Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino

Numero 2424 del 29 luglio 2016

 

L'Eredità

di Raniero La Valle

 

Ringraziamo di cuore Raniero La Vale per averci messo a disposizione il testo del discorso tenuto nel Palazzo dei Musei di Reggio Emilia per il tema di "Tonalestate" 2016, il 23 luglio 2016.

 

Mi avete chiesto  - per presentare il tema di quest'anno dell'Incontro di "Tonalestate", sul tema "Un mundo sin magnana (Un mondo senza domani) - un discorso su "l'eredita'". L'eredita' e' il dono gratuito che ci viene da chi e' stato prima di noi, da chi ci ha amato per primo e ha preparato dei tesori per noi. Pero' e' difficile parlare di eredita' di fronte ai dieci morti di ieri della strage di Monaco di Baviera, a quelli del 14 luglio di Nizza, o dinnanzi agli sgozzati del Medio Oriente o alle migliaia di prigionieri nudi della repressione di Erdogan in Turchia. Non c'e' nessun discorso che si possa fare se non rendendoci conto della situazione reale nella quale giorno dopo giorno viviamo e siamo.

E proprio a partire da qui vorrei dire allora che l'eredita' piu' importante, quella che nemmeno con la morte ci sara' tolta, e' l'eredita' di Dio.

Nella cultura di oggi non si tratta piu' di un discorso condiviso. Ma tra credenti si puo' dire che da Dio abbiamo ricevuto tutto, non solo la vita, ma la terra i cieli l'acqua l'aria la musica la bellezza la santita' e tutte le creature. Naturalmente possiamo far finta di niente o non tenerne conto (basta ricordare l'"intelligenza laica" di Quasimodo dinnanzi allo stupore per lo sbarco dell'uomo sulla luna) ma se ci accorgiamo della creazione ci rendiamo conto di essere eredi di una meraviglia. E' un'eredita' cosi' bella che ne possiamo essere rapiti, e questo esserne rapiti si puo' risolvere in due modi: o ne siamo talmente avvinti ed invasi che l'unica risposta possibile e' la contemplazione e il ringraziamento, e allora c'e' una reazione di fuga: come lo stilita, che sale su una colonna, e sta li', o il monaco del deserto che pensa solo a pregare, e cosi' l'amore per le creature si rovescia in rinunzia alle creature, in fuga dal mondo, in una cattura della fine: e' la via della mistica, dell'eremo come reclusione, della anticipazione apocalittica, dello spiritualismo estremo dei giansenisti, di Port Royal, di certo dossettismo, per cui tutto e' grazia e l'operazione umana e' niente. Oppure - e questo e' il secondo modo - la meraviglia, la gratitudine e la lode delle creature prendono le forme di san Francesco, del Cantico delle creature, della Laudato si' di papa Francesco e allora attraverso l'amore di Dio si torna piu' radicalmente al mondo, si viene all'umano, si prende l'odore delle pecore e degli altri animali, e ci si sporca le mani, e si lavano i piedi alle creature e la sfida, la scommessa e' sulla dignita' della terra e la sanabilita' della storia. Dio e' tutto, d'accordo, ma noi siamo il tutto di Dio, senza di noi Dio non sarebbe pensato da nessuno.

Questi sono due modi di accettare e gestire la stessa eredita', sono due modi opposti di raccontarsi come cristiani, secondo la logica dei due contrari; in mezzo ci sono tanti modi intermedi: perche' questo e' il bello dell'eredita' di Dio, che ci lascia liberi, siamo noi a decidere che uso farne, lui non ci impone nessun modo di essere eredi. Pero' i modi non sono neutrali, indifferenti, fungibili. Non si tratta ora di dire quali sono i migliori, tra contemplare e fare, tra pregare e operare per la giustizia, tra eremo e impegno sociale: pero' si deve scegliere. E noi abbiamo un criterio di scelta nel gestire l'eredita' di Dio; infatti l'apostolo ci dice: voi siete eredi di Dio e coeredi di Cristo (Romani. 8, 17). Cioe' l'eredita' di Dio va ricevuta e gestita al modo di Cristo: lui e' il prototipo degli eredi, noi siamo coeredi con lui nelle modalita' paradossali dell'unita', nella stessa nostra persona, di umano e divino. Ossia in Cristo noi siamo eredi dell'umanita' e della divinita' di Dio; questo significa essere a sua immagine e somiglianza.

