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5 novembre 2016

 

La Corte che governa il mondo – Terza Parte

di Chris Hamby

traduzione di Giuseppe Volpe

 

30 agosto 2016

 

In una remota foresta tropicale delle Spice Islands i paesani locali avevano pianificato la loro ultima battaglia.

Una compagnia mineraria aurifera straniera stava di scavare via un’enorme cava dalla montagna che aveva sostenuto per generazioni quei contadini e pescatori. Per proteggere il loro modo di vivere i paesani avevano programmato di salire in vetta e di rifiutarsi di andarsene.

La Newcrest Mining aveva ottenuto il diritto di esplorare quest’area ricca di minerali durante i trent’anni di governo di Suharto, il dittatore militare dell’Indonesia. Ma quando proteste di massa cacciarono Suharto dal potere il nuovo parlamento mise fuorilegge il metodo ambientalmente devastante delle miniere a cielo aperto in certe aree come questa, dove poteva mettere in pericolo l’approvvigionamento di acqua.

La Newcrest, tuttavia, aveva proceduto come se la nuova legge non fosse applicabile poiché, in effetti, non lo era. La società australiana aveva trova un modo per intrappolare l’Indonesia nei contratti del dittatore deposto e, nel processo, conseguire enormi profitti.

L’arma che la Newcrest e altre potenti compagnie minerarie brandirono era una minaccia. Una minaccia legale molto specializzata: avvertirono che avrebbero potuto portare l’Indonesia davanti a una specie di super-tribunale privato globale. Anche se i più non ne hanno mai sentito parlare, questo sistema giudiziario ha il potere di far sganciare a intere nazioni centinaia di milioni, o persino miliardi di dollari a società che affermano che le loro attività sono state ostacolate ingiustamente.

Noto come risoluzione delle dispute stato-investitore, o ISDS, questo sistema legale è inserito in una vasta rete di trattati che fissano norme per il commercio e gli investimenti internazionali. E’ impressionante tanto per la sua potenza quanto per la sua segretezza, con le sue procedure – e in molti casi le sue decisioni – sottratte alla vista del pubblico. Di tutti i modi in cui l’ISDS è utilizzato, il più profondamente celato consiste nelle minacce, formulate in riunioni private o in lettere minacciose che evocano tali tribunali. Le minacce sono così potenti che spesso eliminano la necessità di intentare effettivamente una causa. E’ sufficiente il solo sapere che potrebbe aver luogo.

Un’inchiesta di BuzzFeed News durata 18 mesi sull’ISDS getta per la prima volta una luce chiara sull’uso di queste minacce. Basata su notizie da Asia, Africa, America Centrale e Stati, interviste a più di 200 persone ed esame di decine di migliaia di pagine di documenti, alcuni dei quali mai resi pubblici prima, la serie ha già rivelato come dirigenti accusati o condannati per reati si sono rivolti all’ISDS per aiuto a farla franca. Articoli più avanti questa settimana mostreranno come alcune società finanziarie hanno usato l’ISDS per proteggere le loro pratiche più controverse e speculative e come gli Stati Uniti, grandi promotori del sistema, siano sorprendentemente vulnerabili a cause ISDS. L’articolo di oggi rivela come imprese abbiano trasformato la minaccia di azioni legali ISDS in un’arma tremenda, un’arma che quasi costringe alcuni dei paesi in cui tali imprese operano a cedere alle loro pretese.

L’ISDS era stato inizialmente ideato come una sede in cui risolvere conflitti tra paesi e imprese straniere che conducevano attività entro i loro confini. Ma il sistema mette i paesi in una condizione di impressionante svantaggio.

Solo le imprese possono citare in giudizio. Un paese può solo difendersi; non può citare una società. Gli arbitri che decidono le cause sono spesso tratti dai ranghi degli stessi avvocati societari generosamente remunerati che discutono le cause ISDS. Tali arbitri hanno una vasta autorità per interpretare le regole come vogliono, senza riguardo per i precedenti e con un controllo pubblico quasi nullo. Le loro decisioni hanno un potere straordinario. Spesso paesi sono obbligati a obbedire a sentenze ISDS come se provenissero dalle loro stesse corti supreme. E non esistono appelli significativi.

L’ISDS è così prevenuto e imprevedibile, e le sanzioni che gli arbitri possono imporre sono così catastroficamente elevate, che piegarsi alle pretese di una società, per quanto estreme possano essere, può risultare la scelta prudente. Specialmente per nazioni che lottano per emergere da dittature corrotte o per sollevare il loro popolo da decenni di povertà, la semplice minaccia di una vertenza ISDS genera allarme. Una singola decisione di una giuria di tre avvocati privati, non tenuti a rispondere, che s’incontrano in una sala riunioni o in qualche altro continente, potrebbe demolire bilanci nazionali e scuotere fino al cuore economie.

