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Giovedì 11 febbraio 2016

 

Incombe la fame

di Bianca Saini

 

Il Sud Sudan è “sull’orlo della catastrofe”. È l'avvertimento lanciato da tre agenzie Onu sulla situazione alimentare della più giovane nazione africana, afflitta da un conflitto civile che va avanti ormai dal 2013. Il 25% dei sudsudanesi ha urgente bisogno di aiuti alimentari. Ma il processo di pace è in stallo e non si riesce a raggiungere la popolazione allo stremo.

 

In un comunicato stampa congiunto, diramato l’8 febbraio, tre agenzie dell’Onu - Fao, Wfp e Unicef – hanno lanciato l’allarme per il crescere dell’insicurezza alimentare in Sud Sudan. Non è il primo appello del genere, ma a renderlo nuovo e più preoccupante dei precedenti sono le considerazioni su cui si basa. 40.000 persone sono già adesso “sull’orlo della catastrofe”, che, nel linguaggio dell’Onu, significa che stanno già ora cominciando a morire di fame.

Altri 2 milioni e 800 mila, il 25% della popolazione totale, continuano ad avere urgente bisogno di aiuti alimentari per non cadere nella situazione in cui si trovano i 40.000 prima citati. E questo succede ora, il periodo generalmente più favorevole perché segue immediatamente la stagione del raccolto. I granai pertanto dovrebbero essere pieni. Invece quest’anno è la fame a diffondersi.

Gli indici di malnutrizione sono in continuo aumento a causa di alimentazione scarsa e di cattiva qualità perché priva degli elementi nutrizionali indispensabili; in certe zone, ad esempio, ci si nutre di erbe perché i tuberi, come le radici dei gigli d’acqua, già cibo di assoluta emergenza, sono finiti. Ma il picco arriverà tra aprile e luglio e la gente sarà già stremata. Poi si arriverà ai mesi della stagione delle piogge, quando nel paese sarà impossibile muoversi perché le strade diventano impercorribili, soprattutto nel nord, la zona più devastata dal conflitto e dove si concentra la popolazione a rischio. Attualmente molte zone rimangono inaccessibili a causa dei combattimenti che non sono cessati, nonostante la firma di accordi di pace lo scorso agosto.

 

Economia al collasso

Altre circostanze ancora rendono la situazione di quest’anno particolarmente allarmante. L’aumento dei prezzi delle derrate alimentari dovuto alla forte svalutazione della moneta locale che ha reso inaccessibile a una larga fascia della popolazione anche il cibo di base. La diminuzione delle derrate alimentari sul mercato, dovuta alla mancanza di dollari che servono per l’importazione. Tutto o quasi, infatti, è importato in Sud Sudan, dai cereali alla verdura, dall’olio ai legumi, dallo zucchero al tè e al caffè. Nulla è prodotto nel paese, e più di due anni di conflitto hanno spazzato via anche quel poco di produzione che si era faticosamente avviata. Per questo il comunicato contiene anche un accorato appello a implementare le clausole concordate negli accordi di agosto e a rendere possibile l’accesso indiscriminato nelle aree dove si concentra la popolazione a rischio. Ma l’appello potrebbe cadere nel vuoto.

 

Accordo di pace in stallo

Infatti, nonostante l’accordo di pace firmato ormai cinque mesi fa, non sono stati fatti passi sostanziali verso la soluzione della crisi del paese. E i pochi provvedimenti in linea con il documento sono stati realizzati molto in ritardo sulla tabella di marcia concordata e unicamente grazie a una fortissima pressione internazionale. Si è arrivati a minacciare l’embargo del commercio delle armi e sanzioni ai due capi delle fazioni rivali, il presidente Salva Kiir e l’ex vicepresidente, ora vice presidente designato, Riek Machar; le misure sono state ripetutamente bloccate al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il veto della Russia e dell’Angola.

E mentre le due parti giocano al braccio di ferro sull’implementazione dell’accordo di pace non si fermano i combattimenti, specialmente nello stato di Unità e del Nilo Superiore. L’ultima denuncia di violazione del cessate il fuoco su più fronti è dell’8 febbraio. In questo caso è l'Splm-Io che accusa il governo, ma in altre occasioni le parti erano invertite. In un rapporto di esperti al Consiglio di Sicurezza si portano le prove di un continuo riarmo delle due parti belligeranti, mentre da più direzioni arrivano allarmi su un possibile, se non probabile, fallimento imminente del processo di pace e sulla conseguente ripresa del conflitto.

 

Cattivi presagi

L’ultimo è del 10 febbraio e viene da Gabriel Changson Chang, un capo militare dapprima alleato di Machar, dal quale si è poi staccato per formare un suo gruppo, chiamato Federal Democratic Party (Fdp).

Changson Chang osserva che, senza un emendamento della costituzione che limiti i poteri del presidente, il governo provvisorio spinto dalla comunità internazionale avrebbe una durata del tutto effimera. Nei giorni precedenti era stato un parlamentare di etnia shilluk, rappresentante di minoranza dello stato del Nilo Superiore a dichiarare che la divisione territoriale decisa per la zona di Malakal nel decreto che ha istituito i nuovi 28 stati non è gradita dalla sua gente e potrebbe portare a una nuova guerra. A giudicare dalle dichiarazioni del capo di stato maggiore dell’esercito, generale Paul Malang Awan, fedelissimo di Kiir fino al momento della firma degli accordi di pace, sembra esserci maretta anche nel Bahr el Gazal, la regione di provenienza del presidente, quella in cui ha le radici il suo potere.

Malang Awan parlando da Aweil, capoluogo del Northern Bahr el Gazal di cui è stato a lungo governatore, nei giorni scorsi ha affermato che ci saranno problemi se lui o qualcuno dei suoi dovrà fare un passo indietro per far posto a qualcuno della  fazione avversaria. Parole molto pesanti, in particolare perché vengono da lui, un falco nel gruppo di Kiir, che ha in mano le forze armate.

 

Equatoria in crisi

Intanto sempre più grave diventa la situazione nello stato dell’Equatoria Occidentale, in cui il conflitto è iniziato dopo la firma degli accordi di agosto, inizialmente, si dice, per la prepotenza dei militari dell’Splm, che vantano protezioni nel governo di Juba, i quali hanno mandato le proprie mandrie a pascolare sui campi coltivati della popolazione locale, che si è ribellata. Ora la situazione è difficilissima, con interi distretti e lo stesso capoluogo, Yambio, devastati dai combattimenti tra l’esercito governativo e milizie locali. Decine di migliaia di persone sono in fuga; molte hanno cercato rifugio in zone non raggiungibili dai soccorsi. Non aiuta la pacificazione l’arresto, senza capi d’accusa, dell’ex governatore, Joseph Bangasi Bakosoro, rimosso dall’incarico per decreto presidenziale con altri governatori eletti. Bakosoro era l’unico governatore indipendente eletto nel 2011, non indicato dall’Splm (il partito del presidente Kiir al potere a Juba) ed è amato ed autorevole nella sua zona.

Insomma, il Sud Sudan è ancora in piena crisi, nonostante gli sforzi della comunità internazionale di indicare e sostenere un processo di pace cui però i due contendenti si sono adeguati senza entusiasmo e che la loro base, di fatto, non ha ancora accettato.  Per questo la situazione alimentare, gravissima già oggi, è tanto più critica e allarmante. Sarà difficile raggiungere la popolazione allo stremo nella situazione appena descritta. E naturalmente si spera che non peggiori ulteriormente.

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