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Eredi diretti di Dio

Ciascuno di noi questa eredita' di Dio la riceve in modo diretto. Dio non e' il nostro antenato. Dio e' il nostro Padre. Sono sbagliate quelle letture della storia della salvezza secondo cui prima c'era Dio, che regnava da solo; poi e' venuto Adamo, poi Noe', poi sono venuti i Patriarchi, poi Mose', poi David, poi Gesu' e infine siamo venuti noi. In realta' nella storia della salvezza tutti gli uomini e tutti i popoli ci sono fin dal principio. Il rapporto tra i due Testamenti non e' di successione dell'uno all'altro, in una storia lineare, cronologicamente intesa, altrimenti il secondo Testamento abrogherebbe il primo; i due Testamenti sono invece sincroni, Cristo e' coeterno al Padre, non possiamo rinunciare a Nicea, Cristo e' prima di tutte le creature, il primo Adamo e' lui, non il secondo, altrimenti gli Ebrei sarebbero i padri o i nonni della nostra fede, invece sono i nostri fratelli nella fede. Dio e' nostro Padre, l'eredita' la riceviamo da lui, tutti, Ebrei e Gentili, cristiani e atei. E questa e' una percezione che dobbiamo ristabilire, nel nostro dialogo ebraico-cristiano, come nel dialogo con tutte le religioni e tutte le culture. La misericordia di Dio l'abbiamo capita dopo, ma per tutti c'era fin dal principio.

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La nostra eredita'

Ma naturalmente non c'e' solo l'eredita' di Dio. C'e' l'eredita' che ci trasmettiamo tra di noi, di generazione in generazione, e dai figli ai figli dei figli, altrimenti, come dice il manifesto di "Tonale estate",  il mondo e' senza domani. Perche' se l'eredita' si interrompe il mondo finisce.

 

Effettivamente possiamo fallire nel trattare e trasmettere l'eredita' perche' anche la nostra eredita' ha questo di bello, che ci lascia liberi, possiamo accrescerla o ricusarla, e il testatore che ci ha lasciato l'eredita' non puo' interferire sul modo in cui noi la usiamo.

Ed e' bene che sia cosi' perche' non tutte le eredita' sono buone. Ci sono delle eredita' che andrebbero ricusate, o di cui bisognerebbe purificare la memoria, per evitare che il peso delle cose passate schiacci le cose presenti e precluda quelle future.

Diceva Gorbaciov, lo sfortunato leader sovietico, quando si trattava di cambiare il mondo dopo la fine dei blocchi, che bisognava impedire che i morti tenessero per mano i vivi, costringendoli a restare negli stessi errori. Non ci siamo riusciti: dopo la caduta del Muro, non siamo riusciti a non farci trattenere per mano dai morti, abbiamo fatto un mondo peggiore di quello della guerra fredda, abbiamo portato la finanza globale al potere, invece di fare l'Europa unita abbiamo fatto il capitalismo realizzato e con i Trattati europei l'abbiamo dotato di una Costituzione rigida. La risposta alla fine del comunismo e' stata il fallimento peggiore del secolo. Dovremmo ricordare gli uomini e le donne protagonisti di allora, cosi' impari alla svolta da fare: Bush e la destra americana, la Thatcher, Eltsin, Blair finito ora nell'ignominia del rapporto Chilcot, e in Italia Cossiga, Andreotti, Occhetto, De Michelis. Percio' con le eredita' si possono fare dei guai.