L’ISDS era un tempo un’oscura curiosità della legge internazionale, ma è esploso in anni recenti, quando studi legali d’élite hanno ideato modi nuovi e creativi per impiegarlo. Hanno utilizzato l’ISDS per punire nazioni per avere limitato i profitti durante crisi economiche, per aver riformato norme fiscali e ambientali o per aver perseguito dirigenti accusati di reati.

Ma questi sono casi che in effetti hanno compiuto l’intero percorso sino all’arbitrato. Spesso, dicono avvocati coinvolti nel sistema, la semplice minaccia di una vertenza ISDS è sufficiente per ottenere gli stessi risultati. E’ come mostrare una pistola nel corso di un negoziato teso; meglio non usarla ma quelli dall’altra parte del tavolo sanno che c’è.

“Svolgo una quantità di lavoro che riguarda rivendicazioni minacciate che non arrivano mai all’arbitrato”, ha detto Michael Nolan, un associato di Washington, D.C., dello studio Milbank, Tweed, Hadley & McCloy. “E’ la cosa più comune”, ha detto. “E’ molto meglio sistemare le cose tranquillamente”.

“Ogni mese ricevo una minaccia”, ha detto Marie Talasova, un avvocato di vertice del Ministero delle Finanze della Repubblica Ceca. “Dobbiamo esaminare i rischi, quanto forte è la rivendicazione. Cerchiamo di minimizzare i costi per lo stato.”

La potenza di tali minacce è al centro di dibattiti politici sull’ISDS. Studiosi e attivisti sostengono che, dietro porte chiuse, le imprese possono brandire la minaccia di un ISDS per fermare o far revocare legittime leggi di interesse pubblico. Tali minacce, sostengono, costituiscono un pericolo molto maggiore che non la frazione di casi che arrivano all’arbitrato e alla conoscenza del pubblico. I sostenitori dell’ISDS controbattono: dove sono le prove?

E’ difficile che escano. In effetti uno studio recente per il governo olandese ha definito “quasi impossibile” trovare tali prove. Gli avvocati coinvolti hanno quasi sempre promesso confidenzialità ai loro clienti e i governi minacciati – timorosi di apparire deboli o di scatenare una reazione pubblica – sono riluttanti ad ammettere di aver capitolato. In realtà, molti sostenitori dell’ISDS dicono categoricamente che non succede mai.

“Alcuni affermano che gli stati subiscono sempre estorsioni o che le loro iniziative di politica pubblica sono congelate perché sono spaventati dall’arbitrato sugli investimenti”, ha affermato Jan Paulsson, una leggenda nei circoli ISDS che ha operato da avvocato o da arbitro in dozzine di casi. “Mi piacerebbe che qualcuno me lo dimostrasse. Mi piacerebbe davvero che qualcuno mi mostrasse un esempio in cui ciò è accaduto”.

In uffici governativi e delle imprese a Giacarta e nelle foreste tropicali delle Spice Islands, BuzzFeed News ha scoperto che non solo può accadere, ma che è effettivamente accaduto. Con conseguenze gravi. Ecco come.

Per decenni Suharto e grandi compagnie minerarie se la sono passata benissimo. Il generale divenuto dittatore non si curava molto dell’ambiente o dei popoli indigenti e i bottini dell’industria mineraria contribuivano a riempire le casse del suo regime. Per far sì che tutto procedesse senza problemi il suo governo aveva creato una specie di sportello unico per assegnare contratti lucrosi: condizioni favorevoli, poche seccature. “Se hai un problema”, ad esempio gente del luogo con collaborativa, ha ricordato Ketut Wirabudi, che in quel periodo lavorava nell’industria mineraria, “fai una donazione all’esercito e quello te lo risolve”.

Le imprese “facevano semplicemente quello che volevano”, ha detto Rachmat Witoelar, un recente ministro dell’ambiente.

Così quando il governo post-Suharto ha promulgato una legge sulla silvicoltura che vietava le miniere a cielo aperto in determinate aree, le imprese minerarie hanno contrattaccato, sostenendo che la legge violava contratti che avevano firmato sotto Suharto.

In una dichiarazione a BuzzFeed News la Newcrest ha dapprima affermato di “non essere a conoscenza di alcuna minaccia o iniziativa ISDS in relazione all’imposizione della legge del 1999 sulla silvicoltura”. Ma Syahrir AB, che all’epoca era un dirigente della Newcrest in Indonesia, è stato inequivocabile: “La mia società, la Newcrest” aveva mosso tale minaccia, ha detto in un’intervista a Giacarta.

