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01 dic 2016

 

La giustizia impossibile da ottenere

di Rosa Schiano

 

Per la normativa israeliana, i civili palestinesi della Striscia vittime delle violazioni militari d’Israele non hanno diritto a risarcimento perché considerati “residenti di un territorio nemico”

 

Roma, 1 dicembre 2016, Nena News –

 

Compiva quindici anni Atiya Nabahin, quando, circa due anni fa, il 16 novembre 2014, è rimasto ferito al collo dal fuoco dell’esercito israeliano presso la sua abitazione, al rientro da scuola, nel campo rifugiati di Al-Bureij, nella zona centrale della Striscia, al confine con Israele. Lì, dove la sua famiglia è proprietaria di terreni agricoli, non erano in corso in quel momento scontri tra l’esercito ed i palestinesi. Il giovane è rimasto tetraplegico, paralizzato a vita. Dopo alcuni mesi di cure mediche in Israele, pagate dall’Autorità Palestinese, l’ora diciassettenne è completamente dipendente dai suoi famigliari.

Adalah, centro legale per la minoranza araba in Israele e Al Mezan, centro per i diritti umani palestinese con sede a Gaza, a fine ottobre di quest’anno hanno presentato una lettera di protesta al tribunale distrettuale di Beer Sheva contro la richiesta di archiviazione da parte di Israele per l’azione legale che il centro Al Mezan ha intentato per conto di Nabahin. Il viceprocuratore distrettuale ha invitato la corte a rigettare la richiesta di risarcimento, sostenendo che Nabahin “è residente di un’area al di fuori di Israele che il governo ha ufficialmente dichiarato territorio nemico” e che “la legge esplicitamente afferma che lo stato non è responsabile in queste circostanze”.

Se il tribunale di Beer Sheva dovesse accettare la richiesta di archiviazione, gli avvocati del giovane potrebbero fare appello alla Corte Suprema ed i giudici dovranno allora affrontare la questione della legalità dell’emendamento numero 8 alla legge sugli illeciti civili approvato dalla Knesset nel 2012. L’emendamento aveva introdotto forti impedimenti per l’accesso ai tribunali israeliani e quindi per l’ottenimento di risarcimenti da parte delle vittime civili palestinesi colpite da azioni militari israeliane a Gaza, incluso quelle che violano il diritto internazionale, consolidando così l’immunità di Israele in azioni legali intentante contro lo stato.

L’emendamento esenta infatti lo stato di Israele dal pagare danni a “persone che non sono cittadini o residenti di Israele”, e sono residenti di un territorio situato al di fuori di Israele che è stato dichiarato “territorio nemico” con decreto governativo”, un decreto emanato nell’ottobre del 2014 ed applicato retroattivamente, a partire dal 7 luglio 2014, in violazione dei diritti costituzionali, secondo Adalah. Israele in questo modo non ha avuto più bisogno di giustificare le azioni dei propri soldati affermando che si trovassero in una qualsiasi situazione di pericolo al momento delle loro violazioni.

I vari governi israeliani nel corso degli anni hanno cercato di limitare la possibilità dei palestinesi di intentare cause perché colpiti da azioni delle truppe militari. Anni fa il governo tentò già di introdurre una disposizione simile all’interno della quale vi si trovava la definizione di “zone di conflitto” – anziché di “territorio nemico” – con la quale si esentava lo stato dalle responsabilità per i danni creati a civili in tali aree, disposizione che fu stroncata da una sentenza della Corte Suprema nel 2006.

Secondo i due centri per i diritti umani, l’emendamento permette che le numerose richieste di risarcimento per “azioni illegali e persino criminali” restino senza risposta. “Le vittime di tali azioni verranno lasciate senza alcun supporto”, si legge nella lettera di protesta. Con questa normativa, si lancia il messaggio che la vita e i diritti dei feriti di Gaza non hanno alcun valore, in quanto i tribunali non verranno in loro aiuto e coloro che hanno causato le loro ferite resteranno impuniti, si legge nel sito.

Adalah e Al Mezan hanno quindi chiesto alla corte di rigettare la richiesta di archiviazione e di definire l’emendamento 8 incostituzionale. Il giovane Nabahin, la sua famiglia e gli avvocati sono ora in attesa di una risposta dello stato alla loro richiesta. Chissà quanti, nelle stesse condizioni di Nabahin, feriti o paralizzati a seguito dei bombardamenti, si sono ritrovati soli, con le proprie famiglie, senza risposte e senza giustizia.

A seguito dell’offensiva militare Margine Protettivo – che tra il 7 luglio ed il 26 agosto ha ucciso 2251 palestinesi, di cui 551 minori e 299 donne e distrutto 18.000 abitazioni – i due centri per i diritti umani avevano presentato denunce congiunte alle autorità israeliane per casi di sospetti crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale chiedendo indagini indipendenti e procedimenti penali contro i responsabili. Ma, secondo un rapporto pubblicato dai due centri a fine agosto di quest’anno, Gaza 2 Years On: Impunity over Accountability, a due anni dal termine dell’offensiva, per i tanti casi di uccisioni e gravi ferimenti di civili, incluso bambini, per l’enorme danno alle proprietà civili, incluso ospedali, scuole, infrastrutture per l’acqua, non c’è stata finora alcuna incriminazione.

Adalah riporta che Israele non avrebbe esaminato nemmeno un caso seguendo le norme internazionali d’inchiesta quali l’indipendenza, l’imparzialità, la trasparenza. Tra gli esempi che più saltano all’occhio, vi è il caso dell’indagine aperta e poi chiusa sull’uccisione dei quattro bambini della famiglia Baker uccisi sulla spiaggia di Gaza mentre giocavano a pallone. Le loro immagini hanno fatto il giro del mondo e sul caso vi è stata per molto tempo attenzione internazionale soprattutto perché il crimine è avvenuto nei pressi di un hotel dove si trovavano giornalisti internazionali. Nel corso delle indagini, riporta Adalah, l’esercito non ha raccolto le testimonianze dei giornalisti presenti o né dei palestinesi. Il procuratore generale militare ha chiuso il caso nel giugno 2015, asserendo che l’area nella quale i bambini sono stati uccisi corrispondeva ad un obiettivo militare. Ad agosto 2015, Adalah e Al Mezan hanno presentato ricorso e a distanza di un anno il caso è ancora pendente davanti al procuratore generale. Nena News

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