Al Monitor

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21 gen 2016

 

Chi sono i veri amici di Israele?

di Uri Savir

traduzione di Romana Rubeo

 

Il governo Netanyahu taccia di antisemitismo chiunque esprima una critica a Israele. Un atteggiamento non nuovo che risale all’epoca del mandato del primo ministro Golda Meir che, con l’espressione: “Tutto il mondo è contro di noi”, si fece portavoce di una netta chiusura mentale.

 

L’attuale governo è alquanto sbrigativo nell’etichettare come “nemico di Israele” chiunque osi criticare le sue politiche. Sono invece “amici” solo coloro che concordano con le sue decisioni; il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama non è contemplato nella lista.

Un chiaro esempio in tal senso è la reazione alla decisione dell’Unione Europea di etichettare i prodotti delle colonie. (…) I Parlamentari del Likud hanno alluso a un’analogia tra questa prassi e i segni di riconoscimento imposti agli Ebrei durante l’Olocausto. L’atteggiamento che porta a tacciare di antisemitismo chiunque esprima una critica risale all’epoca del mandato di Golda Meir che, con l’espressione: “Tutto il mondo è contro di noi”, si fece portavoce di una netta chiusura mentale.

Ovviamente, questa visione è parte integrante dell’ideologia e della propaganda dell’attuale governo e deriva da un sentimento diffuso di paranoia e xenofobia. I rappresentanti del Governo, ad esempio, sono davvero convinti che le politiche dell’UE sulle colonie siano frutto di un’ostilità storica nei confronti di Israele e degli Ebrei. Questa chiusura rende praticamente impossibile qualsivoglia dialogo politico con altri Paesi e impedisce la realizzazione di una vera e propria politica estera. Fa però gioco agli interessi interni del governo. Una descrizione del mondo riconducibile alle categorie del “bianco e del nero”, dei “buoni e dei cattivi”, in cui tutti sono animati da un sentimento anti-giudaico, alimenta la necessità di fare scudo, unica strategia possibile secondo il Primo Ministro.

È una tattica di pubbliche relazioni che fa molta presa su un popolo traumatizzato dalla storia. Un alto funzionario del Quai d’Orsay (Ministero degli Esteri Francese), responsabile delle politiche in Medio Oriente, ha dichiarato in forma anonima ad Al-Monitor che la decisione di etichettare i beni prodotti ad ovest della Linea Verde è stata presa in parte su iniziativa francese. “Il governo olandese è filo-israeliano e mantiene una politica di equilibrio in Medio Oriente. Per noi, semplicemente, la Cisgiordania non è territorio israeliano.” Stando alle sue parole, i diplomatici francesi sono seccati dall’atteggiamento dei colleghi israeliani a Parigi e a Gerusalemme, che lamentano ostilità contro Israele o antisemitismo ogni qualvolta la Francia si mostra contrariata rispetto alle politiche di Netanyahu. “È possibile essere filo-israeliani, ma contrari a Netanyahu ”, ha aggiunto.

Questo punto di vista è quello che caratterizza anche l’amministrazione Obama. Il Coordinatore del Medio Oriente per la Casa Bianca, Philip Gordon, nel corso della Conferenza di Haaretz a Tel Aviv l’8 luglio 2014, ha criticato le politiche israeliane, soprattutto in merito all’occupazione della Cisgiordania: “Come potrà Israele restare democratico e ebraico se tenta di stabilire il proprio dominio su milioni di arabi palestinesi che vivono nella West Bank?” si chiedeva. Ha poi ribadito che queste critiche non sono in contraddizione con il solido rapporto di amicizia che lega l’amministrazione statunitense a Israele. Ha aggiunto: “Gli Stati uniti supporteranno sempre Israele, lottiamo quotidianamente per questo alle Nazioni Unite.” La dicotomia evidenziata da Gordon è quella che ha caratterizzato l’atteggiamento dell’amministrazione Obama nei confronti di Israele e delle sue scelte politiche.

Un alto funzionario dell’Unione Europea ha espresso una posizione simile ad Al-Monitor. Anche lui ha lamentato il risentimento verso l’abitudine israeliana di etichettare ogni critica di natura politica come un atteggiamento apertamente ostile. A suo parere, le critiche nascono da divergenze strutturali su questioni particolarmente sensibili: secondo la sua analisi, poi, Israele ha sempre tratto beneficio dagli scontri tra le diverse posizioni con Bruxelles. In tal senso, ha portato anche esempi concreti: il primo riguarda le inequivocabili obiezioni contro la costruzione di nuovi insediamenti e le politiche di espansione che, dal punto di vista europeo, renderanno con il passare del tempo impraticabile la soluzione dei due stati; a quel punto, Israele cesserebbe di essere una democrazia ebraica.

Un altro esempio è l’aperto sostegno dell’Unione Europea in merito all’accordo sul nucleare iraniano, percepito da Netanyahu come un tradimento a Israele, specialmente da parte tedesca. Oggi, visto l’iniziale rispetto dei termini da parte dell’Iran, l’UE crede che l’accordo vada in realtà a favore degli interessi israeliani. Poi c’è l’insistenza da parte dell’UE per la ripresa dei dialoghi di pace sulla base dei confini del 1967, che in futuro dovrebbero separare i due Stati. Secondo Bruxelles, questo è l’unico percorso che possa garantire la sicurezza di Israele, portando al tavolo delle trattative anche altri Stati Arabi, in virtù dell’iniziativa di pace araba. L’ultimo esempio che ha portato è quello della nuova legge israeliana sulle organizzazioni (Legge sulla trasparenza), fortemente criticata dall’Unione Europea. Secondo questa normativa, le organizzazioni non governative per la pace e i diritti umani che ricevono fondi da finanziatori internazionali (soprattutto europei) dovranno essere contraddistinte da un badge da indossare durante le sedute alla Knesset. L’UE teme che questo comprometta la democraticità dello Stato Israeliano, presupposto indispensabile per il mantenimento di solidi rapporti. Ma il governo di Netanyahu non è d’accordo: dal suo punto di vista Israele è sempre nel giusto. Coloro che muovono accuse sono nel torto o in malafede, in quanto ostili.

È una posizione pericolosa che con il tempo potrebbe trasformarsi in una profezia veritiera. In realtà, un vero amico di Israele dovrebbe essere obbligato a esprimere la sua posizione, specialmente sulla necessità di una soluzione a due stati. Si può essere filo-israeliani ma contrari agli insediamenti; anzi, c’è chi dice che i veri amici di Israele dovrebbero pensarla esattamente così.

 

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