parenti.

La nostra macchina è passata vicino al bizzarro complesso della Moschea di Al-Noor, che è costruita in stile turco.

“Forse questa è la sola moschea al mondo che ha un supermercato dietro le sue mura.,” mi ha spiegato la mia guida, con un sorriso sarcastico. “L’investimento e l’idea sono venute dal nostro presidente, da Bashir stesso.”

Pochi minuti più tardi vediamo quello per cui siamo venuti qui: le macerie, la devastazione. Una ciminiera superstite della fabbrica è proprio di fronte a noi. Sul lato sinistro della strada, c’è soltanto pura distruzione. 18 anni dopo lo ‘evento’ nulla cresce qui, e nulla, nessuna struttura ha rimpiazzato quello che è stato trasformato in detriti.

Lavoro rapidamente. Non voglio essere preso. Sono venuto  per  documentare la brutalità del regime globale occidentale, ma in qualche modo qui mi sento un ladro, un intruso. A questo punto non so ancora perché.

La fabbrica di Al-Shifa è stata colpita e distrutta dai missili da crociera statunitensi Tomahawk nel 1998, proprio pochi giorni dopo gli attacchi terroristici alle ambasciate americane sia in Kenya che in Tanzania. Bill Clinton ordinò l’attacco, sostenendo che il complesso aveva deposito gas nervino, cosa che venne energicamente negata sia dal governo sudanese che dal proprietario dell’impianto.

Il 20 ottobre 2005, il New York Times riferì in un suo articolo eccezionalmente critico:

“Gli ufficiali americani hanno riconosciuto, nel corso degli anni, che le prove che indussero il Presidente Clinton a ordinare l’attacco missilistico all’impianto di Shifa non erano così solide come presentate all’inizio. In effetti, gli ufficiali in seguito hanno detto che non c’era nessuna prova che l’impianto avesse prodotto o conservato gas nervino, come inizialmente sospettato dagli Americani o che fosse stato collegato a Osama bin Laden che risiedeva a Khartoum negli anni ’80… nessuna scusa era stata presentata e non era stato offerto nessun risarcimento, cosa che fa infuriare il governo del Sudan, perfino sette anni dopo che la terra aveva tremato e il cielo buio sopra Khartoum era diventato chiaro quando l’impianto fu colpito.

Nel più recente anniversario del bombardamento, le autorità sudanesi hanno fatto quello che fanno sempre e hanno ripetuto la richiesta di un’indagine dell’ONU sull’attacco americano alla fabbrica che, se non altro, era un importante fornitore di medicine per le persone e gli animali nel periodo in cui fu distrutto.

Anche Mustafa Oman Ismail he fino a poco tempo era ministro degli Esteri, il mese scorso ha sollevato la questione al summit dell’ONU a New York, dicendo che il “bombardamento aveva danneggiato gli sforzi si sviluppo del mio paese e aveva privato la mia gente delle medicine essenziali.””

“E’ totalmente paradossale”, mi viene detto, mentre ce ne andiamo via. “Gli Americani hanno rovinato la più importante fonte di fornitura di medicine. Hanno bombardato una fabbrica privata che in realtà apparteneva a una persona che aveva legami estremamente stretti con gli Stati Uniti.”

Questo, però, non è il solo paradosso che incontrerò in questo paese. E non è il solo paradosso in relazione con l’arci-tormentatore: gli Stati Uniti.

A Khartoum ho incontrato un sacco di persone: sudanesi, eritrei, europei e anche asiatici.

Ho continuato a fare le stesse domande a tutti: il Sudan è davvero in contrasto con l’Occidente, in particolare con gli Stati Uniti? Oppure ‘il gioco’ è molto più complesso di questo?

Se il Sudan è realmente una dittatura brutale, allora i sudanesi  sono sorprendentemente espliciti. Coloro che ora sono contrari al governo, parlano contro di esso apertamente, perfino di fronte a una persona completamente straniera, come me. Questo sarebbe impensabile, anche nell’ Egitto o  nella Turchia di oggi.

“Ma nessun nome, per favore, nessun nome,” mi viene detto.

Capisco. Prendo appunti, ma non scrivo alcun nome.

Un uomo che lavora per un’organizzazione internazionale ride, mentre stiano cenando:

“In Sudan le persone possono incontrarsi e dire qualunque cosa vogliono. Nessuno si preoccupa. Ma Dio ne scampi se cominciano a organizzarsi.”

