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Dicembre 14, 2016

 

Espellere e sfruttare: la pratica israeliana di impossessarsi dei terreni agricoli palestinesi

La sintesi del Rapporto di B’Tselem

Traduzione di Amedeo Rossi

 

Questo rapporto racconta la storia del processo di frammentazione imposto ai terreni agricoli palestinesi in Cisgiordania attraverso lo studio del caso di tre villaggi nel distretto di Nablus: Azmut, Deir al-Hatab e Salem.

Quello che queste comunità hanno subito dal 1980, quando Israele ha fondato nelle vicinanze Elon Moreh [colonia israeliana di circa 1700 abitanti. Ndtr.], non è altro che uno degli esempi di dinamiche più estese che hanno avuto luogo in tutta la Cisgiordania. La loro storia è simile a quella di centinaia di comunità palestinesi sulle cui terre sono stati costruiti insediamenti israeliani.

Come molti altri villaggi palestinesi, Azmut, Deir al-Hatab e Salem si sono sviluppati in sintonia con le caratteristiche geografiche della zona. Terreni coltivati, pascoli e fonti idriche naturali sono serviti come fondamento dell’economia locale e come base per la formazione di un’intera cultura che lega profondamente gli abitanti al loro ambiente. I contadini utilizzavano per lo più coltivazioni tradizionali delle zone aride, coltivando ulivi e alberi da frutto, legumi e cereali. Allevavano anche bestiame, basandosi su pascoli naturali che si estendono lungo le distese collinose del al-Jabal al-Kbir (letteralmente: la Grande Montagna) e le vallate circostanti. Per centinaia di anni i contadini hanno vissuto di agricoltura e pastorizia.

Dall’occupazione del 1967 Israele ha utilizzato varie misure – ufficiali e non – per tagliare fuori i contadini dalla loro terra e assegnarla ai coloni. Il primo passo fu la fondazione nel 1980 della colonia di Elon Moreh su 127,8 ettari (1.278 dunam) delle terre del villaggio già registrate come proprietà statale sotto il governo giordano precedente il 1967. Solo due anni dopo il Comando della Giudea e Samaria stabilì una riserva naturale su una parte delle terre rimanenti a ovest della colonia. Ciò determinò la creazione di una zona, molto più ampia della giurisdizione dell’insediamento, in cui i palestinesi devono ottenere un permesso israeliano per intraprendere qualunque tipo di attività, costruzione, nuove coltivazioni o allevamento di bestiame. Nel 1987 170 ettari della riserva naturale furono dichiarati “terra dello Stato” e nel 1998 vi venne costruito un avamposto illegale dei coloni.

“Circa cinque coloni vivono nella fattoria Skali, ed hanno più pecore di tutti quanti gli abitanti del nostro villaggio messi insieme. Hanno grandi greggi – da 500 a 1.000 pecore a testa – mentre noi, gli abitanti di Salem che siamo i proprietari della terra, non abbiamo il permesso di attraversare la strada e allontanarci dalle nostre case, e le nostre pecore rimangono tutto il tempo nei recinti. Non escono mai a pascolare e non abbiamo nessun posto in cui portarle.”

La fase successiva del processo di espropriazione ebbe luogo alla fine di settembre 1995, dopo che Israele e i palestinesi firmarono gli accordi di Oslo II. Le terre di Azmut, Deir al-Hatab e Salem furono divise tra le aree B e C: la maggior parte dei terreni su cui si era costruito all’epoca fu definita area B, mentre la maggior parte delle riserve di terra, coltivazioni e pascoli dei villaggi furono attribuiti all’area C, sotto totale controllo israeliano. Da allora l’uso delle terre definite come area C, praticamente per ogni uso – soprattutto per la costruzione e lo sviluppo – è soggetto all’approvazione israeliana, che quasi sempre è negata ai contadini. Così facendo Israele ha messo le basi amministrative per separare i centri abitati dei villaggi dalla maggior parte dei loro terreni coltivati e pascoli.

Nel 1996 Israele costruì una strada per unire le colonie di Elon Moreh e Itamar, in modo che gli israeliani non dovessero più attraversare la zona abitata di Salem. Così, seguendo le basi amministrative stabilite un anno prima, Israele mise in piedi l’infrastruttura concreta per separare fisicamente le zone abitate dei tre villaggi dalle loro coltivazioni e pascoli. Nel 2000, quattro anni dopo che la strada era stata asfaltata, è scoppiata la seconda Intifada. Da allora, Israele ha vietato ai palestinesi di utilizzare la strada e persino di attraversarla. Benché questa proibizione sia priva di base legale, la tangenziale di Elon Moreh ha costituito la misura più radicale e significativa per bloccare l’accesso dei contadini alle terre coltivate, ai pascoli e alle fonti idriche naturali.