Ha ricordato di avere egli stesso trasmesso “al governo il messaggio” della società nel corso di una riunione con funzionari del ministero delle miniere. “Se non possiamo scavare in quest’area”, ricorda di aver detto loro, “ci laveremo le mani dell’Indonesia e ci rivolgeremo all’arbitrato internazionale”. Il messaggio era chiaro: l’Indonesia sarebbe stata citata in giudizio, forse per centinaia di milioni di dollari.

Riferito ciò che Syharir aveva detto, un portavoce della Newcrest ha scritto che la società “non è a conoscenza” che Syahrir avesse mosso la minaccia, aggiungendo che “non è qualcosa che tollereremmo”.

Interviste a ex funzionari e a funzionari attuali dei molteplici ministeri governativi, a quattro compagnie minerarie e all’associazione lobbistica dell’industria, nonché migliaia di pagine di documenti esaminati da BuzzFeed News mostrano che altri giganti minerari stranieri hanno fatto minacce simili, avvertendo che avrebbero citato l’Indonesia per miliardi di dollari di danni se il paese avesse tentato di far loro rispettare la nuova legge sull’ambiente.

Il loro ultimatum multimiliardario non era una minaccia oziosa. Come le compagnie minerarie sapevano bene l’Indonesia stava ancora barcollando per un’altra sentenza sbalorditiva.

Tale causa riguardava la Karaha Bodas Company, che aveva sottoscritto contratti con società statali indonesiane per costruire una centrale elettrica geotermica. La crisi valutaria asiatica aveva colpito non molto tempo dopo la firma del contratto e il governo aveva posto in sospeso tale progetto e molti altri.

Ma a differenza della maggior parte delle altre società colpite, la Karaha Bodas, principalmente di proprietà di sue società energetiche statunitensi, si era rivolta all’arbitrato internazionale. Il tribunale le aveva assegnato 261 milioni di dollari, nonostante la società non avesse ancora investito nel progetto neppure metà di tale somma. Il grosso del risarcimento era per la perdita di profitti futuri, potenziali profitti futuri, che nessuno poteva provare sarebbe stati effettivamente realizzati.

In altri termini l’Indonesia doveva un quarto di miliardo di dollari a una società privata per elettricità che non avrebbe mai ricevuto, da una centrale elettrica che non era stata costruita, il tutto mentre stava combattendo una crisi finanziaria storica.  Quando il governo si è opposto al versamento la Karaha Bodas ha promosso il sequestro di attività indonesiane in tutto il mondo. La società non ha risposto a richieste di commenti.

Le società minerarie citavano questo doloroso episodio nelle riunioni, hanno ricordato ex funzionari governativi. Il governo aveva colto il punto. “A causa di quest’amara esperienza tendiamo a trovare soluzioni”, ha detto M.S. Kaban, divenuto ministro delle foreste nel 2004.

E questa volta le perdite potenziali erano molto maggiori, fino a 22,7 miliardi di dollari se qualcuna delle maggiori imprese minerarie avesse citato in giudizio, secondo un’analisi governativa ottenuta da BuzzFeed News. Si trattava di circa metà del bilancio dell’anno precedente dell’intero governo.

Stuart Gross, un avvocato statunitense che ha consigliato gruppi ambientalisti locali, ha affermato di ritenere che l’Indonesia avrebbe potuto battere le società minerarie nell’arbitrato ma tuttavia non era sicuro di che cosa avrebbe fatto se fosse stato nei panni del presidente.

“La responsabilità di cui parlavano queste società minerarie era dell’ordine di miliardi”, ha detto. “L’Indonesia semplicemente non dispone di quel genere di capitali. E’ una rovina. Questa minaccia non aveva alcun merito legale, ma a causa del conseguenze e del modo in cui le cause sono aggiudicate – da una giuria privata, senza appelli – tale minaccia è molto efficace”.

Ha aggiunto: “Un paese come l’Indonesia, a meno di avere una spina dorsale d’acciaio, quando si trova ad affrontare una di queste minacce è probabile che si pieghi”.

Coperti dalla notte, i paesani si sono fatti strada nella foresta tropicale, nelle Spice Islands, diretti alla cima della montagna che la Newcrest voleva scavare.

I paesani dipendevano da quella montagna,  e dalla foresta e dalle acque che la circondano, da generazioni. Era là che coltivavano noci di cocco, manioca, catala e cacao; cacciavano cervi e cinghiali; attingevano acqua e allevavano pesce e raccoglievano le noci moscate e i chiodi di garofano che avevano inizialmente reso questo territorio duro una manna per le potenze coloniali.

“I nostri vecchi ci hanno detto di proteggere questo luogo”, ha detto Petrus Kakale, che ha curato per quarant’anni una piantagione di alberi di chiodi di garofano sulla montagna.