È loquace  e cordiale. Però in seguito scopro che pensa ( e che dice ai suoi colleghi) che sono una ‘spia’, il che, a sua volta, mi viene spiegato, qui è il modo usuale di considerarsi vicendevolmente.. E’ sufficiente essere metà eritreo o etiope per essere sospettato di spionaggio. Tutti gli occidentali sono considerati assolutamente come spie professioniste, indipendentemente da come siano forti le loro credenziali anti-imperialiste.

Questo costante sospetto è ciò che mi ha messo a disagio in Sudan, dal primo momento che sono sceso dall’aereo. Non mi ero sentito così in Eritrea o in Zimbabwe. Là sapevano chi ero e che cosa faccio: leggono i miei libri e hanno visto i miei film, e di conseguenza si fidavano di me.

Qui i paradossi si accumulano l’uno sull’altro. C’è questo embargo brutale e un conflitto aperto tra l’Occidente e il Sudan. Già molti anni fa la Corte penale internazionale  aveva emesso un mandato di arresto per il presidente.  E’ quasi impossibile ottenere un visto sudanese se si ha il passaporto degli Stati Uniti, ma, come mi viene detto, metà dei parlamentari sudanesi hanno la cittadinanza americana e fanno regolarmente i “pendolari” tra Sudan e Nordamerica. Bizzarro? Sì, totalmente. E’ anche possibile? Apparentemente sì: benvenuti in Sudan!

Nel frattempo, davanti a una delle bistecche più gustose mai mangiate, il mio conoscente apre completamente il suo cuore a me (presunta spia straniera):

“Abbiamo una qualità carne tra le migliori del mondo…L’embargo significa: niente sostanze chimiche, tutto è organico. I sudanesi sono  mandriani… carne di bue, di pecora… Una terra così ricca! Abbiamo tanta acqua sottoterra. La nostra gente è simpatica, pacifica, accogliente…Vogliamo essere amici di tutti nel mondo.”

Alla fine, mia aiuta a trovare una macchina per il giorno successivo. Non ci si aspetta che l’uomo lo faccia, dato che non mi permesso guidare da nessuna parte in questo paese, specialmente se pensa che sono una spia.

Le cose sono leggermente confuse, ma mi sto rapidamente abituando.

Vari analisti africani e  di altre nazioni ora credono che gli avvenimenti in Sudan, il desiderio dell’Occidente di destabilizzarlo, di rovesciare il suo governo  e alla fine di

fare a pezzi il paese, siano strettamente collegati al terrificante passato e presente del resto dell’Africa Centrale, particolarmente al Ruanda, all’Uganda e alla repubblica Democratica del Congo. Altri contestano questa ipotesi.

Il disaccordo riguarda spesso il dubbio se il principale bottino dell’Occidente si pensava realmente che fosse la Repubblica Democratica del Congo o il Sudan.

Nella sua opera leggendaria, pubblicata per la prima volta nel 2004, Central Africa: 15 years after the end of the Cold War. The International Involvement, il Dottor

Helmut Strizek, un accademico tedesco, afferma:

“La maggior parte delle persone si aspettava che Clinton con le sue tendenze di “sinistra” avrebbe fatto pressione al regime di Bashir-Turabi per intraprendere un processo di democratizzazione in linea con l’approccio Bush-Mitterand che era stato adottato dopo la fine della Guerra Fredda. Le cose, però, presero un corso differente. Clinton e Madeleine Albright, la nuova ambasciatrice americana all’ONU, considerava che il Sudan era uno “stato canaglia” e il nemico numero uno in Africa Centrale. Hanno perciò adottato un approccio di procura (fate combattere agli altri la vostra guerra”), una ben nota strategia che era stata applicata durante la Guerra Fredda.

Era improbabile che Mitterand assecondasse il previsto “cambiamento di regime” a Khartoum. Evidentemente non era informato della politica di Washington per il Sudan e non poteva comprendere gli effetti che questa nuova politica aveva sul problema del Ruanda. Dopo il disastro della Somalia del 3 ottobre 1993, Madeleine Albright usò ogni modo possibile per minimizzare un contributo statunitense alla forza per il mantenimento della pace, UNAMIR (United Nations Assistance Mission for Ruanda – La Missione di assistenza delle Nazioni Unite per il Ruanda),previsto  negli accordi di Arusha. Queste attività sono state i primi segnali che gli Stati Uniti desideravano ridurre il loro impegno a favore della condivisione del potere in Ruanda, aiutare Museveni e il suo amico, Paul Kagame, a vincere la guerra del Ruanda e a trovare altri alleati anti-Khartoum.”

