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10 feb 2016

 

Israele sarà circondato interamente da una barriera

di Roberto Prinzi

 

Secondo il premier israeliano, la recinzione servirà a difendere lo stato ebraico da “bestie feroci”. Intanto, Unione Europea e stato ebraico tornano a parlarsi dopo il gelo di novembre. Sempre più vicina una normalizzazione dei rapporti Tel Aviv-Ankara.

 

Roma, 10 febbraio 2016, Nena News –

 

L’intero Stato d’Israele sarà circondato da una barriera per difendersi dalle “bestie feroci” presenti negli stati confinanti. A dirlo (e a prometterlo) è stato ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante una visita compiuta nel sud del Paese al confine con la Giordania. Accanto alla costruzione dei muri, il piano a cui sta pensando prevederà anche soluzioni al “pericolo” dei tunnel usati dalle formazioni combattenti palestinesi – soprattutto del movimento islamico Hamas – per entrare in territorio israeliano. “Se pensate di erigere una barriera – ha detto il primo ministro – allora dovete tenere in conto il fatto che loro [i palestinesi, ndr] potrebbero costruirci sotto un tunnel. Nello Stato d’Israele che io immagino ci sarà una barriera come quella che vi è qui [al confine con la Giordania, ndr] e circonderà l’intero territiorio [israeliano]”.

Il premier ha spiegato che si tratta di un progetto pluriennale che, una volta realizzato, proteggerà gli israeliani dai “predatori” dei Paesi limitrofi. Una sezione di questa “recinzione” – 30 chilometri a partire dalla località turistica israeliana di Eilat – dovrebbe essere completata entro la fine dell’anno e costerà all’incirca 300 milioni di shekel (77 milioni di dollari). Non è la prima volta che Tel Aviv implementa progetti del genere: nel 2013, infatti, il governo Netanyahu ha completato una recinzione lunga 240 km, alta cinque metri e protetta da filo spinato al confine con l’Egitto. Bibi allora affermò che la costruzione di quella barriera avrebbe impedito ai gruppi terroristici, ai contrabbandieri di droga e agli “infiltrati [i richiedenti asilo sudanesi ed eritrei, ndr] di penetrare in territorio israeliano passando per la penisola egiziana del Sinai. Un’altra recizione vi è poi sulle Alture del Golan (territorio siriano occupato nel 1967 e annesso illegalmente nel 1980 da Tel Aviv). Senza poi dimenticare il Muro più noto in Occidente: quello che corre ben oltre la Linea Verde in Cisgiordania dividendo comunità e città e limitando la libertà di circolazione dei palestinesi .

Le recinzioni che Israele costruisce al confine vanno ben oltre il caos mediorientale causato dal ciclone “Stato islamico”. Hanno origine  al di là della contingenza storica specifica. Prima di essere barriere concrete sono soprattutto muri ideologici: bisogna proteggere l’ebraismo di Eretz Yisrael dagli elementi che non ne fanno parte e che, perciò, costituiscono un pericolo. Per gran parte dello spettro politico israeliano la minaccia non è soltanto esterna (palestinesi di Gaza, della Cisgiordania e dai rifugiati). Il nemico è innanzitutto interno ed è rappresentato dal 20% dei suoi cittadini: i palestinesi cittadini d’Israele. La sospensione di tre parlamentari della “Lista Unita” (unione dei tre principali partiti arabi del Paese) avvenuta domenica sera è solo l’ultimo attacco alla minoranza araba. Un attacco su cui concordano, sebbene con sfumature diverse, quasi tutte le forze politiche israeliane. Una sospensione prevedibile soprattutto se si pensa che lo scorso novembre Tel Aviv dichiarava illegale il ramo settentrionale del movimento islamico.

Ma negli ultimi anni si assiste ad un fenomeno ancora più preoccupante. Al di là dei muri – di cemento o di filo spinato- che Israele costruisce a confine o in terra palestinese, è evidente come le politiche di estrema destra israeliana delle ultime due legislature mirino sempre di più a creare una netta separazione tra chi è ammesso a godere del progetto sionista e chi ne deve essere per forza rigettato perché non idoneo. Una recinzione che non riguarda ormai i soliti esclusi (i palestinesi, gli “infiltrati” immigranti e, pur se in modo diverso, gli ebrei etiopi e quelli “orientali”), ma che sta arrivando ad attaccare con sempre più violenza anche il mondo dell’attivismo israeliano ebraico di sinistra. La legge della “trasparenza” contro le Ong di sinistra è a riguardo emblematica. In questi ultimi anni , in pratica, stiamo assistendo al trionfo del pensiero revisionista di Jabotinsky l’ideatore nel 1923 di quel “muro di ferro” in chiave anti-araba.