Ma quella notte, nel gennaio del 2004, anche qualcun altro lo teneva d’occhio: membri della Brimob, la famigerata polizia paramilitare dell’Indonesia.

I paesani speravano di scivolare oltre la Brimob nel mezzo della notte dividendosi in gruppi più piccoli che si sarebbero riuniti in vetta. Ma, nelle prime ore del mattino, tali piani svanirono, secondo interviste a cinque persone che parteciparono alla manifestazione e un rapporto d’indagine, mai prima reso pubblico,  dell’agenzia indipendente del governo indonesiano per i diritti umani.  Dozzine di paesani, guidati da un giovane contadino e dimostrante di nome Fahri Yamin, avevano preso parte alla salita sulla montagna quando agenti della Brimob, brandendo fucili dissero loro di tornare indietro. Fahri ha detto che si rifiutò: “Esigiamo solo i nostri diritti”, ricorda di aver detto agli agenti.

La Brimob ordinò ai paesani di stendersi a terra e li picchiò con pesanti bastoni e con i calci dei fucili. Gli agenti gettarono Fahri, con le mani legate e alcuni denti rotti, sul retro di un veicolo e si diresse a tutta velocità verso gli uffici della Newcrest.

Un altro gruppo di paesani, guidato da un contadino di nome Salmon Betek e dal prete del villaggio Pordenatus Sangadi, erano arrivati più in alto nella montagna prima di incontrare la Brimob. Gli agenti riunirono il gruppo sulla vetta – un tempo una foresta e a quel punto spianata in preparazione per la miniera – e ordinarono loro di stendersi a terra. Anche qui la Brimob picchiò i paesani con pesanti bastoni e con i calci dei fucili, fratturando costole e aprendo tagli sulle teste.

Poi si fece avanti il comandante. Puntò la sua pistola appena sopra la testa di Salmon e premette il grilletto.

Salmon ha detto di aver udito la pallottola fischiargli sopra, poi le grida inorridite dei suoi vicini. Girò la testa, ha ricordato, e vide l’uomo appena dietro di lui accasciato a terra, colpito in fronte.

Leader del gruppo, tra cui Fahri e Pordenatus, hanno detto che la Brimob li portò prima negli uffici della Newcrest nei pressi per interrogatori, poi li trasportò in volo con un elicottero della società in un’isola vicina dove furono incarcerati senza che fosse detto loro il motivo. Nella sua dichiarazione la Newcrest ha affermato che “non aveva alcuna autorità” sulle azioni della Brimob, ma che aveva pagato spese della polizia secondo la “prassi standard in Indonesia”. La società ha affermato che il suo elicottero non fu usato per trasportare membri della comunità.

Alcuni furono rilasciati dopo pochi giorni, ma Fahri ha detto di essere rimasto in carcere per 44 giorni. A sua moglie e a suo figlio di due mesi fu permesso di vederlo una volta alla settimana, viaggiando per ore per i pochi minuti della visita concessa.

Non è chiaro di quali reati, se ve n’erano, i manifestanti fossero accusati. Una funzionaria del locale ufficio del tribunale ha affermato di non essere riuscita a trovare alcun documento di accuse registrate contro gli uomini.

Ma i detenuti hanno affermato che, sulla base dei loro interrogatori e di altri rapporti con le autorità, il messaggio era chiaro: basta con le proteste.

Un portavoce della Newcrest dichiarò all’epoca a giornalisti che la società si rammaricava per l’omicidio ma affermò: “In un certo senso non ha davvero nulla a che fare con la Newcrest, anche se è avvenuto sul nostro sito”.

Quanto ai paesani la Newcrest ha affermato che molti di loro non stavano manifestando, stavano rubando. “Molti dei dimostranti erano persone estraendo illegalmente minerale”, ha affermato la Newcrest in una dichiarazione a BuzzFeed News.

Il comandante della Brimob se la cavò con la libertà condizionata dopo che due suoi subordinati dichiararono in tribunale che lo sparo era stato un incidente. Ma investigatori dell’agenzia del governo per i diritti umani hanno scoperto che le autorità  avevano detenuto illegalmente persone, le avevano torturato e ne avevano assassinata una.  I risultati hanno suscitato anche preoccupazioni più vaste: che il governo aveva violato i diritti economici, sociali e culturali delle persone consentendo alla Newcrest di esercitare un’attività mineraria nella sensibile area forestale.

L’agenzia voleva che il governo riconsiderasse il permesso alla società. Ma le agenzie per i diritti umani avevano solo il potere di formulare raccomandazioni. Le imprese straniere avevano il potere di citare in giudizio per miliardi.

Due mesi dopo che la violenza aveva spezzato la volontà dei paesani, le minacce di ISDS spezzarono la volontà del governo indonesiano.