 

Quando stava per finire il Novecento io ero assessore al Comune di Roma, e decidemmo di fare un convegno internazionale per vedere quali eredita' dovessimo traghettare dal secondo al terzo millennio, e quali eredita' invece ricusare e non portarsi dietro. Tra le eredita' da ricusare naturalmente c'era la guerra, c'erano i genocidi, c'erano le dottrine politiche costruite sul criterio del nemico, c'era il mondo fatto sulla misura di pochi e gli altri lasciati come scarti. Tra le eredita' invece da non perdere c'erano la Costituzione, il costituzionalismo, i diritti umani, l'eguaglianza, con l'impegno costituzionale di rimuovere le condizioni economiche e sociali che di fatto la impediscono, c'era da fare citta' aperte e solidali.

 

Le cose poi non sono andate come le avevamo pensate, e' cominciata invece la guerra perpetua, gli eredi stanno facendo esattamente il contrario di quel sogno.

Percio' noi dobbiamo avere molta cura del passato. Non tutto il passato e' buono, anche se, e non e' poco, ci ha portato fin qui. Occorre un discernimento del passato e un lavacro della memoria. Bisognerebbe evitare che le vesti della memoria siano lavate nel sangue delle vittime, nel sangue dell'Agnello, come dice l'Apocalisse. La tragedia del Kosovo, che e' stata capace di riportare dopo quattro decenni la guerra in Europa, e' stata alimentata dalla cultura della "vendetta del sangue", che trasmette il dovere della vendetta di padre in figlio e ai figli dei figli; il genocidio degli Armeni non ha ancora trovato ne' pentimento ne' perdono e continua a spargere i suoi veleni, sicche' dopo un secolo non si puo' nemmeno nominare, anche se a farlo e' il papa, senza suscitare ire funeste - ed ora si e' visto di quali ire efferate sia capace Erdogan - per non parlare della Shoa', dal cui tormento ne' Israele ne' il mondo sono ancora usciti, e che ancora cova i demoni della violenza e della guerra non solo in Medio Oriente ma sulla terra intera.

 

Percio' la memoria non puo' essere un semplice deposito nel quale il passato e' accatastato e stipato a futura memoria. Il passato non deve essere solo oggetto di anamnesi, ma di conversione, di pentimento, di purificazione. Il rimosso non va semplicemente recuperato, al modo della psicoanalisi, ma va filtrato al vaglio della sapienza; non il vaglio usato dai farisei di cui parla il Vangelo, che filtravano il moscerino ma lasciavano passare il cammello (Mat. 23, 24) ma il vaglio delle vittime che invocano giustizia e narrano come Gerusalemme non abbia saputo capire ciò che giovava alla sua pace. Percio dice Bonhoeffer, uno dei grandi maestri del Novecento, che non solo il futuro, ma anche il passato, lo dobbiamo ricevere dalle mani di Dio. Perche' dalle mani di Dio lo riceviamo non grezzo, ma gia' lavorato, e cosi' lo possiamo lavorare anche noi.

 

In tal modo potremo superare i rischi del passato, evitare che proietti la sua ombra sul nostro futuro, che gli trasmetta un bagaglio di rancori, di frustrazioni, di offese non lavate, di mali non perdonati. Occorre che il passato, pur rielaborato nel mito, non ci irretisca nella religione dell'identita', non ci imprigioni nell'epopea, non ci trafigga coi nostri vanti e le nostre rivalse (come fanno tutti i nazionalismi) ma ci renda liberi e ci proietti nelle cose nuove.

 

Fin dai tempi antichi, nonostante la perenne ripetizione, nel rito pasquale, della liberazione dall'Egitto, Isaia ci aveva ammonito: va bene l'uscita dall'Egitto, quando il Signore "fece uscire carri e cavalli esercito ed eroi a un tempo"; ma "essi giacciono morti mai piu' si rialzeranno..., sono estinti. Non ricordate piu' le cose passate, non pensate piu' alle cose antiche, ecco io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" (Is. 43, 16-19); e negli ultimi tempi, e ora piu' che mai nella predicazione di papa Francesco, lo specifico cristiano che attraversa ma anche oltrepassa la memoria passionis e' l'annuncio dello Spirito che ci guidera' a tutta la verita' (Giov. 16, 13) e che ci abilita a pensare e a fare le cose future.

