Fonte: Haaretz

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Dicembre 19, 2016

 

La legge che mette in evidenza la vera natura colonialista di Israele

di Oren Yiftachel

insegna geografia politica e giuridica nel Negev ed è un ex copresidente di B’tselem.

traduzione di Amedeo Rossi

 

Sia che si tratti di terra coltivata (Negev) che incolta (Cisgiordania), si troverà uno stratagemma legale per trasferirla da mani arabe a ebraiche

 

Durante il periodo coloniale il concetto giuridico di terra nullius è stato utilizzato per definire terre senza diritti di sovranità o proprietà come terre di nessuno. Ciò per centinaia di anni ha fornito agli europei una giustificazione legale per strappare il controllo di territori e persone ai quattro angoli della terra. Questo concetto, reso ora nullo, affermava tra le altre cose, che le terre dei popoli nativi di America, Africa, Asia ed Australia, che non erano formalmente accatastate o gestite in modo “moderno”, erano da considerarsi “prive” di diritti legali.

Questo approccio ha avuto varie versioni, a seconda di chi comandava, ma la sostanza era la stessa: tutto ciò che aveva preceduto l’invasione europea -storia, cultura, agricoltura e leggi tradizionali – era cancellato. Il principale strumento che permetteva agli europei di esercitare il controllo, oltre alla violenza, era la legge. L’invasore, che era anche il legislatore, garantiva che l’accaparramento delle terre a danno dei nativi sarebbe sempre rimasto coperto da un ingannevole e mistificatorio velo di “legalità”.

[Il concetto di] terra nullius, come un modo di pensare e una “categoria” di sistemi legali, ha operato nel mondo fino a XX° secolo inoltrato, quando è emersa una legislazione opposta, che sostiene i diritti umani e riconosce quelli dei popoli indigeni. La nuova tendenza ha gradualmente ammesso che anche le culture e i popoli colonizzati hanno i propri legittimi sistemi di leggi, di proprietà e di governo.

Nel caso “Mabo” del 1992, la Corte Suprema australiana ha formalmente ribaltato il concetto giuridico di terra nullius, e molti altri Paesi hanno fatto altrettanto. La dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni del 2007 delinea le nuove norme internazionali, che rispettano le leggi consuetudinarie e proibiscono l’appropriazione di terre e risorse dei nativi o il trasferimento forzato di comunità autoctone.

La scorsa settimana il controverso disegno di legge israeliano noto come “Legge per la Regolarizzazione”, che intende legalizzare insediamenti ebraici (“avamposti”) non autorizzati in Cisgiordania ha superato la prima lettura. Questo disegno di legge può a buon diritto far parte della legislazione globale sulla terra nullius. Può darsi che sia in ritardo di un secolo, ma, in nome dell’occupazione e dell’insediamento coloniale -in questo caso, ebraico -, questa legge cancellerà la validità dei precedenti sistemi di proprietà in vigore da secoli. Come hanno ribadito i dirigenti dei coloni (“Smettiamola di chiedere scusa!”), nessuno gli impedirà di violare le leggi internazionali e ignorare etica e giustizia.

E’ una classica posizione colonialista. Proprio come i colonizzatori che hanno importato le loro leggi dalle capitali europee, gli abitanti di Amona (tutti coloni ebrei, naturalmente) mirano a importare le loro leggi dallo Stato occupante. Bisogna sottolineare che, secondo le norme internazionali, nessuno Stato ha l’autorità di emanare leggi riguardanti territori al di fuori dei propri confini nazionali o dichiarare proprietà di quello Stato terreni di questi territori.

Naturalmente ciò non significa che non ci siano milioni di ettari di terre ebraiche e israeliane che sono stati acquisiti o registrati in modo corretto, o che il diritto degli ebrei all’autodeterminazione sia minacciato. Per niente. Questa consapevolezza mette in una luce più chiara l’ingiustizia dell’appropriazione di terre attraverso inganni legali, mentre un tale furto non è per niente necessario allo Stato ebraico.

Comunque è altresì importante non esagerare l’importanza della legge attualmente in discussione, in quanto aggiunge solo un ulteriore, ancora più brutale livello al sistema che è iniziato 70 anni fa, attraverso il quale le terre palestinesi sono state trasferite agli ebrei con mezzi che “legalizzano” l’esproprio da parte dello Stato.

La messa in pratica dell’approccio della terra nullius è iniziata nel 1948 e si è aggravata dopo il 1967 – quando l’esproprio a danno di singoli individui ha riguardato le collettività, impedendo la realizzazione di uno Stato palestinese. E’ importante ricordare nell’attuale polemica che lo Stato per 70 anni ha cancellato, attraverso iniziative legali contorte e riguardanti la sicurezza, la maggior parte dei precedenti diritti legittimi dei palestinesi.

Stando così le cose, il cosiddetto “forte dissenso”, di cui si parla, tra persone che sarebbero a favore della “certezza del diritto”- Isaac Herzog [del partito Laburista. Ndtr.], Benny Begin [del Likud. Ndtr.] e Avichai Mendelblit [capo della procura militare. Ndtr.]– e “trasgressori della legge”, come Naftali Bennett e Uri Ariel [ministri e dirigenti del partito di estrema destra dei coloni. Ndtr.], può essere visto come una mossa di facciata. La nuova legislazione nella sua essenza non è nuova. Cambierà semplicemente i tempi: invece di dichiarare che le terre in apparenza erano di proprietà dello Stato ebraico fin da prima dell’insediamento dei coloni, la legge permetterà di dichiarare che lo sono dopo anni di insediamento delle colonie.