Il presidente della nazione promulgò un decreto emergenziale che, combinato con un editto seguente, esentava la Newcrest e altre 11 compagnie minerarie dalla nuova legge sull’ambiente.

Soetisna Prawira, il massimo avvocato del ministero delle miniere, ha affermato di aver contribuito a stilare il decreto per evitare i costi potenzialmente catastrofici delle vertenze ISDS. “La pressante situazione d’emergenza è questa: il fatto che le imprese porteranno il caso davanti all’arbitrato internazionale”, ha detto Soetisna. “L’arbitrato è il solo motivo” per cui l’Indonesia ha promulgato il decreto.

Ha aggiunto: “In circostanze simili  non avevamo scelta”.

Il Parlamento doveva ancora autorizzare la soluzione. Gruppi ambientalisti, scienziati e studiosi sollecitarono i parlamentari a non approvare il decreto, avvertendo che miniere a cielo aperto nelle foreste protette non solo avrebbero distrutto una risorsa preziosa, ma anche contaminato l’acqua delle persone e le avrebbe esposte a frane e inondazioni. Un politico implorò i suoi colleghi di essere inflessibili, affermando: “Non dobbiamo essere infestati da arbitrati”.

Ma in riunioni e audizioni i parlamentari si agitarono per la possibilità che la nazione perdesse un’altra causa finanziariamente devastante.

Nel corso di un’audizione il ministro delle foreste definì l’arbitrato internazionale una “minaccia reale” che “costringeva” l’Indonesia a concedere quanto desiderato dalle imprese. Poi un altro ministro evocò la sconfitta contro Karaha Bodas e affermò che se l’Indonesia non avesse soddisfatto le loro richieste il paese avrebbe “rischiato una situazione simile”.

Syahrir della Newcrest e funzionari di altre quattro compagnie minerarie parlarono alle audizioni e uno avvertì i parlamentari che se non avessero confermato il decreto avrebbero dovuto “prepararsi a un bilancio statale svuotato”.

Il 15 luglio 2004 il Parlamento diede alla Newcrest e alle altre compagnie minerarie quello che volevano, votando l’approvazione del decreto e consentendo alle imprese di estrarre in foreste protette.

Oggi 8 delle 12 imprese beneficiarie delle esenzioni hanno estratto in aree forestali protette, secondo il ministero delle miniere. Quando avranno finito dovranno ripristinare il territorio.

La Newcrest non sprecò tempo nell’iniziare. Subito dopo il voto parlamentare la società riferì che aveva estratto oro dalla montagna e lo aveva venduto per un valore di più di 30 milioni di dollari e aveva dichiarato agli investitore che quella era la ragione chiave degli “utili molto migliorati” di quell’anno. L’anno fiscale successivo la montagna produsse più di 90 milioni di dollari di oro per la Newcrest.

Arrivati alla fine del 2006 l’oro era esaurito e la cima della montagna era una cava cavernosa.

Quando governi di varie parti del mondo hanno cercato di porre rimedio alle eredità distruttive di dittatori o di modernizzare le loro leggi, si sono trovate di fronte a un dilemma simile a quello dell’Indonesia: l’ISDS offre alle imprese uno strumento potente per conservare i vantaggi conquistati sotto il vecchio regime.

Sulla scia della Primavera Araba, ad esempio, la Libia ha subito rivendicazioni relative a contratti dell’epoca di Muammar al-Gheddafi. L’Egitto è stato inondato da pretese di società che avevano ottenuto un trattamento speciale dal regime di Hosni Mubarak, alcune delle quali hanno utilizzato l’ISDS per contribuire a ottenere pagamenti e altre concessioni. L’idea dominante nei circoli ISDS è che un patto è un patto. A meno che ci siano prove solide che un accordo sia stato ottenuto illegalmente, indipendentemente da quanto possa essere stato immorale, incompetente o cleptocrate il leader che l’ha firmato o da quanto l’accordo danneggi i cittadini comuni. La legge internazionale, affermano, dipende da tale approccio.

“Il popolo ha già sofferto per aver avuto il regime autoritario”, ha affermato Paulsson, l’avvocato e arbitro ISDS. Gli effetti di qualsiasi contratto concesso dal regime “saranno una cosa in più che il popolo soffrirà in conseguenza. Gli uccisi dal dittatore restano morti. I contratti mediocri conclusi durante la sua carica sono lì. Hanno creato debiti. Dunque non facciamo finta che non siano debiti perché, se lo facciamo, lo facciamo al costo della distruzione della certezza del commercio.”