Gli orrori in Ruanda avvennero nel 1994 e poi  il Fronte Patriottico Ruandese (FPR) dei Tustsi, appoggiato dagli Stati Uniti, prese il potere quasi immediatamente dopo (o si potrebbe dire quasi simultaneamente), lo stesso anno. Un anno più tardi, il Ruanda e l’Uganda iniziarono una delle guerre più brutali e genocide nella storia del 20° secolo – quella contro il popolo della Repubblica Democratica del Congo. La guerra continua ancora adesso, e viene combattuta per conto di varie potenze occidentali e in nome di interessi commerciali. In base a un calcolo recente, almeno 10 milioni di persone hanno già perduto la vita.

L’Occidente era interessato a raschiare via varie parti del Sudan ricche di risorse, compreso l’allora cosiddetto Sudan del Sud. Anche l’Uganda confinante era estremamente interessata al ‘progetto’. Godeva di totale impunità e stava chiaramente emergendo come potenza regionale brutale. Aveva già rifornito, addestrato e consolidato i quadri del RPF (prima che questo prendesse il potere nel vicino Ruanda). Stava già dando una mano a saccheggiare la DRC, e si sentì improvvisamente pronta a partecipare e a pensare in grande.

Non tutti sono stati impressionati, ma i rischi erano estremamente alti, e i capi ribelli, quelli che non volevano appoggiare i piani machiavellici dell’Occidente, cominciarono  a muoversi.  Helmut Strizek continua:

“Il Segretario Generale dell’ONU Boutros-Ghali a Washington era considerato un “simpatizzante della Francia e del Sudan”. Divenne una vittima illustre dell’avvicinamento al Sudan.  Richard Clarke *rivela uno strano patto: “La Albright, io e un gruppo di altre persone (Michael Sheenan, Jamie Rubin) erano entrati in un patto insieme, nel 1996, per rimuovere  Boutros-Ghali dalla carica di Segretario Generale delle Nazioni Unite, un piano segreto che avevamo chiamato Operazione Orient Express (…). L’intera operazione aveva rafforzato il potere della Albright nella competizione per diventare Segretario di Stato nella seconda amministrazione Clinton.” (CLARKE, 2004:201/202). Questo patto fu fatto dopo un tentativo, attribuito al regime di Khartoum – di uccidere il Presidente dell’Egitto, Mubarak, durante una conferenza dell’Organizzazione per l’Unità Africa ad Addis Abeba, nel giugno 1995. “In seguito a quell’evento, l’Egitto e noi (e altri paesi nella regione che si unirono a noi), cercarono e ottennero le sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul Sudan.”

Ebbene, l’Egitto era sempre dalla parte dei colonialisti britannici, quando si trattava delle guerre contro il Sudan. Analogamente ai suoi predecessori, Mubarak servì fedelmente l’Impero.

Nel 1998, Bill Clinton organizzò un ‘incontro’ nella città ugandese di Entebbe, allo scopo di amalgamare un gruppo dei “delegati” che erano disposti a dara il via a una guerra contro Khartoum.

Di nuovo Helmut Strizek:

Invece che per promuovere la democrazia il meeting era inteso a prepararsi per la guerra contro Khartoum con l’aiuto della cosiddetta “nuova generazione di leader africani”. La guerra, però, non ebbe mai luogo. Poco dopo che Clinton lasciò l’Africa, scoppiò un’assurda guerra tra l’Etiopia e l’Eritrea. Laurent Kabila, il cui curriculum anti-democratico – secondo vari resoconti sulla stampa – aveva fatto sentire molto a disagio Clinton a Entebbe – usò questa guerra come scusa per lasciare l’alleanza contraria a Khartoum e per cercare di liberarsi dei suoi “protettori” ruandesi, alla fine di luglio del 1998.  Di conseguenza l’alleanza anti-Khartoum crollò.”

“Mentre la guerra programmata non riusciva a materializzarsi, l’iniziativa politica congiunta di Stati Uniti e Regno Unito di spodestare il governo sudanese, andava avanti. Anche se Richard Clarke vorrebbe far credere al mondo che il bombardamento di un impianto chimico a Khartoum il 20 agosto 1998, fatto in rappresaglia per gli attacchi di Al Qaida contro le ambasciate americane a Nairobi e a Dar-es-Salaam era stata una storia di successo, di fatto fu un fallimento. Questo attacco servì soltanto ad esacerbare i sentimenti anti-americani, perché il governo del Sudan chiaramente    non appoggiò  Osama bin Laden dopo che lasciò il Sudan nel 1995. Il tentativo fallito di uccidere bin Laden lo stesso giorno in Afghanistan, rafforzò la sua convinzione che era protetto dalla “provvidenza” e accelerò la lotta contro il “demonio americano.”  

