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19 maggio 2016

Il Pil di Cina e India colpito duramente da uno shock dei prezzi alimentari. E in Africa andrà anche peggio
di Umberto Mazzantini

Nuovo rapporto Unep e Global footprint network

Secondo il rapporto “ERISC Phase II: How food prices link environmental constraints to sovereign credit risk”, pubblicato congiuntamente da United Nations Environment Programme (Unep) e Global Footprint Network (Gfn), «se i prezzi alimentari a livello mondiale raddoppieranno, allora la Cina potrebbe perderebbe 161 miliardi di dollari di Pil e l’India potrebbe perdere 49 miliardi di dollari»
Il rapporto, pubblicato in collaborazione con Cambridge Econometrics e alcuni tra i principali istituti finanziari, classifica i Paesi in base a quanto saranno colpiti se i prezzi delle materie prime alimentari raddoppieranno a livello mondiale (Caisse des Dépôts, First State Investments, HSBC, Kempen Capital Management, KfW, e S & P Global Ratings) e prevede l’impatto di uno shock mondiale dei prezzi alimentari di questo tipo su 110 Paesi per cercare di capire quali Paesi affronterebbero il maggior rischio economico per questo crescente squilibrio. L’Italia, come gran parte dei Paesi più ricchi, subirà scarsissimi danni: si piazza 88esima con un -0,2% di Pil
Unep e Global Footprint Network avvertono che «In futuro, il mondo probabilmente soffrirà a causa di prezzi dei prezzi dei prodotti alimentari più alti e più volatili a seguito di un crescente squilibrio tra l’offerta e la domanda di cibo. L’aumento delle popolazioni e dei redditi intensificheranno la domanda di cibo, mentre il cambiamento climatico e la scarsità di risorse danneggeranno la produzione alimentare».
Se i prezzi delle materie prime alimentari raddoppieranno, la più alta perdita percentuale di Pil è prevista in 5 Paesi africani: Benin, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal e Ghana. Ma sarà la Cina a perdere di più in termini di denaro: 161 miliardi di dollari, equivalente al Pil totale della Nuova Zelanda. L’India avrà la seconda perdita di Pil più elevata: 49 miliardi di dollari, pari al Pil totale della Croazia.
Unep e Global Footprint Network evidenziano gli altri risultati più significativi del rapporto: Nel complesso, saranno l’Egitto, il Marocco e le Filippine che potrebbero subire il maggiore impatto combinato sul PIL, in termini di bilancia dei pagamenti e di inflazione, da un raddoppio dei prezzi dei prodotti alimentari. Non è certo una buona notizia per l’Italia, visto che si tratta di 3 Paesi di immigrazione verso il nostro Paese. E non la è nemmeno il fatto che 17 dei 20 Paesi più a rischio per uno shock dei prezzi alimentari sono in Africa. Va decisamente meglio per Paraguay, Uruguay, Brasile, Australia, Canada e Stati Uniti che potrebbero trarre i maggiori benefici da un forte aumento dei prezzi delle materie prime alimentari.
A livello globale, gli effetti negativi di uno shock dei prezzi alimentari superano di gran lunga gli effetti positivi in termini assoluti. Infatti, mentre la Cina potrebbe vedere una riduzione assoluta del Pil di 161 miliardi di dollari, il Paese dove c si avrebbe i più alto effetto positivo in assoluto sul PIL, Gli Usa, ci guadagnerebbero solo 3 miliardi di dollari 50 volte in meno dell’impatto sul Pil cinese. In 23 Paesi, un raddoppio dei prezzi alimentari porterebbe ad un 10% (o più) di aumento dei prezzi al consumo. I paesi con elevati rating sovrani tendono ad essere meno esposti ai rischi derivanti da un picco dei prezzi alimentari. Ma il vero paradosso è riassunto molto bene dal rapporto: i Paesi dove la popolazione ha il più alto consumo di risorse naturali e dei servizi, e che sono quindi più responsabili per le cause ambientali che renderanno i futuri prezzi dei prodotti alimentari più alto e più volatili, tendono ad affrontare questa esposizione al rischio più basso.
Susan Burns, co-fondatrice di Global Footprint Network e direttrice della Finance Initiative (FI), sottolinea: «Ora più che mai, in questa epoca di cambiamenti climatici, l’identificazione di tutti i rischi ambientali rilevanti è fondamentale per investire non solo in azioni, ma anche in obbligazioni sovrane. Come dimostra questa ultima ricerca, gli shock al nostro sistema alimentare rappresentano una sostanziale rischio ambientale che sia gli investitori che i governi possono in gran parte prevedere, ma servirebbe davvero integrarli nelle loro analisi dei rischi».
Il rapporto si basa sul primo rapporto Environment Risk Integration in Sovereign Credit (ERISC), pubblicato nel 2012 da Unep, FI e Gfn, che valuta come rischi ambientali come la deforestazione, i cambiamenti climatici e la scarsità d’acqua influenzano le economie, dato che il Pil, l’ inflazione e saldi di bilancio sono alla base alcuni dei criteri che determinano il rating sovrano di un Paese e il costo del prestiti sui mercati internazionali dei capitali.
Unep e Gfn invitano parti interessate, governi, banche, investitori e agenzie di rating a lavorare con loro per decifrare ulteriormente il legame tra vincoli ambientali e rischio di credito sovrano.
Il nuovo rapporto ERISC arriva a pochi giorni della pubblicazione di un importante report sui sistemi alimentari e le risorse naturali redatto dall’International Resource Panel (IRP), (IRP), un consorzio di 34 scienziati di fama internazionale, da più di 30 governi nazionali e di altri gruppi ospitati dall’Unep. Il rapporto IRP, che elenca una serie di soluzioni in grado di migliorare il sistema alimentare del mondo, verrà presentato a Nairobi il 25 maggio all’United Nations Environment Assembly, considerata il Parlamento mondiale dell’ambiente.
Il direttore esecutivo dell’Unep Achim Steiner conclude: «Le fluttuazioni dei prezzi dei prodotti alimentari sono avvertite direttamente dai consumatori e si riverberano su tutte le economie nazionali. Mentre crescono le pressioni ambientali, è importante anticipare l’impatto economico di queste sollecitazioni, in modo che i Paesi e gli investitori possano lavorare per mitigare e minimizzare rischio e, mentre la popolazione mondiale continua a crescere, i prezzi alimentari possono essere un fattore invisibile di come rischio ambientale si traduce in rischio economico e in vulnerabilità».

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