In tal modo la memoria diventa sovversiva, come dice la teologia politica, e come ha sperimentato in America Latina la teologia della liberazione e come dice una Chiesa che riapre il fascicolo del deposito della fede per "reinvestigarlo ed esporlo in quel modo nuovo che i nostri tempi esigono"; questo era il progetto del Concilio che ora viene ripreso e in tal modo il passato non fa piu' prigionieri ma libera per la storia da costruire e per l'escatologia a cui mirare.

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L'eredita' da lasciare

Tutto questo va bene. Pero' non posso fermare qui il mio discorso sull'eredita'. Perche' se la domanda sull'eredita' si fa a una persona di 85 anni, si parla di un'eredita' prossima a essere lasciata. Dunque la domanda e' anche personale. E qui il papa ci ha dato un insegnamento. Quando i ragazzi di Villa Nazaret, a Roma, il 18 giugno scorso, gli hanno chiesto se si fosse trovato mai in crisi con la sua fede, il papa ha risposto: ci vuole un bel coraggio a fare questa domanda al papa, e' una domanda molto personale! E ha detto: "io devo fare la scelta... O rispondo la verita', o faccio una telenovela che sia bella e via...". E non si e' tirato indietro, ha risposto con verita'.

Dunque, per rispondere con verita' dell'eredita' che credo di lasciare, che e' quella di un'intera generazione passata pero' attraverso il filtro della mia esperienza personale, dovrei parlare soprattutto di due eredita', quella politica e quella religiosa; ma qui parleremo solo della prima. Di quella religiosa, che e' la piu' importante, diremo in un'altra occasione.

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L'eredita' politica

La mia eredita' politica nasce da un'esperienza molto antica, fatta addirittura quando ero ancora un bambino. Non e' stata come la prima esperienza politica che ha raccontato Giuseppe Dossetti ricordando gli anni della sua adolescenza. Dossetti, essendo nato nel 1913, il fascismo lo ha visto nascere. E in un discorso autobiografico tenuto il 17 marzo 1994 al clero di Pordenone, ha detto che aveva nove anni nei giorni della marcia su Roma e dell'avvento del fascismo.  E la sua impressione  fu subito "di una grande farsa accompagnata da una grande diseducazione del nostro Paese e del nostro popolo, e di un grande inganno; quindi - ha detto - ho acquisito una prima cosa (rimasta) ben ferma nella sopravvenuta maturazione della coscienza e nella riflessione su quegli eventi che la mia prima adolescenza aveva vissuto, una riflessione radicata nel profondo, un irriducibile antifascismo".

Per me e' stato diverso. Perche' quando io sono nato, era il regime che aveva nove anni. Percio' da bambino, man mano che vedevo le cose, era naturale per me pensare che ci fosse il fascismo, che la scuola, la Chiesa, la politica fossero fasciste; percio' fui naturalmente "balilla", non immaginavo affatto, ne' me lo poteva dire mio padre che era morto, che la politica potesse essere un'altra cosa, che potesse cambiare, che potesse non esserci il fascismo. La politica era come l'aveva pensata Aristotile, corrispondeva all'ordine del cosmo, era una manifestazione della natura, per lui il dominio  era "guidato dalla verita' dell'episteme"; la politica percio' era come il destino, e' cosi' che si stava al mondo, viva il duce, il regime era lo Stato. Fu una rivelazione quando mi accorsi che si poteva essere antifascisti, che si poteva essere contro il duce, che con l'incoscienza di un bambino di undici anni si poteva dire al professore di ginnastica: io non vengo all'adunata perche' non sono fascista. E dopo la guerra, dopo il referendum tra monarchia e repubblica, a quindici anni, smisi anche di essere monarchico.