“Malgrado le migliorate relazioni tra Sudan ed Egitto, non ci fu nessun cambiamento nella politica di causare un cambiamento di regime a Khartoum prima della fine dell’era Clinton. Perfino Jimmy Carter che non può essere sospettato di eccessiva simpatia per il fondamentalismo musulmano, nel 1999 disapprovò questo approccio inflessibile. “I Sudanesi vogliono  risolvere questo conflitto. Il più grosso ostacolo è la politica del  governo statunitense. Gli Stati Uniti sono impegnati a rovesciare il governo di Khartoum. Qualsiasi genere di tentativo di pace è abortito, fondamentalmente a causa delle politiche degli Stati Uniti. Invece di operare per la pace in Sudan, il governo degli Stati Uniti hanno sostanzialmente promosso la prosecuzione della guerra.”

Ciò che diceva Jimmy Carter è certamente corretto, ma, naturalmente non si applica esclusivamente al Sudan. Potrebbe essere applicato a quasi tutti i conflitti in cui l’Impero ha qualche coinvolgimento (perciò    quasi tutti), da quelli in Africa, a quelli in Medio Oriente, compresa la Siria.

Helmut Strizek crede che le guerre nella regione dei Grandi Laghi africani fossero collegate direttamente al tentativo statunitense di destabilizzare il Sudan, che fossero realmente innescate dall’Occidente affinché il Sudan alla fine venisse distrutto o conquistato.

Molti altri, invece, compreso un leggendario avvocato penalista canadese, Christopher Black, che si è interessato molto agli avvenimenti della regione (dove lavorava per la ICTR ad Arusha, in Tanzania), non sono d’accordo. Chris mi ha scritto, poco dopo avergli inviato il rapporto di Strizek:

“Strizek…ha testimoniato per la difesa al nostro processo dell’ICTR (il Tribunale penale internazionale per il Ruanda) e ha proposto la sua tesi sul Sudan. Penso che la maggior parte delle cose che dice sono giuste ma allora trovavo e trovo anche adesso che la sua teoria che la guerra in Ruanda era per il Sudan, sia un poco difficile da accettare. Forse è stata una delle considerazioni per Museveni e gli Stati Uniti e il Regno Unito, ma non è stata primaria. Quella primaria era la guerra allo Zaire, per cacciare via Mobutu e fare a pezzi il Congo. Questo era il piano fondamentale per l’RPF (Fronte Patriottico Ruandese), per gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Belgio, ecc.  riguardo al Ruanda, e ho una lettera di Kagame che dice così. Strizek era usato da un gruppo di difesa opposto nel mio processo, per far sembrare che avessi falsificato quella lettera di Kagame e che dopo lo avessi perseguito. Penso che fosse caduto in una trappola al riguardo, cioè che l’altro gruppo di difesa he sono sicuro lavorasse per l’accusa, lo hanno raggirato per farglielo fare. Ne abbiamo discusso in seguito e lui ha ammesso che forse si era sbagliato ma non ha ritrattato del tutto. Ma siamo ancora in contatto…E così, secondo me, il resto del suo documento è fondamentalmente corretto riguardo alla situazione geopolitica e ha ragione sul chi ha invaso il Ruanda ed è responsabile per quella guerra, ma non sono d’accorso che il Sudan fosse l’obiettivo centrale di quella guerra – l’obiettivo era lo Zaire. Sono d’accordo circa l’importanza del Sudan, ma non riesco a capire come la presa di controllo del Ruanda abbia avuto un qualsiasi effetto sul tentativo di dividere il Sudan. Non è al confine con il Sudan, l’Uganda è al confine. Non c’è dubbio che Museveni volesse quel risultato – ma non ho mai potuto capire in che modo il Ruanda si inserisse in quel quadro tranne che in senso generale – cioè che gli Stati Uniti volessero prendere il controllo di tutta l’Africa Centrale, il che li avrebbe resi più forti più a nord in Sudan, ecc. E’ chiaro però da tutte le altre prove al processo e da quella dell’esperto francese Dottor Bernard Lugan e di altri, che il principale obiettivo della guerra in Ruanda era di prenderne il controllo, in modo che potessero usarla per attaccare e dividere lo Zaire, cosa che hanno fatto.”