Ogni arabo che vive nelle Galilee, nel Triangolo [zona centro-settentrionale di Israele a maggioranza palestinese. Ndtr.] e soprattutto nel Negev può testimoniare che metodi simili sono stati utilizzati anche là per svuotare il sistema autoctono dei diritti di proprietà. In quelle regioni lo Stato ha spesso dichiarato terre arabe “vuote” o “abbandonate”, “morte” o “necessarie per finalità pubbliche (ebraiche)”, ed ha trasferito la proprietà a ebrei.

I metodi per trasformare in ebraiche terre palestinesi in Cisgiordania sono dettagliati in un nuovo rapporto di B’tselem, sotto il titolo “Espellere e sfruttare”. Questo rapporto documenta nei particolari la recente storia di terreni attorno a tre località palestinesi nei pressi di Nablus: Azmut, Deir al-Khatab e Salem. Il quadro generale è noto e inquietante: vasti appezzamenti di terre dei villaggi sono stati progressivamente trasferiti a ebrei attraverso varie misure che hanno incluso la creazione di aree di sicurezza, strade asfaltate ad accesso limitato, costituzione di avamposti illegali, registrazione come proprietà abbandonate e destinazione di territori a riserve naturali.

Il rapporto completa un ampio studio di B’tselem del 2012 intitolato “Sotto le mentite spoglie della legalità”, che ha documentato i modi in cui Israele ha manipolato le leggi ottomane ed inglesi per trasferire terre private palestinesi in mani israeliane ed ebraiche. Il rapporto ha dimostrato per la prima volta che Israele non solo ha gravemente violato le leggi internazionali, ma anche quelle nazionali, stravolgendo le norme fondiarie ottomane e britanniche. Ciò nonostante l’obbligo per lo Stato di conservare ogni norma legale già esistente nelle regioni occupate.

Il processo distorto in Cisgiordania si basa sul fatto di dichiarare che terre incolte nelle zone agricole dei villaggi possono essere dichiarate terre statali – benché, secondo il diritto ottomano, ognuna di tali terre non coltivate debba essere prima offerta ai precedenti proprietari, poi al villaggio di appartenenza o essere venduta con un’asta pubblica.

Israele ha ignorato le clausole più scomode del diritto ottomano e le ha sostituite con ordinanze del Mandato [inglese sugli ex territori dell’impero ottomano. Ndtr.], che erano concepite per delimitare le terre pubbliche in un contesto completamente diverso. Questa distorsione ha fornito le basi di una massiccia ed illegale “israelificazione” delle terre palestinesi. Inutile dire che i governanti ottomani e inglesi che hanno emanato queste leggi non hanno mai espropriato terre palestinesi (o ebraiche) in questo modo.

Fin dal 1970 Israele ha utilizzato una simile manipolazione della legge nel Negev, dichiarando terre non formalmente registrate in due momenti storici diversi – nel 1858 e nel 1921 – come “mewat”, ossia “terre morte”. Queste sono presumibilmente terre incolte, non occupate, abbandonate e periferiche, senza proprietario e pertanto terre statali. Israele ha fatto tutto ciò nonostante l’appartenenza storica delle terre ai beduini, molte delle quali erano coltivate e occupate, secondo le leggi tradizionali e riconosciute dagli ottomani e dagli inglesi.

Tutti lo sapevano, comprese le istituzioni sioniste che pagarono a caro prezzo vasti terreni dei beduini, con l’approvazione delle autorità britanniche. Tuttavia anche qui lo Stato ignora le parti scomode della storia e della legge, classificando in seguito queste terre come “morte”. In casi giudiziari recenti lo Stato sta fondamentalmente dicendo ai beduini: “I vostri padri e nonni non lo sapevano, ma vi stiamo dicendo che erano occupanti abusivi, e le terre che avete ereditato o comprato sono dello Stato.”

I tribunali hanno approvato questa interpretazione soprattutto in base alla precedente cultura giuridica in vigore in Israele, che si basa su vecchie sentenze. Queste vennero emesse in un periodo in cui i proprietari di terre arabi erano privi di potere e non avevano le risorse per sfidare l’espropriazione mascherata di legalità.

Il confronto tra la Cisgiordania e il Negev pone in evidenza il persistente e continuo processo di giudeizzazione sotto il regime israeliano. Che la terra sia coltivata (Negev) o incolta (Cisgiordania), sarà trovato un escamotage legale per trasferirla da mani arabe a ebraiche, rendendola quindi “terra nullius” – terra svuotata dei diritti originari.

Alla luce di questa lunga e distorta storia giuridica, è forse preferibile per chi desidera pace e giustizia che la legge per la legalizzazione sia totalmente accolta, e non respinta dalla Knesset o dall’Alta Corte di Giustizia. Ciò ci risparmierà le false distinzioni tra l’attuale legislazione e le precedenti discutibili leggi per l’espropriazione, e spazzerà via le differenze tra Amona e Ofra [colonia israeliana legittima secondo le leggi israeliane. Ndtr.] o tra Salem e ‘Araqib [rispettivamente un villaggio palestinese della Cisgiordania e uno beduino nel Negev israeliano. Ndtr.]. La legge metterà chiaramente in evidenza quello che Israele ha fatto per anni di nascosto: prendere il controllo colonialista delle terre palestinesi mettendo in atto la propria versione della dottrina della terra nullius, annullata e invalidata dalle leggi internazionali.

Se approvata, la nuova legislazione metterà l’approccio israeliano nel posto che gli compete, come parte di un oscuro periodo coloniale i cui tempi sono passati. Forse ciò scatenerà un processo di trasformazione e decolonizzazione ad ampio raggio, così urgentemente necessario nella nostra terra lacerata.

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