Per anni alcune nazioni africane hanno visto la loro ricchezza mineraria andarsene all’estero a società private, persino mentre parte dei cittadini di tali nazioni restavano in una povertà abietta a causa, in larga misura, di accordi dannosi sottoscritti da leader che sono stati o imbrogliati o sono stati dediti ad arricchirsi. Oggi organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, cercano di aiutare alcuni di tali paesi a ottenere la loro giusta parte, prevalentemente aggiornando i loro codici fiscali e altre leggi. Ma le imprese stanno utilizzando l’ISDS per minare tali riforme, citando in giudizio persino paesi impoveriti che cercano di aumentare le entrate fiscali, secondo organizzazioni per lo sviluppo sostenibile e un recente rapporto del Centro Sud, un gruppo di ricerche con sede a Ginevra.

In effetti alcuni avvocati ISDS hanno avvertito i loro clienti nell’industria che i loro servizi sono “più importanti che mai”, come ha detto un’importante società londinese. In una presentazione del 2014 la società ha consegnato alle aziende un programma per contemporaneamente minimizzare le imposte e assicurarsi di poter citare in giudizio i governi nel caso aggiornino le loro norme fiscali.

Quando l’Algeria ha approvato una legge che tassava i profitti esagerati, la Maersk Oil ha affermato che l’imposta costituiva una “violazione contrattuale” e ha usato l’ISDS per raggiungere un accordo che la società ha affermato le assicurava circa 920 milioni di dollari di benefici. Quando l’Uganda ha cercato di incassare un cartella esattoriale di più di 400 milioni di dollari dalla Tullow Oil, la società britannica ha affermato di essere esente e ha avviato una causa ISDS. In una transazione l’Uganda ha accettato di decurtare tale somma di 150 milioni di dollari. In risposta a domande di BuzzFeed News la Tullow ha rimandato a una sua dichiarazione dell’epoca che descriveva la transazione come “buone notizie per la Tullow e per l’Uganda”. Anche la Maersk ha rimandato a un precedente comunicato stampa in cui l’amministratore delegato della società definiva la transazione “una base solida per proseguire nelle nostre attività algerine”.

E l’ISDS ha posto la Romania in una situazione senza vie d’uscita per aver tentato di rispettare le leggi dell’Unione Europea. Nel corso dei suoi difficili nuovi giorni post comunisti il governo aveva promulgato un insieme di generosi incentivi fiscali. Quando tentava di aderire alla UE le furono date istruzioni di cancellare tali incentivi che le autorità europee consideravano “aiuti di stato illegali”.  Una volta che il governo ebbe fatto ciò i proprietari di una società di lavorazione di alimenti – gemelli rumeni di nascita, divenuti cittadini svedesi – avviarono una vertenza ISDS nel 2005.

La Commissione Europea dichiarò al tribunale che gli incentivi fiscali violavano la legge della UE. Indifferente a tale fatto, il tribunale assegnò a quei fratelli circa 250 milioni di dollari. E quando la Commissione Europea ordinò alla Romania di non pagare, i fratelli passarono a sequestrare beni della Romania all’estero. In una dichiarazione la società dei fratelli, la European Food SA, affermò che l’assegnazione da parte del tribunale era giustificata perché la Romania era debitrice nei confronti della società dei danni causati dalla cancellazione degli incentivi.

Questi e molti altri casi riflettono una svolta fondamentale che ha dato peso alla mera minaccia di una rivendicazione. Il sistema era stato creato per garantire che le aziende non subissero palesi sequestri di proprietà o evidenti discriminazioni, secondo coloro che ne hanno studiato le origini. Ma oggi la maggior parte delle cause ISDS non riguardo questo genere di comportamento illecito dei governi; riguarda le azioni governative – molte delle quali ordinarie e simili a quelle intraprese da governi sviluppati e democratici – che le aziende considerano inique. Alcuni arbitri oggi considerano il sistema una protezione non solo dello stato di diritto ma anche delle “legittime aspettative” delle imprese e persino di un “ragionevole tasso di rendimento degli investimenti”.

“Il regime ISDS si estende ben oltre le sue intenzioni originali”, ha scritto in un rapporto recente l’organismo delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo. Il sistema soffre oggi di una “mancanza di logica, coerenza e prevedibilità” che “suscita preoccupazioni sistemiche”, ha scritto l’agenzia in un altro rapporto.

Dunque non è certo una sorpresa che la semplice minaccia di una vertenza ISDS possa far tremare un governo.

“Alcuni governi con i quali ho collaborato hanno esitato molto a premere per cambiamenti molto necessari, perché temevano un arbitrato”, ha affermato Lou Wells, docente di lungo corso alla Harvard Business School che è stato consulente di paesi in via di sviluppo di tutto il mondo.

In pubblicazioni per clienti attuali o potenziali, avvocati di grandi studi promuovono l’ISDS come efficace. Ad esempio una pubblicazione della Crowell & Moring ha segnalato: “In effetti, per ogni causa investitore-Stato che arriva al completamento, ci sono diversi esempi” in cui le società hanno usato trattati sugli investimenti “come leva per negoziare con il governo ospite e forzarlo a cambiare il proprio comportamento più rapidamente e con minori costi”.