 

Seconda parte

 

Khartoum, Sudan.

Il mio amico,  un politico ugandese  dell’opposizione, Arthur Tewungwa, è d’accordo con Christopher Black, ma pensa anche che l’Occidente abbia “impregnato di sangue”  l’intera  regione, qualunque siano stati i suoi  ‘obiettivi primari’:

“Il Sudan, l’Uganda, il Ruanda e la DRC sono stati tutti paesi vittime di una politica estera transatlantica che ha lasciato la regione rovinata e impregnata di sangue. Mentre i motivi sono stati presentati come altruistici, il risultato netto è stato spaventoso. Una pressante propaganda occidentale basata su interpretazioni semplicistiche è stata all’ordine del giorno. Purtroppo  questo approccio ha attirato

persone famose e altri individui con buone intenzioni che hanno contribuito alla sofferenza pari soltanto a quella della II Guerra mondiale. Il Darfur, la zona di Luwero, il Congo orientale e il Ruanda hanno narrazioni che non resistono al test di un esame minuzioso oggettivo. Chi riparerà i danni inflitti a questi posti? L’unica risposta è: le vittime. I filantropi hanno fatto abbastanza male a garantirsi la fuga dalla scena!”

Ho poi domandato al mio amico intimo e internazionalista convinto, Mwandawiro Mghanga, presidente del Partito (marxista) Social democratico del Kenya (SDP) di commentare la situazione in Sudan. Nella sua lettera ha espresso una forte opinione e il suo appoggio al popolo sudanese, contro le sanzioni e contro l’imperialismo occidentale in generale:

“Le sanzioni economiche e politiche imposte al Sudan dai paesi occidentali esistono da molti anni. Tuttavia, a parte interrompere lo sviluppo del paese, non sono riuscite a costringere le persone che hanno una lunga e gloriosa storia e cultura a consegnare la propria libertà all’imperialismo occidentale. I paesi occidentali hanno imposto le sanzioni contro il Sudan verosimilmente a causa delle sue violazioni dei diritti umani nel Sudan del sud che fino a poco tempo fa era una parte del Sudan.

Ma anche dopo che il governo del Sudan ha partecipato al processo democratico che ha dato origine alla Repubblica del Sud Sudan (RSS), l’Occidente ha continuato con le sue ostilità e sanzioni contro il Sudan. Il paese è ora accusato dall’Occidente di clamorose violazioni dei diritti umani nel Darfur. Malgrado la propaganda, tuttavia, l’Occidente non è realmente interessato a risolvere il problema del Darfur, ma a minare il governo del Sudan, compromettendone la sovranità e ritagliando un altro paese dal Sudan. Dopo la RSS e il Darfur, l’Occidente incoraggerà un’altra regione del Sudan a chiedere di dividersi,  e così via, fino a quando il Sudan sarà ridotto a un minuscolo paese, come il Ruanda. Infatti, fino a quando non fu creata la RSS,  il Sudan era il paese più grande dell’Africa, in termini di dimensioni geografiche e di varietà etnica. Questo non ha fatto piacere all’imperialismo occidentale che si impose in Africa per mezzo della spartizione e della balcanizzazione del secondo più grande continente del mondo e spartendolo tra le potenze coloniali europee. Il colonialismo esisteva allora in Africa per mezzo della famigerata tattica del “dividi e comanda” che continua ancora oggi. Lo scopo del Pan-Africanismo e dell’Unione Africana, per l’integrazione regionale e la futura unione politica dei paesi africani, è stata sempre considerata come una minaccia agli interessi degli imperialisti in Africa. In questo contesto, il Sudan, come la Repubblica Democratica del Congo (DRC) che ha ricche risorse naturali, è considerato troppo grosso dall’Occidente da dominare e perciò vengono usati tutti i mezzi possibili per balcanizzarlo (cioè per dividerlo in unità più piccole). A loro non importa neanche che la creazione della  RSS  sia degenerata in violenza etnica, violazione dei diritti umani e che abbia minato le reali libertà. L’eroe nazionale della liberazione del Sudan e capo del Sudan del Sud, John Garang, è stato assassinato dall’Occidente con la connivenza del governo ugandese durante la presidenza di Yoweri Museveni perché lui stava conducendo la lotta per la liberazione di tutto il Sudan e non per la creazione della RSS. Nel frattempo, le sanzioni contro il Sudan hanno soltanto reso il paese più determinato a salvaguardare la sua libertà e indipendenza, a ricercare e mettere in atto strategie di autonomia e a cercare soci per uno sviluppo alternativo – la Russia e la Cina. E quindi il Sudan lotta e continua a vivere.”