Questa e' stata la prima grande lezione che ho acquisito e che posso lasciare in eredita'. Prendere coscienza che la politica non ci e' data come un destino, che non e' affatto naturale che si sia governati come si e' governati, che il regime politico, il regime economico, il regime culturale non sono dati di natura, da accettare come sono, ma sono decisi da noi, che non e' vero che non c'e' niente da fare, non e' vero che i poteri sono insindacabili; invece  possiamo resistere, possiamo cambiarli. La politica non e' un precipitato dall'alto, non e' l'editto di poteri estranei e lontani, fosse pure il potere di Dio, tantomeno dell'Europa o della Banca Mondiale, la politica e' nostra fattura.

La mia esperienza politica e' stata poi sempre dominata dalla convinzione che si potesse e anche si dovesse cambiare, si potesse e dovesse cercare di cambiare.

All'Universita' entrai negli Organismi rappresentativi perche' c'era da inventare la democrazia universitaria, che ancora non c'era (e forse non c'e' piu'); dopo il Concilio, quando il voto dei cattolici era ancora prescritto dalla Chiesa come un articolo di fede, decidemmo di rompere l'unita' politica dei cattolici nella Democrazia Cristiana; nel referendum del 1974, quando sembrava che fosse secondo natura che i cattolici votassero si' per l'abrogazione del divorzio, facemmo i "cattolici del No"; e quando davvero si rischio' l'ingovernabilita' della democrazia e dello Stato a causa della contrapposizione estrema tra comunisti e anticomunisti, rompemmo il tabu' presentandoci come cattolici indipendenti nelle liste comuniste; Paolo VI ne fu inorridito, anche perche' il Sant'Uffizio si era dimenticato di togliere la scomunica a chi anche semplicemente leggesse "l'Unita'". Poi e' finita che a Maglie, in Puglia, nel paese di Moro, hanno fatto il monumento ad Aldo Moro con "l'Unita'" in tasca.

Poi e' stato sempre cosi': non abbiamo creduto che fosse un destino, dopo la fine dei blocchi, riprendere l'uso della guerra, fosse pure presentata come guerra umanitaria; abbiamo fatto obiezione di coscienza alla Camera contro la guerra a Saddam Hussein; e come non abbiamo creduto che fosse un destino "morire democristiani", cosi' non abbiamo creduto che fosse un destino il governo di Berlusconi ne' che lo fosse la Costituzione di Lorenzago.

E percio' pensiamo che adesso sia del tutto legittimo che la gente voglia cambiare politica e padroni, che rifiuti di consegnarsi come suddita a Renzi, che non creda affatto a un partito che si chiama Democratico ma che pretende di avere un potere esclusivo e solitario e di rappresentare tutta la Nazione; percio' non ci scandalizziamo dei Cinque Stelle, pensiamo che sia del tutto legittimo che gli Inglesi escano dall'Unione Europea e che sia legittimo pensare che l'Europa non debba necessariamente essere l'Europa di Maastricht ne' debba essere l'Europa della tecnocrazia finanziaria fatta istituzione e regime.

Dunque la prima eredita' e' questa: non esiste un'ortodossia della politica, non esiste un politicamente corretto che non possa essere a sua volta corretto, la politica si cambia e con la politica si cambia la vita.

Il come cambiare pero' non fa parte del lascito ereditario, e' il compito degli eredi: dovete vedervela voi.

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La Costituzione come eredita'

L'altra nostra eredita' politica e' la Costituzione. Anche la Costituzione si puo' cambiare, pero' qui nel lascito c'e' un'aggiunta, perche' nell'eredita' e' compresa anche una clausola sulle condizioni del cambiamento.

La prima condizione del cambiamento costituzionale e' che esso venga fatto per una vera necessita' di manutenzione dell'ordinamento, dunque per motivi seri e non per ragioni volgari.

La riforma in cantiere su cui dovremo votare, si dice in ottobre, e' stata fatta per ragioni volgari. La prima ragione per cui e' stata proposta e' stata, per Renzi, quella di vincere le primarie e diventare segretario del partito, poi la nuova Costituzione e' diventata il bottino da conquistare e "portare a casa" per assicurarsi la permanenza al potere.

