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05 mar 2016

 

Gruppo israeliano nel sud implora Ban Ki Moon: “Faccia terminare l’assedio a Gaza”

 

In una lettera inviata giovedì, il raggruppamento “Una voce differente” ha esortato il Segretario Generale Onu a fare pressioni sul governo Netanyahu per porre fine al blocco di Tel Aviv sulla Striscia. “Bisogna implementare una politica morale e umanitaria che dia speranza alle persone che vivono su tutti e due i lati del confine” scrivono i firmatari.

 

Roma, 5 marzo 2016, Nena News –

 

Una lettera al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon per far terminare l’assedio sulla Striscia di Gaza. A scriverla non sono stati palestinesi o attivisti internazionali solidali con la causa palestinese, ma un gruppo di israeliani che vivono nel sud d’Israele vicino alla Striscia. A dare la notizia è stato ieri il sito del canale 2 della televisione israeliana. “Abbiamo mandato ripetuti appelli al nostro governo per porre fine all’assedio su Gaza, un assedio che intrappola 1.8 milioni di persone dentro una piccola striscia di terra” si legge nell’appello lanciato dal gruppo “Una voce differente”. “Noi – continua il testo – sottolineamo come il blocco sia una bomba a orologeria per tutti noi. Perciò esprimiamo profonda preoccupazione per il peggioramento delle condizioni di vita a Gaza dove l’80% della popolazione dipende dall’aiuto internazionale”.

Il gruppo, di cui non si conoscono gli effettivi né i nomi dei membri, ha poi sottolineato come le operazioni militari israeliane negli ultimi 8 anni abbiano solamente peggiorato la situazione. “Le tre guerre, Piombo Fuso (2008-2009), Colonna di nuvola (2012) e Margine Protettivo (2014), al di là dei morti e dei feriti che hanno causato, ci hanno reso cittadini psicologicamente impauriti. Il danno fisico e psicologico che hanno provocato è grave e devastante”. Da qui ne deriva una amara consapevolezza: “la situazione a Gaza è una catastrofe e noi in Israele non abbiamo segnali di speranza e cambiamento. Perfino l’apparato di sicurezza lancia l’allarme su cosa potrebbe avvenire se non compiamo passi che aiutino gli abitanti della Striscia a migliorare le loro condizioni di vita” .

Di fronte al silenzio delle autorità locali, una “Voce differente” vuole marcare una netta distanza: “ci rivolgiamo in qualunque modo possibile a lei [Ban Ki Moon, ndr] e al resto degli strati membri affiché, con il potere che ha con la sua organizzazione, possa fare pressioni sul nostro governo a porre fine all’assedio e ad implementare una politica morale e umanitaria che dia speranza alle persone che vivono entrambi i lati del confine”. Un senso di fratellanza lega infatti i due popoli. “Nessuno – scrivono gli autori della lettera -dovrebbe pagare il prezzo della guerra e delle ostilità. Nessuno, a prescindere dalla sua appartenenza nazionale, dovrebbe vivere senza acqua potabile, elettricità, lavoro e casa. Siamo tutti esseri umani su entrambi i lati del confine. Meritiamo una vita dignitosa e diritti fondamentali”.

Ma la realtà parla una lingua molto diversa da quella usata nella lettera. Stamattina alcuni contadini palestinesi sono stati costretti a lasciare i loro campi nel nord della Striscia dopo che le forze di sicurezza israeliane avevano aperto il fuoco nel nord contro di loro. Per l’esercito israeliano si sarebbe trattato di “spari di avvertimento” perché alcuni “sospetti” si sarebbero avvicinati alla recinzione posta nei pressi del confine. Soltanto lo scorso mese l’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari umanitari ha registrato almeno 42 casi in cui i soldati di Tel Aviv hanno sparato ai palestinesi nella buffer zone, sia via terra che via mare.

Israele ha imposto una assedio sulla Striscia da 2007 da quando, cioè, il movimento islamico palestinese (Hamas) ha preso il controllo del piccolo lembo di terra. Un blocco che è diventato ancora più insopportabile per i palestinesi da quando è salito al potere nel 2013 con un golpe militare il presidente egiziano Abdel Fattah as-Sisi. L’ex generale – non pago di aver sigillato la Striscia chiudendo il valico di Rafah, unica porta al mondo esterno rimasta ai palestinesi dopo il blocco israeliano – ha anche distrutto e allagato i tunnel con cui i palestinesi si riforniscono sì di armi, ma soprattutto di viveri e beni. Tel Aviv ritiene il blocco “essenziale” in quanto impedisce ai “terroristi” di Hamas e delle altre fazioni palestinesi di ottenere il materiale necessario per rafforzare le sue capacità belliche, fabbricare missili e costruire tunnel con cui contrabbandare armi, difendersi o, entrare illegalmente in territorio israeliano. Il Cairo, invece, sostiene che i gruppi palestinesi di stanza a Gaza forniscono sostegno militare (e logistico) ai jihadisti islamici responsabili della serie di attacchi contro le forze di sicurezza egiziani e i siti turistici nella Pensiola del Sinai che hanno causato la morte di centinaia di persone. Nena News

 

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