Quds Press - Imemc - Ma’an - Infopal - 13/1/2016 - Mercoledì mattina, a est di Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, un drone israeliano ha ucciso un Palestinese e ne ha feriti altri tre. La vittima è un giovane di 23 anni, Mousa Z’eiter. Il giovane era membro di un gruppo affiliato alle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, ala militare di Fatah. Fonti mediche hanno dichiarato che Z’eiter è stato ucciso all’istante nell’attacco, mentre un altro è rimasto gravemente ferito. Altri due hanno riportato ferite lievi. Tutti sono stati portati all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya. Un portavoce dell’esercito israeliano ha riferito che le forze israeliane, in collaborazione con l’agenzia di sicurezza hanno preso di mira “una cellula di terroristi che stava pianificando di far detonare un esplosivo”. Secondo l’esercito di occupazione, i quattro stavano programmando di attaccare i soldati di stanza al confine. Testimoni hanno raccontato di aver visto veicoli militari e bulldozer attraversare la barriera di confine e invadere le terre a est di Beit Lahiya alle 7 di mattina. Parallelamente, le navi da guerra israeliane hanno lanciato tre missili contro l’area bombardata.


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13 gen 2016

 

Raid israeliano su Gaza, un palestinese ucciso

 

L’attacco è avvenuto stamattina, secondo l’esercito aveva come target una cellula terroristica. Intanto 4 attivisti denunciano Israele per la Freedom Flotilla 2010: “Violò il suolo statunitense”

 

Roma, 13 gennaio 2016, Nena News –

 

Questa mattina l’aviazione israeliana ha compiuto un raid aereo contro il nord della Striscia di Gaza, uccidendo un palestinese e ferendone tre. Per ora le loro identità non sono note, seppure alcuni media di Gaza abbiano identificato il giovane ucciso come il 23enne Moussa Zeitar. Testimoni hanno raccontato all’agenzia stampa palestinese Ma’an News che intorno alle 7 di mattina bulldozer e veicoli militari israeliani hanno attraversato il confine tra la Striscia e Israele a est di Beit Lahiya.

Secondo quanto riportato dall’esercito israeliano si è trattato di un’operazione che ha avuto come target “una cellula terroristica che pianificava l’esplosione di un ordigno contro le forze israeliane” al confine. Ovvero i quattro palestinesi stavano progettando un attacco.

La zona colpita, lungo la buffer zone, striscia di terra che corre lungo la frontiera est di Gaza e unilateralmente dichiarata da Israele, è per lo più zona agricola quasi del tutto inutilizzabile, se non con enorme rischio, dai contadini gazawi. Ogni settimana l’esercito israeliano apre il fuoco contro chi si avvicina alla rete elettrificata che segna il confine, impedendo di lavorare le terre agricole.

Sale così a 157 il numero di palestinesi uccisi dal primo ottobre, quando cominciò quella che è stata definita l’Intifada di Gerusalemme in tutta la Palestina storica. Oltre 20 gli uccisi a Gaza. Nello stesso periodo sono stati uccisi oltre 20 israeliani.

Attivisti denunciano Israele per la Freedom Flotilla

Intanto torna al centro dell’attenzione la missione della Freedom Flotilla del maggio 2010. Il raid israeliano che uccise 10 cittadini turchi a bordo della Mavi Marmara non fu l’unico di quel giorno. Ad essere attaccata dalle forze speciali israeliane fu anche il piccolo vascello Challenger I. A bordo c’erano 17 persone, tra cui tre statunitensi e un belga.

Furono colpiti con proiettili di gomma e bendati prima di essere portati al porto israeliano di Ashdod. Uno di loro ha riportato danni permanenti ad un occhio, dopo l’esplosione di una granata stordente, mentre la nave Challenger I non è mai stata riconsegnata al proprietario statunitense, ma è ancora in Israele.

Oggi quei 4 attivisti hanno deciso di denunciare Israele: i soldati attaccarono una nave registrata negli Stati Uniti, battente statunitense, in acque internazionali, considerabile quindi territorio Usa. Alla base dell’azione legale ci sarà quindi la violazione di un territorio straniero. La richiesta è chiara: compensazione per i danni subiti, fisici e morali.

Non è la prima volta che azioni legali vengono mosse contro le autorità israeliane in merito all’assalto della Freedom Flotilla di 6 anni fa. Nessuna è giunta a conclusione, soprattutto dopo la decisione recente della Turchia di rinunciare a qualsiasi indagine in cambio di un accordo diplomatico ed economico con Tel Aviv. Nel 2014 fu invece la Corte Penale Internazionale a decidere di non indagare perché gli atti in questione furono considerati “di non sufficente gravità”. Eppure morirono 10 persone, disarmate, in acque internazionali.

Sul The Guardian l’avvocato Geoffrey Nice, che sta lavorando al caso, ha definito il tentativo di aprire un caso legale su queste basi “senza precedenti”: “Se si è sotto una bandiera, significa che si è protetti da quello Stato e che le navi sono sotto la sua protezione se in acque internazionali”. Nena News

 

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