Entrando nel merito, sono ragioni volgari della riforma quelle piu' propagandate, che sono di risparmiare 50 milioni sui 500 che ne costa il Senato, di sopprimere due senatori su tre e così sbeffeggiare la classe politica, e di avere un governo spicciativo che non perda tempo a chiedere la fiducia anche del Senato, dato che gli sembra anche troppo doverla avere dalla Camera.

Ma la seconda, vera condizione del cambiamento e' che esso venga fatto in modi appropriati, non arbitrari, non rottamando la Costituzione intera, ma intervenendo su singoli punti senza voti di fiducia e trucchi parlamentari. E cio' perche' la nostra e' una Costituzione rigida, che significa che per essere modificata ha bisogno di una procedura aggravata, ultragarantista, di cui l'ultimo giudice e' il popolo sovrano.

La ragione e' che la Costituzione ha formalizzato il raggiungimento di un traguardo storico, dal quale si e' convenuto che non si possa tornare indietro. Per esempio dal ripudio della guerra non si puo' tornare indietro. Nessuna maggioranza, e nemmeno l'unanimita', potrebbe decidere il ripristino della guerra come strumento della politica con altri mezzi. La guerra, nell'ordinamento italiano, e' entrata nella sfera dell'indecidibile.

Pero' non basta che cio' resti scritto nella prima parte della Costituzione se questo ripudio non e' garantito dalle regole stabilite nella seconda parte, che e' la parte che oggi si vuole cambiare. Perche' il ripudio della guerra puo' essere mantenuto solo se la sovranita' popolare e' effettivamente esercitata attraverso libere elezioni, attraverso una vera rappresentanza parlamentare e se la deliberazione dello stato di guerra resta affidata a Camera e Senato e non viene attribuita, come fa l'attuale riforma, a una sola Camera, a un solo partito e a uno che sta solo al comando.

Lo stesso e' a dirsi dei diritti fondamentali, la liberta', la salute, la scuola, il lavoro, l'eguaglianza; non si puo' tornare indietro da questi diritti e dai doveri che vi corrispondono, percio' stanno in una Costituzione rigida e la seconda parte di essa ne deve rendere possibile e garantire l'attuazione. Ma se nell'articolo 81 si costituzionalizza il pareggio del bilancio, e se i Trattati europei proibiscono l'economia mista, pubblica e privata, e l'intervento dello Stato, con cui si e' ricostruita l'Italia, quei diritti e i corrispondenti doveri sono cancellati con un tratto di penna e il capitalismo diventa regime.

Questa e' l'eredita' della Costituzione che la riforma tradisce. Anche qui sono gli eredi, e soprattutto i giovani, che dovranno vedere come conservarla, come farla crescere e anche come cambiarla avanzando, e non tornando indietro.

Per ora a noi tocca far vincere il No nel prossimo referendum; percio' abbiamo fatto i comitati per il No, c'e' perfino Smuraglia, il capo dei partigiani, che ha 90 anni, e abbiamo fatto i Cattolici del No, ricordando i cattolici del NO del 1974; per questo diciamo ai giovani, almeno a quelli che ci stanno a sentire, che la Costituzione e' un'eredita' che ha un valore e anche un costo; e' costata in passato, dalla Resistenza in poi, e costa anche adesso, con l'impegno per difenderla, la raccolta delle firme, purtroppo non riuscita, la mobilitazione popolare, e l'impegno anche finanziario per vincere il referendum.

Poi, nella prossima legislatura, dopo averne parlato nella campagna elettorale, e con un Parlamento legittimato, si potra' mettere mano alla vera riforma.

Un Parlamento legittimato vuol dire un Parlamento fatto di eletti e non di nominati, e espresso con la proporzionale, anche se con piccole correzioni che non ne alterino la natura.

La proporzionale non e' menzionata in nessun articolo della Costituzione, pero' e' presupposta, addirittura come ovvia, talmente ovvia da non doversi nemmeno evocare, in ogni articolo della Costituzione.