Tuttavia, non tutti in Africa provano profonda solidarietà verso il Sudan. Il paese ha una storia e relazioni con i suoi vicini estremamente complesse. Il mio collega dell’Eritrea, di solito molto esplicito e passionale riguardo al devastante coinvolgimento dell’Occidente in Africa, questa volta ha commentato, semplicemente e seccamente:

“L’unica cosa che posso dire è che la situazione in Sudan non è simile a quella in Eritrea; il nostro è chiaramente un caso di sabotaggio economico, di ingiustizia e dell’uso di due pesi e due misure.

Il giorno prima della mia partenza, ho  lavorato con una signora, una mia conoscente, che ha passato un anno lavorando in Darfur.

Le cose sono davvero come vengono descritte dai mass media occidentali?

Siamo seduti nella lobby del mio albergo, bevendo un caffè e io prendo appunti. Niente nomi, naturalmente, niente nomi qui…Ma la signora parla liberamente, con disinvoltura e ciò che descrive non è molto diverso dagli incubi che ci sono in molte altre parti dell’Africa:

E’ estremamente faticoso lavorare in Darfur. Uno non se ne rende conto quando è ancora lì; a un certo punto tutto diventa in qualche modo “normale”, ma poi, quando si lascia quel posto, tutto vi torna indietro ed è difficile mantenere continuare a vivere una vita normale in seguito. Mi chiede se in Darfur la situazione è così orribile come ci dicono? Sì, e forse peggiore…Le uccisioni e gli stupri, i rifugiati e la disperazione, la grande sofferenza delle persone…Onestamente, però, non sta accadendo soltanto a causa di questo governo e delle milizie Janjaweed appoggiate dallo stato…anche se possono essere colpevoli di molti atti terribili, naturalmente. Ma neanche l’altra parte è senza colpe. E la gente locale quasi mai riferisce i crimini commessi dai ribelli, e i media occidentali a malapena ne parlano.

Quello che voglio sapere è: quale ruolo l’Occidente  sta svolgendo in realtà nel Darfur?

L’Occidente  sta senz’altro cercando di incoraggiare il Darfur a lasciare il Sudan. L’Occidente, anche Israele, sta appoggiando i ribelli di Abdelwahid (leader del Movimento di Liberazione del Sudan) della tribù africana Fur. Non è improbabile che cosa ha fatto nel Sud Sudan. Il Darfur è ricco di uranio e di altri materie prime. Il conflitto in Darfur e la sua brutalità, vengono in realtà alimentati dall’esterno. La forza dell’ONU per il mantenimento della pace, l’UNAMID (missione ibrida dell’ Unione Africana e delle Nazioni Unite in Darfur), è completamente inefficace. A malapena interferisce per conto della popolazione locale. Ci si deve chiedere quali siano il suo mandato e i veri scopi nella zona. Ho chiesto e mi hanno detto che è lì per ‘riferire’. Spesso sembra che la cosiddetta comunità internazionale stia facendo qualsiasi cosa affinché il conflitto continui, in modo che possa giustificare la sua spinta verso la separazione.  Nel frattempo i rifugiati stanno affluendo nel vicino Chad e in altri luoghi. Nei campi del Chad vengono spesso  intervistati, anche dagli israeliani…Non so che cosa succede in quei campi, dopo.

Mentre parliamo del Chad, il suoi massimi capi militari stanno facendo una riunione congiunta con i locali comandanti sudanesi. Tutta la lobby dell’hotel è piena di uomini con varie uniformi.  Alcuni sono armati.

Chiedo poi di essere accompagnato nelle cosiddette “zone aperte” fuori Khartoum; sono luoghi abitati dai rifugiati del Sud Sudan. Come il Darfur adesso, il Sud Sudan in passato era stato destabilizzato e incoraggiato a lasciare la Repubblica del Sudan. L’Occidente fece del suo meglio per creare il ‘paese più giovane sulla terra’, ricco di petrolio e di molte altre risorse.

Come mi era stato spiegato in parecchie occasioni dagli stranieri che erano stati di base nel Sud Sudan, il luogo, fin dall’inizio è stato ingovernabile ed era un paese artificiale, governato da signori della guerra locali, ma soprattutto, da innumerevoli organizzazioni internazionali e ONG. Questo è stato realmente il piano dell’Occidente dall’inizio.