L’elemento più interessante da sottolineare, però, è come l’idea di separazione forzata non sia più soltanto sostenuta dai suoi legittimi eredi (come è appunto Nentanyahu), ma sia ormai sempre più proprietà anche del centro rappresentato dai Labur (nonché da Yesh ‘Atid e HaTnu’a). O forse è ancora più corretto dire che gli ultimi anni hanno mostrato come il percorso storico (apparentemente) diverso tra laburisti e revisionisti sia arrivato ad un punto di convergenza. Usano le stesse parole: la separazione forzata, la costruzione della barriera tra “loro” e “noi”. La (presunta) opposizione di centro ne parla ormai con disinvoltura senza porsi troppo problemi di somigliare o meno all’estrema destra che dice di voler far cadere. Tre settimane fa il leader laburista Herzog era stato chiaro a riguardo: “la soluzione a due stati è impossibile da realizzare date le condizioni attuali. Pertanto, mi auguro che ci possiamo separare dai palestinesi quanto prima è possibile”. Herzog ha presentato perciò un “suo” piano: completare il muro in Cisgiordania, staccare Gerusalemme Est isolando così i palestinesi dagli israeliani.

Ma i muri non si alzano solo in Territorio palestinese o ai confini d’Israele. La politica israeliana della “barriera” va avanti da tempo anche con l’Unione Europea (Ue). Una crisi che si è aggravata lo scorso novembre quando Bruxelles ha chiesto ai suoi stati membri di non etichettare i prodotti provenienti dalle colonie con la dicitura “Made in Israel”. In quella occasione, i ministri degli esteri della Ue hanno stabilito anche che eventuali accordi siglati in futuro tra l’Unione e lo stato ebraico non dovranno riguardare Cisgiordania, Gerusalemme Est e Alture del Golan perché territori che la comunità internazionale non riconosce come appartenenti al territorio israeliano. Le decisioni europee hanno mandato su tutte le furie i leader israeliani. Il premier Netanyahu le ha giudicate un “incentivo ai palestinesi per continuare la loro campagna di appelli internazionali piuttosto che impegnarsi a trattative di pace con Tel Aviv”.

Nonostante la freddezza dei rapporti, sembrerebbe che le tensioni con Bruxelles si stiano pian piano ricomponendo. Secondo quanto riferisce oggi HaAretz, Ue e Israele hanno iniziato “incontri silenziosi” che mirano a ricomporre la frattura tra le due parti. L’Unione Europea – scrive il quotidiano israeliano – non dovrebbe ritirare la sua decisione di etichettare i prodotti delle colonie, ma dovrebbe garantire agli israeliani alcune “non specificate concessioni di compensazione”. Il riavvicinamento sarebbe avvenuto lo scorso mese quando Netanyahu ha incontrato la rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, al Forum dell’Economia mondiale di Davos.

Buone notizie per Israele anche sul fronte Turchia. Secondo la stampa israeliana, diplomatici di Tel Aviv e di Ankara si incontreranno oggi in Svizzera per normalizzare i rapporti tra i due stati. Una conferma degli incontri viene anche dalla televisione turca Ntv secondo la quale il sottosegretario degli esteri turco Feridun Sinirlioglu si sta recando a Ginevra per partecipare all’incontro. I rapporti (buoni) che legavano i due Paesi furono interrotti bruscamente nel 2010 dopo l’assalto di un commando israeliano alla Mavi Marmara, la nave battente bandiera turca diretta a Gaza per rompere simbolicamente l’assedio imposto da Israele sulla Striscia. A Ginevra i rappresentati dei due stati proveranno a capire come potranno ritornare a fare affari insieme, soprattutto per quel che riguarda il gas. Nel dimenticatoio finiranno i 10 civili turchi ammazzati allora dai proiettili israeliani e le tante e troppe promesse del “sultano” Erdogan di difesa della causa palestinese. Nena News

 

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