Perche' la proporzionale vuol dire riconoscere il pluralismo e la varieta' delle forze sociali, vuol dire lasciare che cento fiori fioriscano e non sradicare nessun cespuglio di nessun partito, e su questo costruire la democrazia. Bisogna infatti ricordare che alla democrazia non siamo arrivati per poter essere governati, perche' eravamo governati anche prima, ma per essere liberi e perche' ognuno fosse messo in condizione di sviluppare la sua umanita'.

Questa e' la democrazia e questa dobbiamo salvaguardare. Ed e' per arricchire, non per dimezzare la democrazia, che dobbiamo attendere alle future riforme. Esse non devono andare a rimestare quello che gia' c'e', facendo una caricatura di Senato delle Regioni, ma costruendo quello che non c'e' e che ci manca da morire.

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Costruire l'unita' del popolo e del mondo

Quello che ci manca in Italia e anche nel mondo, fino a morirne, e' l'unita'.

L'Italia e' divisa, come mai lo e' stata dopo il fascismo. L'abbiamo spaccata con il bipolarismo, con una politica basata sulla dottrina schmittiana dell'amico-nemico, l'abbiamo spaccata non sanando la frattura tra Nord e Sud, per cui nel Sud si muore ancora per lo scontro dei treni su un binario unico, l'Alta Velocita' non passa in Sicilia e la linea ferroviaria si arresta a Catania, i giovani non trovano lavoro e la mafia si confonde con la politica. L'Italia e' spaccata perche' non ci preoccupiamo di fare una politica che includa gli immigrati, dopo averli salvati in mare, e non facciamo una comunita' allargata che non comprenda solo i vecchi italiani ma anche i nuovi italiani e quelli che italiani non sono, hanno lingue, culture e religioni diverse ma abitano sotto il nostro cielo e mangiano il nostro stesso pane. A questo dovrebbe servire il Senato, un Senato ripensato per l'unita' della Repubblica e rappresentativo di tutti quelli che vivono stabilmente in essa, un Senato dei popoli.

Ed ora l'Italia e' spaccata anche sulla Costituzione perche' la Costituzione, che era ancora la cosa che ci univa, e' stata scagliata contro di noi, per esaltare gli uni ed umiliare gli altri, per dividerci in comitati del Si' contro comitati del No e per realizzare un regime non di pari opportunita' per tutti, ma di comandanti e comandati.

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Uscire dalla guerra

Ma ancora piu' grave e' l'unita' che manca sul piano mondiale.

La terza guerra mondiale, come ora e' chiaro a tutti, e come il papa ha detto per primo, e' ormai cominciata. Nessuno la mattina puo' piu' uscire di casa sapendo che di sicuro ci potra' tornare, che sia a Nizza, a Parigi, a Bruxelles, a Monaco, a Kabul o a Dacca. Il mondo e' diventato troppo pericoloso per continuare a farlo andare cosi'. Per molto tempo il mondo e' stato pericoloso per i popoli delle colonie, per quelli che chiamavamo ed erano sottosviluppati, per gli africani, gli arabi, i vietnamiti, i palestinesi, gli algerini, i mozambicani, i neri sudafricani, i libanesi, gli afgani, gli iracheni. E noi con le nostre armate, le nostre multinazionali, i nostri scambi ineguali, la nostra economia che uccide spadroneggiavamo su di loro e nessuno ne contava i morti. Adesso il mondo e' diventato pericoloso anche per noi, non solo i ricchi hanno le armi, ormai ogni persona, se ha perso ogni valore della propria vita, puo' diventare un'arma contro tutti gli altri. E il terrorismo per imitazione sta diventando piu' pericoloso del terrorismo organizzato.

Percio' il papa ha ragione. Il sistema va cambiato. L'economia, la politica, il diritto, il governo del denaro, la societa' dell'esclusione, l'ideologia della indifferenza, tutto va rifatto di nuovo. Conservare il mondo com'e' non solo e' criminale, ma non e' neanche possibile.