La situazione nel Sud Sudan è ora così terribile, che la gente scappa attraverso il confine di recente segnato, nella Repubblica del Sudan. Prima della separazione, gli esuli venivano trattati  semplicemente come IDP (Internally Diplaced Persons- cioè ‘sfollati’) ma ora sono ‘veri rifugiati’ dato che, arrivano, tecnicamente, da un paese diverso.

Viaggiamo lentamente in macchina verso una delle ‘zone aperte’ che si chiama Altakamul, nella città di Alhag Youseif. I miei conoscenti mi forniscono i dati più recenti dell’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e di altre fonti: “ci sono ora 7 campi per i rifugiati del Sud Sudan nello Stato del Nilo Bianco, con una popolazione di 101.495  persone. E ci sono 35.507 rifugiati collocati nelle zone aperte, dentro e attorno a Khartoum.”

Come vengono trattati qui?

“Subito dopo la separazione, si è parlato molto della popolazione del Sud Sudan dicendo che sono i nostri ‘fratelli e sorelle’. Ci venne detto di trattarli esattamente come tratteremmo la nostra gente. Alcuni in realtà hanno parenti qui, anche una casa. Ora, però, con le difficoltà economiche che sta affrontando il Sudan, le cose stanno diventando molto problematiche.”

Altakamus è un’area dura, tristemente povera, coperta da sabbia e polvere. Come in qualsiasi altro posto, non si pensa che qui faccia delle fotografie. E come in qualsiasi altro posto, le scatto.

L’immondizia copre quasi interi vicoli e i lati delle strade. L’intera area è formata quasi esclusivamente da due colori soltanto con alcuna varietà di sfumature: giallo e grigio.

Si potevano notare soltanto poche attività economiche A quest’ora i bambini dovrebbero essere a scuola, ma molti non ci sono.

E così è qui che il numero crescente di persone del Sud Sudan finiscono per arrivare: questo è il risultato di un ulteriore ‘magnifico’ esperimento occidentale sugli esseri umani: confondersi con i confini, creare nuovi stati che dovrebbero servire gli interessi politici ed economici dell’Impero. Quanti altri  sono programmati per questa area? Ne  conosciamo almeno alcuni altri: Goma (DRC), Darfur (Sudan), Jubaland (Somalia).

Non so dove sia diretto il Sudan. Malgrado molti problemi, malgrado la sua tendenza chiaramente capitalista, la corruzione e i guai economici, sono impressionato da molte cose di qui. Khartoum appare molto più pulita e sicura di Nairobi o di Kampala, due città che sono pienamente sostenute  e spesso elogiate fortemente dall’Occidente. A Nairobi, più di metà delle persone vivono in quartieri bassi,  disperati, mortali, perfino ‘tossici’. A Khartoum la povertà ha un aspetto molto più amabile, malgrado le sanzioni malgrado tutto…

I leader sudanesi hanno molti nuovi piani grandiosi per il loro paese: nuove aree residenziali, un nuovo aeroporto internazionale, nuove torri per uffici, alberghi, i lungofiume, edifici per uffici e centri commerciali. Alcuni di questi progetti sono ora rimandati o anche cancellati, ma altri sono in corso e rispettano la tabella di marcia.

La vita è dura, qui e molto più dura nelle province. A causa delle sanzioni, molte merci e attrezzature di base (anche quelle per gli ospedali) mancano. Nessuna carta di credito viene accettata. L’inflazione sta crescendo. Le merci e i servizi sono spesso calcolati in dollari, ma ci sono due tassi di cambio paralleli in vigore: quello ufficiale e quello del mercato nero.

Varie volte al giorno sento la stessa domanda: “Ti piace il Sudan?”

Non lo so. E’ un luogo complesso, ma abitato da gente cordiale, cortese.

Onestamente, questa non è la mia lotta. Non vedo una lotta, un tentativo di costruire un paese ugualitario basato sulla giustizia sociale.

Ma il Sudan, in grande misura, è una vittima. Un luogo che è stato messo in quella orribile lista nera dell’Impero e che è stato scelto per la demolizione. E in quanto tale, penso che meriti di essere sostenuto.

Ho vagato nel Museo Nazionale, con i suoi raffinati reperti. Due studentesse locali con la testa coperta da foulard mi si sono avvicinate e mi hanno chiesto di farsi un selfie con me, sul loro telefonino.