Oggi in Indonesia, 18 anni dopo le dimissioni di Suharto, il governo sta tuttora cercando  svincolarsi da accordi sottoscritti dal suo regime decenni fa, ma continua a trovarsi di fronte ISDS.

Nel 2009 il parlamento ha votato per attuare un processo di licenze per le compagnie minerarie che avrebbe messo l’Indonesia più in linea con le nazioni sviluppate. Quando è entrato in vigore una società statunitense ha reagito avviando una vertenza ISDS; un’altra ha reagito minacciando tale possibilità.

Due alti dirigenti dell’associazione delle imprese minerarie – il direttore esecutivo Syahrir, ex dirigente della Newcrest, e Mariono Hadianto, presidente dell’associazione all’epoca – hanno insistito in una recente intervista che il vecchio sistema dovrebbe restare in vigore poiché rendeva le imprese minerarie e il governo partner economici alla pari.

Ma dopo aver parlato con BuzzFeed News per un’ora, Syahrir e Martiono hanno chiesto di vedere questo articolo prima della pubblicazione. BuzzFeed News ha rifiutato e i due uomini hanno abbandonato l’intervista e Syahrir ha detto: “Non ci avete mai incontrato”. L’associazione delle imprese minerarie ha fatto seguito con una lettera in cui ha affermato che aveva “deciso che le interviste era [sic] mai avvenute”.

Arrivati al 2012 il governo indonesiano ne aveva viste abbastanza. Ha lanciato una revisione dei suoi trattati contenenti ISDS e ha cominciato a consultare esperti di tutto il mondo. Ha ora cancellato più di venti trattati sugli investimenti nella speranza di rinegoziarli a condizioni più eque, ha detto Abdulkadir Jailani, un funzionario del Ministero degli Affari Esteri che sta guidando la revisione.

“Personalmente penso che un regime di protezione degli investimenti sia molto necessario nella legge internazionale”, ha dichiarato Abdulkadir a BuzzFeed News. “Il punto cruciale è raggiungere un equilibrio tra la protezione e il diritto di porre delle regole”.

L’Indonesia fa parte di un crescente elenco di paesi che stanno tentando di rinegoziare o annullare trattati contenenti ISDS. Alcuni paesi latinoamericani, in particolare Ecuador, Venezuela e Bolivia, hanno assunto la linea più dura, denunciando l’intero sistema, cancellando trattati o ritirando la partecipazione all’organismo di arbitrato della Banca Mondiale.

Altre nazioni hanno adottato un approccio meno drastico. Dopo una controversa contestazione a una legge post-apartheid intesa a porre rimedio ad anni di discriminazione contro i neri nell’attività economica, il Sudafrica ha cancellato i suoi trattati e li ha sostituiti con una legge nazionale più limitata a protezione delle aziende straniere. L’India sta cercando di rinegoziare i suoi trattati dopo essere stata colpita da cause controverse, alcune delle quali relative a un notorio scandalo di corruzione, altre ai tentativi del governo di reprimere l’elusione fiscale.

Anche paesi sviluppati si sono uniti alla reazione. L’Australia ha rifiutato di inserire l’ISDS in alcuni dei suoi trattati recenti. La Commissione Europea ha proposto di trasformare l’ISDS in un Sistema Giudiziario sugli Investimenti con una giuria di arbitri potenziali preselezionati dai governi e un genuino processo di appello. Il Canada ha recentemente accettato ciò in un accordo commerciale con gli stati della UE. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) è stata un tempo una forte promotrice dell’ISDS, anche ospitando eventi che corrispondevano ad appuntamenti per l’accelerazione di trattati internazionali, in cui diplomatici incontravano le loro controparti di altri paesi, percorrevano tornate di negoziati ed emergevano dall’incontro con molteplici trattati nuovi.

In anni recenti, tuttavia, ha fatto ripetutamente suonare l’allarme. “La continua tendenza degli investitori a contestare leggi pubbliche generalmente applicabili, sentenze contradditorie emesse dai tribunali, un numero crescente di opinioni dissenzienti, preoccupazioni a proposito dei potenziali conflitti d’interesse degli arbitri, tutte queste cose illustrano i problemi intrinseci al sistema”, ha affermato un rapporto del 2013.

“La questione non è se riformare o no”, ha affermato l’UNCTAD in un rapporto di quest’anno, “bensì che cosa, come e in quale misura riformare”.

I difensori più espliciti dell’ISDS sono spesso avvocati e arbitri. “Il sistema non è cattivo”, ha detto Charles Brower, che da molto tempo è uno degli arbitri più richiesti ed è quasi sempre nominato nelle giurie dalle imprese. I critici del sistema, ha detto, sono principalmente “ONG e i politici populisti che non sanno di che cosa stanno parlando”.