In pratica ogni restrizione che Israele ha imposto agli abitanti di Azmut, Deir al-Hatab e Salem ha permesso ai coloni di invadere quelle terre ed estendere il territorio sotto il loro controllo. La separazione determinata da Israele tra gli abitanti palestinesi e le loro terre coltivate ed i loro pascoli consente ai coloni di costruire case, stabilire avamposti, tracciare sentieri, piantare coltivazioni e uliveti, allevare greggi e appropriarsi di sorgenti di acqua di quella terra. Nel contempo i contadini sono anche regolarmente sottoposti a violenti attacchi.

Israele ha sempre tentato di dare una sorta di legalità alle sue azioni in Cisgiordania, sostenendo che queste azioni sono legali (in base alle leggi internazionali o a quelle applicabili alla Cisgiordania) oppure che sono iniziative private intraprese dai coloni. Tuttavia tutte queste attività rappresentano violazioni delle leggi internazionali e sono basate su un’interpretazione distorta e manipolatoria delle leggi che Israele stesso applica in Cisgiordania.

La separazione forzata dei contadini palestinesi dalle loro terre, pascoli e risorse idriche naturali ha violato gravemente i loro diritti, devastato l’economia locale e li ha proiettati nella povertà e nella dipendenza da istituzioni esterne. I contadini sono stati lasciati in uno stato di insicurezza a più livelli: finanziario, alimentare e sociale.

Questa è la storia di tre villaggi, una sola area rurale. Ma è una storia che si ripete spesso. Questo rapporto illustra una radicale politica di lungo periodo che Israele ha messo in atto in Cisgiordania per quasi cinquant’anni. Sotto l’apparenza di un’ “occupazione militare temporanea”, Israele tratta i territori occupati a suo piacere: portando via la terra, sfruttando le risorse naturali e creando colonie permanenti. Gli abitanti palestinesi sono stati progressivamente spogliati delle loro terre, delle loro radici e dei mezzi di sussistenza, per essere sostituiti dal controllo israeliano attraverso azioni ufficiali dirette o da attività dei coloni come suoi rappresentanti.

Nel corso degli anni Israele ha spogliato i palestinesi di circa duecentomila ettari di terra, compresi coltivazioni e pascoli, che poi ha destinato generosamente alle colonie. Alcune aree sono state dichiarate “aree militari chiuse” ed ai palestinesi è stato vietato di entrarvi senza un permesso; altri appezzamenti sono stati occupati creando fatti sul terreno e con l’uso della forza. Circa 580.000 israeliani attualmente vivono in Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) in oltre 200 colonie, e godono di quasi tutti i diritti e privilegi attribuiti ai cittadini israeliani che vivono in Israele, all’interno della Linea Verde.

L’impatto che le colonie della Cisgiordania hanno sulla vita degli abitanti palestinesi è molto più ampio rispetto alle terre destinate alla semplice costruzione delle colonie: altre terre sono state espropriate per creare centinaia di chilometri di strade di collegamento asfaltate; posti di blocco e altre misure che limitano i movimenti solo per i palestinesi sono stati messi in atto in base alla collocazione degli insediamenti; l’accesso dei proprietari palestinesi a molte delle loro terre agricole – all’interno o all’esterno delle aree delle colonie – è stato nei fatti bloccato; il tortuoso tracciato della Barriera di Separazione – che viola gravemente i diritti dei palestinesi che vivono nei dintorni – è stato situato in profondità all’interno della Cisgiordania, soprattutto per inserire quante più colonie possibile sul suo lato occidentale (israeliano), insieme ad estesi appezzamenti che Israele ha destinato alla futura espansione di quelle comunità.

Intanto Israele ignora totalmente le necessità di milioni di palestinesi che vivono sotto il rigido regime militare della Cisgiordania, che nega a questi abitanti la possibilità di partecipare alla definizione del loro futuro, li priva dei loro diritti e delle loro risorse e impedisce loro qualunque possibilità di assicurarsi una vita quotidiana normale.

La politica di Israele dimostra chiaramente che lo Stato non vede l’occupazione, che si sta rapidamente avvicinando al mezzo secolo, come temporanea. Nel corso degli anni, gli insediamenti sono effettivamente diventati parte del territorio sovrano di Israele. Benché Israele abbia finora evitato un’annessione formale (tranne che a Gerusalemme est), ha lavorato in molti modi per eliminare la Linea Verde per i suoi cittadini, mentre ha concentrato la popolazione palestinese in 165 “isole” (le aree A e B) – enclaves non contigue che non possono prosperare. Questo movimento parallelo, dei coloni israeliani che si trasferiscono e occupano sempre più terra della Cisgiordania e i palestinesi che vengono espulsi, è stato una costante della politica israeliana in Cisgiordania fin dal giugno del 1967, con gli organi legislativo, giuridico, della pianificazione, finanziari e della difesa israeliani che hanno lavorato per questo obiettivo.

 


Qui trovi l’originale: http://www.btselem.org/publications/summaries/201612_expel_and_exploit

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