A volte la vita sembra essere quasi ‘normale’, ma c’è sempre un poco di tensione.

Mentre attraversiamo in macchina la città di Omdurman, chiedo alla mia amica: “E’ vero ciò che si legge sulla stampa occidentale: che amputano le mani se si fa un furto, che inchiodano le persone sulla croce?”

Ride in tono di scherno: “Naturalmente, no! Si sono liberati di queste pratiche molto tempo fa! Se le avessero mantenute, metà del governo starebbe correndo di qua e di là senza mani!”

Ma chi è chi qui, e chi lavora per chi? Mi dicono che ‘spie’ immaginarie sono davvero dappertutto.

Un giorno ero seduto con un amico e un regista locale in un caffè, discutendo della possibilità di ritornare qui e di fare un documentario. Il regista si offriva di portarmi in macchina a Port Sudan se tornerò qui e anche di occuparsi dei miei visti e di tutti i permessi necessari.

A un certo punto cominciammo a parlare del mio più recente romanzo, “Aurora”. Mi ha chiesto la trama. Gli ho detto che il libro tratta delle istituzioni culturali europee che stanno finanziando giovani artisti e  intellettuali in quasi tutti i paesi in via di sviluppo, usando poi le arti e la ‘cultura’ come veicolo per diffondere la propaganda capitalista e pro-Occidente, mettendo a tacere quasi tutte le voci ribelli.

Mentre era interessato all’inizio, il regista divenne gradualmente molto nervoso e verso la fine della mia spiegazione, si scusò e uscì correndo dal caffè, più veloce della luce. Non l’ho mai più sentito.

“Hai colpito nel segno”, la mia amica cominciò a dire ridendo, subito dopo che era svanito. “E’ finanziato da tutte quelle organizzazioni che hai citato. Lo hai spaventato.”

Prima che lasciassi il paese, tutti i miei appunti sparirono ‘misteriosamente’. Qualcuno entrò nella mia camera d’albergo e mi prese sia il blocco per gli appunti  che la mia penna Mont  Blanc che era insieme. La Mont  Blanc era stata per molti uno dei miei più cari strumenti per scrivere.

Praticamente, non fu facile partire dal Sudan. All’aeroporto il mio passaporto fu controllato senza sosta, e alla fine mi fu ordinato di mostrare il mio ‘documento di registrazione’. Mi era stato detto che la registrazione non è necessaria per un soggiorno più breve di 30 giorni. Ho cominciato aa aspettarmi il peggio, ma, alla fine, l’apparato della sicurezza mi permise di partire.

Ma quale apparato di sicurezza mi stava tormentando, realmente? Chi è il  responsabile in questo paese?  Probabilmente non lo scoprirò mai.

Nel 1898, durante la battaglia di Omdurman (e in seguito, nel 1899, durante la battaglia di Umm Diwaykarat), l’imperialismo britannico si indebolì e alla fine rovinò tutto il Sudan. Le forze britanniche contavano sulla loro alleanza con gli egiziani.

Nella storia moderna, l’Occidente non ha mai realmente lasciato in pace questa orgogliosa nazione.

Tutti i terribili attacchi arrivavano in nome di più alti principi. L’Occidente ha sempre sostenuto che stava liberando il Sudan da qualcuno o da qualche cosa. Alla fine, i sudanesi hanno sofferto immensamente. Coloro che si supponeva si fossero stati ‘liberati’, in realtà furono sacrificati spietatamente. Certe cose non cambiano mai!

 


Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha scritto articoli sulle guerre e i conflitti in dozzine di paesi. Tre dei suoi libri più recenti sono: Il romanzo rivoluzionario “Aurora”, e due opere di successo di saggistica:  “Exposing Lies of the Empire” [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism” )[Lotta contro l’imperialismo occidentale].

Guardate altri suoi libri su: http://andrevltchek.weebly.com/books.html

Andre sta realizzando documentari per teleSUR e Al-Mayadeen.. Dopo aver vissuto in America Latina, in Africa  e in Oceania, Vltchek attualmente risiede  in Asia Orientale e in Medio Oriente  e continua a lavorare in tutto il mondo. Può essere raggiunto sul suo sito web http://andrevltchek.weebly.com/ e su Twitter https://twitter.com/AndreVltchek

http://valladan.blogspot.it/2011/08/chi-e-richard-clarke.html


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.counterpunch.org/2016/10/21/sudan-africa-and-the-mosaic-of-horrors

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