Melaki Sekola balzava agilmente da un masso al successivo, attraversando il fiume vicino alla sua fattoria all’ombra della montagna che i suoi antenati avevano chiamato Toguraci – “luogo d’oro” nella lingua locale – molto prima che arrivasse la Newcrest. Per generazioni la foresta aveva sostenuto la sua tribù, i Pagu, e il suo villaggio di forse 100 anime. La piccola casa da lui costruita – legname contorto tenuto insieme da cavi e chiodi; pavimento prevalentemente di terra e un tetto di foglie secche – è l’abitazione di sua moglie, di sei figli e di tre nipoti.

Con addosso stivali di gomma, pantaloncini strappati e una camicia gialla sporca di fango, Melaki ha salito un sentiero sassoso e si è fermato.

Davanti a lui si estendeva un lago color carbone. Era in gran parte incrostato, un rivestimento pieno di crepe cotto dal sole equatoriale. A distanza una conduttura nera sputava un liquido scuro.

E’ qui che la Newcrest scarica le sue scorie. Quando la società ha scavato e ridotto in polvere gran parte del Toguraci, ha separato l’oro usando cianuro e ha scaricato qui i residui. E ha continuato a scaricare qui le scorie provenienti da nuove miniere sotterranee.

Melaki ha disceso l’argine ed è arrivato a un fiume. Ha indicato un torrente che affluisce nel fiume dalla direzione del lago d’inchiostro della Newcrest, un canale attraverso il quale i residui della miniera finiscono nella fonte dell’acqua del villaggio, ha affermato.

“Avevamo un mucchio di pesce qui”, ha detto. “Ora l’acqua ci irrita la pelle”.

Queste sono rimostranze comuni tra la gente di questo grappolo di villaggi dove le interruzioni dell’elettricità sono frequenti, la malaria è endemica e il traffico sulle poche strade consiste prevalentemente in camion diretti alla miniera e in veicoli tattici di autorità locali.

Qualcosa non va nell’acqua, dice la gente che vive qui, e i problemi sono iniziati con l’avvio della miniera. Molti non fanno più il bagno nei fiumi; l’acqua causa eruzioni cutanee. La maggior parte del pesce nei fiumi e nella baia vicina è morto, uccidendo di fatto l’industria che alimentava l’economia locale. E non osano bere dal fiume come facevano un tempo.

Sei anni fa un ricercatore di un’importante università indonesiana è venuto in quest’area remota e ha controllato il pesce che restava più in profondità nella baia. Il pesce conteneva così tanto cianuro – una sostanza chimica velenosa che la Newcrest usa nella sua attività mineraria – che “potrebbe danneggiare la salute” di chi lo mangiava, ha rilevato lo scienziato.

Said Basalamah, il funzionario governativo responsabile del controllo ambientale della provincia, ha detto che il suo ufficio non ha prove di grave inquinamento dell’acqua ma ha riconosciuto che “il campionamento [del ministero] non è ancora rappresentativo se vogliamo avere il quadro reale delle condizioni ambientali nell’area circostante la miniera”. Ha detto di non essere a conoscenza che uno studio pubblicato aveva rilevato una grave contaminazione da cianuro.

La Newcrest ha affermato che la sua sussidiaria indonesiana e il governo del paese hanno indagato le rimostranze dei paesani locali riguardo alla salute e ai problemi ambientali ma “non hanno trovato alcuna prova a sostegno delle denunce”. La società ha anche dichiarato di rispettare le norme indonesiane sull’ambiente e sulla qualità dell’acqua.

Vicino alla sua fattoria, Melaki si è accucciato tra le pietre accanto al fiume. Presto, ha detto, sarebbe arrivata la stagione delle piogge, mesi di rovesci che manderanno il  fiume a superare le rive e a inondare la sua fattoria con l’acqua che egli altrimenti assiduamente evita.

Chiestogli da dove ha origine il fiume, lo ha indicato e il suo sguardo ha seguito il percorso. Si snoda nel profondo della foresta raggiungendo la vetta, il “luogo d’oro” della sua tribù, oggi un’enorme cava.

“Toguraci”, ha detto.

 

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A questo articolo ha contribuito dall’Indonesia Rin Hindryati.

Chris Hamby è un giornalista d’inchiesta per BuzzFeed News a Washington, D.C. Lavorando al Centro per la Pubblica Integrità Hamby ha vinto il Premio Pulitzer 2014 per il Giornalismo d’Inchiesta per la sua serie di articoli sui minatori di carbone.

L’indirizzo email di Chris Hamby è chris.hamby@buzzfeed.com

 


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