Percio' bisogna porre mano alla grande riforma. Bisogna "tornare ai giorni del rischio", come cantava padre Turoldo. Riprendere la grande stagione del cambiamento, che a meta' del Novecento, dopo l'immane tragedia, ci porto' a San Francisco a fondare le Nazioni Unite, ci porto' alle grandi convenzioni internazionali sui diritti, a cominciare da quella sul genocidio, alla riduzione delle sovranita', alla rinuncia ad Imperi e colonie, alle grandi Costituzioni postbelliche, ci porto' al ripudio della guerra, alla stagione delle economie keynesiane, al compromesso dello Stato sociale, alla stabilita' monetaria e all'avvio della riforma del pensiero religioso fino all'esplosione del Concilio e poi al '68.

Insomma l'eredita' non e' facile. Bisogna chiudere con un mondo e aprire il cantiere di un altro.

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Come vincere la terza guerra mondiale

Ora siamo nella terza guerra mondiale. Ma a differenza delle prime due, che almeno formalmente erano combattute tra Forze Armate, questa e' una guerra di Entita' armate, regolari e irregolari, contro le popolazioni civili. Dunque la popolazione civile e' uno dei soggetti del conflitto, le sue vittime non sono piu' vittime collaterali come lo erano, in misura peraltro sempre crescente, le vittime delle guerre precedenti. I civili oggi sono, loro malgrado, una delle parti della guerra. Ma e' evidente che la popolazione civile non puo' ne' combattere ne' vincere la guerra come lo facevano i soggetti delle guerre tradizionali. Slogan come: tutti uniti nella guerra al terrorismo, non hanno alcun significato. Il modo per la popolazione civile di combattere questa guerra e' la politica, e la sua vittoria e' il conseguimento della pace. Ma per fare una politica di uscita dalla guerra e di costruzione della pace ci vuole un governo, che se ne faccia strumento facendo valere l'unita' del popolo. Allora la proposta e' questa: per uscire dalla terza guerra mondiale che ha il suo epicentro nel Mediterraneo e in Medio Oriente, occorre ripetere l'esperienza della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che ad Helsinki dal 3 luglio 1973 al primo agosto 1975 realizzo' il miracolo di mettere fine alla guerra fredda e alla minaccia reciproca di distruzione nucleare. Alla conferenza parteciparono tutti i Paesi europei piu' Stati Uniti e Unione Sovietica. Cardini degli accordi per realizzare la sicurezza e mantenere la pace fu l'impegno a non modificare con la forza le frontiere esistenti, e il rispetto dei diritti umani. Oggi l'Italia potrebbe farsi promotrice, e preparare diplomaticamente, una Conferenza per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo e in Medio Oriente, con la partecipazione di tutti gli Stati interessati e anche della Umma (comunita') musulmana e delle Chiese cristiane d'Oriente. Anche qui i cardini sarebbero il rispetto della integrita' territoriale degli Stati dell'area nelle loro legittime frontiere (compresi Iraq, Siria, Libano, Israele e Palestina) e il rispetto dei diritti umani.

Pero' questo il nostro governo non lo puo' fare perche' invece di essere espressione dell'unita' del Paese, oggi ne e' esso stesso il primo divisore, spaccando il Paese nella contrapposizione tra fronte del Si' e fronte del No nella cruciale partita della Costituzione, su cui e' stata costruita l'unita' della Repubblica. In tal modo il governo rinunzia al suo vero ruolo  e combatte una partita del tutto estranea alle vere urgenze poste dalla crisi in atto mentre l'Italia e il mondo tutto sono in condizioni di massimo pericolo.

Percio' la proposta e' che il governo si ritiri dalla competizione per il referendum costituzionale, assuma una posizione neutrale, lasci combattere questa partita ai Comitati del Si' e del No e alle forze politiche e partiti esistenti, abbandonando la riforma costituzionale al suo destino. Il governo potrebbe allora ricomporre l'unita' del Paese per giocarla sul piano internazionale - europeo e mondiale - in una grande proposta e un grande progetto di unita' e di pace, adempiendo veramente al dettato degli articoli 10 e 11 della Costituzione, per la costruzione di un ordine di giustizia e di pace tra le nazioni.

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