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14 marzo 2016

 

Domenica di sangue

di Alessio Caschera

 

Due attentati seminano morte in Costa d'Avorio e Turchia. Vittime di quella "terza guerra mondiale" a pezzettini che sta gettando nel caos intere regioni del pianeta.

 

I professionisti del terrore stavolta hanno colpito Costa d’Avorio e Turchia, lasciando a terra almeno 60 morti. Due attacchi simultanei in luoghi diversi e con obiettivi diversi. L’ennesima strage di quella “terza guerra mondiale” a pezzettini, che sta mettendo a repentaglio la stabilità di intere regioni e le vite di milioni di persone. In Costa d’Avorio la morte è arrivata dal mare. Almeno tre uomini armati hanno massacrato a colpi di kalashnikov i bagnanti sulla spiaggia di Grand Bassam, nota località turistica a 40 chilometri dalla capitale Abidjan. I morti sono almeno 16, tra cui cinque europei secondo TF1. Tra le vittime ci sarebbe anche un francese,in quello che il presidente francese François Hollande ha definito un “attacco vigliacco”, mentre i feriti sarebbero una trentina. La modalità d’attacco ricorda quella di Sousse, in Tunisia, della scorsa estate quando l’attentatore, in muta, seminava il panico tra i turisti sulla spiaggia. L’attentato di Grand Bassam è stato rivendicato da un gruppo affiliato ad Al-Qaeda nel Maghreb, che in un comunicato sostiene che a colpire sarebbero stati “tre cavalieri”. L’attacco era nell’aria. Dopo gli assalti in Burkina Faso e Mali era solo questione di tempo. Da giorni diverse ambasciate occidentali, in primis quella francese, avevano diffuso numerose allerte sul rischio attentati nel Paese. Un attacco, quello di Grand Bassam, non solo contro i turisti, ma soprattutto indirizzato a minare il difficile processo di riconciliazione che sta affrontando la Costa d’Avorio, da poco uscita da un sanguinoso conflitto etnico tra cristiani e musulmani.

Nelle stesse ore la Turchia sperimentava per l’ennesima volta la violenza del terrore. Un’autobomba esplosa nel centro della capitale Ankara ha provocato, secondo un bilancio tutt’ora provvisorio, almeno 35 morti e 125 feriti. Secondo le ricostruzioni della polizia e delle telecamere di sorveglianza, un’auto carica di esplosivo si è scaraventata contro due autobus fermi. Una vera e propria strage, che arriva a nemmeno un mese di distanza da un’altra autobomba che, sempre nella stessa zona di Ankara, aveva provocato la morte di 29 persone. Un attacco che si va a aggiungere alla lunga lista di morte e distruzione che dal 2003 attanaglia la Turchia. Una scia di sangue ulteriormente allungatasi negli ultimi mesi con una media di un attentato al mese. Una situazione che sta mettendo in difficoltà il governo Davutoglu che, in una riunione d’emergenza e in accordo con il presidente Erdogan, ha deciso di bloccare tutti i social network nel Paese per impedire la diffusione di foto e materiale relativo all’attacco di ieri pomeriggio. Per ora non arriva nessuna rivendicazione. Il governo accusa i curdi del PKK, ma ancora non c’è  certezza sui responsabili. Come spesso accade in Turchia, difficilmente ci sarà la certezza sugli autori materiali di questa ennesima strage. La verità non è mai totale.

Il presidente, Recep Tayyip Erdogan,  ha trascinato i suoi cittadini in una guerra asimmetrica, figlia del suo coinvolgimento, più o meno diretto, nella carneficina siriana. Aver chiuso un occhio sui jihadisti di passaggio nel territorio turco per combattere il jihad contro Assad in Siria, si sta rivelando un clamoroso boomerang per il governo turco. L’inasprimento della macchina repressiva contro i dissidenti interni e la rinnovata guerra ai movimenti indipendentisti curdi, non ha fatto altro che gettare altra benzina sul fuoco e portare il paese verso una polarizzazione estrema che ha generato caos e paura diffusa. Una logica perversa che ha catapultato la Turchia in un tunnel di sangue e terrore di cui non si vede ancora l’uscita.

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