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23 ottobre 2016

 

Il pasticcio dell’Unesco sul Monte del Tempio. Renzi allucinante!

di Marco Pugliese

 

Il 14 ottobre il capo dell’UNESCO, la bulgara Irinia Bokova, ha diffuso un comunicato in cui si distanzia formalmente dalla risoluzione sul legame fra Israele e la Spianata delle Moschee di Gerusalemme, contestata da più fronti: Bokova ha spiegato che “il complesso della moschea al-Aqsa – al-?aram al-Sharif, luogo sacro per i musulmani, è anche lo Har HaBayit, o Monte del Tempio, di cui il Muro del Pianto è il luogo più sacro, per gli ebrei”. Il caso è poi diventato diplomatico con una piega alquanto polemica. Ripercorriamo la vicenda.

 

Cenni storici.

La collina su cui è situato il complesso religioso di Gerusalemme, dentro la cosiddetta Città Vecchia, è uno dei luoghi religiosi più importanti al mondo. L’edificio che al giorno d’oggi occupa più spazio è il terreno dove sorgono la Cupola della Roccia e la moschea di al-Aqsa, costruita nel luogo dove secondo l’Islam il profeta Maometto è salito in cielo. I musulmani considerano il complesso, chiamato Al-?aram Al-Sharif, il terzo luogo sacro più importante al mondo dopo la Mecca e Medina. Ma nello stesso luogo, quasi duemila anni fa, sorgeva il Tempio di Salomone, il principale luogo sacro per gli ebrei, distrutto dai Romani nell’assedio di Gerusalemme del 70 d.C e mai più ricostruito. Del Tempio rimane solamente un muro esterno che oggi è diventato il luogo di culto più importante per gli ebrei, e che è situato pochi metri più in basso della moschea di al-Aqsa: il cosiddetto Muro del Pianto. Gli ebrei si riferiscono all’intero complesso religioso come Har HaBayit, letteralmente il “Monte della Casa (di Dio)”, in inglese Temple Mount. A complicare le cose, a poca distanza dalla Spianata è situata invece la Basilica del Santo Sepolcro, il luogo dove secondo i cristiani Gesù Cristo è stato seppellito e poi è risorto.

 

Unesco: Israele rompe le relazioni.

Il caso diplomatico fra Israele e l’UNESCO, l’agenzia dell’ONU che si occupa di cultura e protezione del patrimonio artistico e che è formata da 58 stati a rotazione fra i 195 paesi che vi partecipano, ha approvato una risoluzione che di fatto minimizza il rapporto fra gli ebrei ed il principale complesso religioso di Gerusalemme, la “Spianata delle moschee”, che in tutto il documento viene chiamata esclusivamente col suo nome islamico, ovvero al-?aram al-Sharif. La scelta è voluta, dato che nello stesso documento altri siti religiosi meno importanti vengono chiamati sia col nome ebraico sia con quello islamico. L’UNESCO non è nuova a simili uscite, tanto che ha ufficialmente considerato Gerusalemme quale capitale di due stati in conflitto tra loro, attualmente occupata militarmente da quello più forte.

L’ultima presa di posizione dell’UNESCO ha alzato quindi al tensione, già molto “calda”. Israele ha risposto rompendo le relazioni con l’agenzia dell’ONU e mediaticamente ha parlato di “Shoah culturale”. La questione infatti è prettamente simbolica e non ha riscontri economici in materia di fondi o finanziamenti. La Spianata delle Moschee fu conquistata da Israele nella guerra dei Sei Giorni, anno 1967. Motivo per cui, il luogo è obiettivo più o meno dichiarato delle fazioni palestinesi più estreme, una zona ad alta tensione che vive ogni azione (anche simbolica) come vera e propria “frustata” al fragile equilibrio costituito.

 

La risoluzione.

La risoluzione è stata presentata il 12 ottobre da sette nazioni del comitato esecutivo dell’UNESCO, tutte a netta maggioranza musulmana e note per essere solidali con la causa palestinese: Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Sudan, Oman e Qatar. Va inquadrata nei recenti sforzi dei leader palestinesi di legittimare la propria causa in sede internazionale (negli ultimi cinque anni la Palestina è diventata osservatore speciale all’ONU ed è entrata ufficialmente nell’UNESCO e nella Corte penale internazionale).

Il 13 ottobre, in fase di commissione, la risoluzione è stata approvata dai rappresentanti di 24 paesi: in sei hanno votato contro, cioè Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Estonia, Lituania, Paesi Bassi, mentre altri 26, fra cui l’Italia, si sono astenuti. Il 18 ottobre la risoluzione è stata approvata anche dal comitato esecutivo dell’UNESCO. Tutti gli stati coinvolti hanno confermato il loro voto tranne il Messico, che dopo diverse pressioni ha modificato il proprio “sì” in un’astensione.

 

Lo scenario in prospettiva.

Il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha reagito bruscamente alla decisione UNESCO. Il premier si dice pronto a “rompere con l’Ue” sulle risoluzioni che penalizzano Gerusalemme, arrivando a parlare di “Allucinante la decisione Unesco su Israele”. Ha poi aggiunto che “Siamo andati in automatico, un errore”. Una presa di distanza netta, risoluta, senza precedenti, formalizzata. Anche se la posizione del governo era stata più morbida, nei giorni scorsi, in occasione della risoluzione, il nostro esecutivo, attraverso la Farnesina, si era astenuto. A Tel Aviv hanno ringraziato, in Qatar meno. Il Qatar infatti sarà l’anno prossimo il presidente di turno dell’ UNESCO. Il nostro paese ha appoggiato la candidatura qatarina per vari motivi, economici in primis.

La sinergia tra i due paesi è stata profonda fino al pasticcio della risoluzione contro Israele. Troppo grave per il nostro governo schierarsi contro l’unica democrazia mediorientale, troppo rischioso appoggiare in questo momento stati come il Qatar, accusati da più parti di finanziare l’Isis.

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