Fonte: http://www.counterpunch.org/  

http://www.comedonchisciotte.org/

Mercoledì, 17 agosto 2016

 

L'oscuro segreto dei bambini rapiti in Israele

di Jonathan Cook

traduzione di Bosque Primario  

 

Si tratta del segreto più oscuro di Israele - o almeno così dice un giornalista israeliano - in un paese la cui breve storia è piena di episodi oscuri.

Il mese scorso Tzachi Hanegbi, Ministro per la Sicurezza Nazionale, è stato il primo membro del governo che ha ammesso che centinaia di bambini sono stati rapiti alle loro madri negli anni immediatamente seguenti la creazione dello stato di Israele nel 1948. In realtà, il numero più probabile è più vicino a migliaia.

Per quasi sette decenni, ogni governo - e tre inchieste pubbliche - avevano negato che ci fosse stato qualche illecito ed avevano concluso che quasi tutti i bambini scomparsi erano morti, vittime di tempi caotici in cui Israele stava assorbendo decine di migliaia di nuovi immigrati ebrei.

Ma, dato che sempre più famiglie si stavano facendo avanti - ultimamente appoggiate dai social media - per raccontare tutta la loro sofferenza, ormai la versione ufficiale di questa storia suonava sempre meno plausibile.

Anche se a molte madri raccontarono che i loro bambini erano morti durante o subito dopo il parto, non potetero vedere né i loro corpi, né le tombe e non fu mai rilasciato nessun certificato di morte. Ad altre madri furono letteralmente strappati i figli dalle braccia da infermieri che le rinfacciavano di aver messo al mondo più bambini di quanti potessero permettersene.

Secondo alcuni attivisti, nei primi anni dello stato sono stati rapiti dalle loro famiglie non meno di 8.000 bambini che sono stati o venduti o consegnati a coppie ebree senza figli, sia in Israele che all'estero. Per molti, questo comportamento suona sospettosamente da traffico di minori.

Alcuni dei bambini sono tornati alle loro famiglie biologiche, ma la stragrande maggioranza di loro è semplicemente ignara di essere stata mai rapita. Le leggi sulla privacy israeliane sono severe e questo significa che è quasi impossibile per loro vedere i file ufficiali che potrebbero rivelare di essere stati adottati clandestinamente.

Gli ospedali e le organizzazioni assistenziali di Israele avranno agito per conto proprio o saranno state conniventi con organi dello Stato? Questo non è chiaro. Ma è difficile immaginare che tanti rapimenti di massa siano avvenuti senza che qualche funzionario pubblico abbia dovuto, per lo meno, chiudere un occhio.

Testimonianze che rivelano i legislatori, il personale del Ministero della Salute, e alti magistrati già all’epoca erano a conoscenza di questi fatti. E la decisione di segretare tutti i documenti relativi a quei bambini, fino al 2071, sa molto di insabbiamento.

Hanegbi, a cui è stato affidato il compito di ri-esaminare il materiale classificato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu, è stato evasivo sulla questione di un coinvolgimento ufficiale. "Potremmo non sapere mai nulla" -  ha detto.

Ormai, i critici si sono quasi assuefatti alla solita litania sulle atrocità che si raccontano sulla fondazione dello stato di Israele. Non da ultimo, nel 1948 centinaia di migliaia di palestinesi furono cacciati dalla loro patria per far posto a Israele e ai nuovi immigrati ebrei.

La storia dei bambini rubati, comunque, è stata uno shock perché inaspettata. Questi crimini non furono commessi contro i palestinesi, ma contro altri ebrei. I genitori a cui furono rapiti i bambini erano arrivati nel nuovo paese attirati dalla promessa che in Israele avrebbero trovato un santuario dove nessuno avrebbe mai più dovuto subire nessuna persecuzione.

Ma il rapimento dei bambini e la cacciata in massa dei palestinesi avvenuti più o meno nello stesso periodo non hanno nessuna attinenza tra loro. Infatti, questi bambini costituiscono uno scandalo che fa luce non solo sul passato di Israele, ma anche sul suo presente.

I bambini rapiti non furono scelti in modo casuale. Fu preso di mira un gruppo molto specifico: solo ebrei immigrati dal Medio Oriente. La maggior parte venivano dallo Yemen, altri dall’ Iraq, dal Marocco e dalla Tunisia.

L’ arabicità di questi ebrei era vista come una minaccia diretta per la sopravvivenza dello stato ebraico, quasi altrettanto grave quanto la presenza dei palestinesi. Israele ha messo in atto una "de-Arabizzazione" contro questi ebrei del Medio Oriente con la stessa ferma determinazione con la quale aveva appena cacciato la maggior parte dei palestinesi della zona.

Come la maggior parte della generazione che fondò lo Stato di Israele, David Ben Gurion, il primo Primo Ministro, veniva dall'Europa dell'Est ed condivise i connotati razzisti e coloniali dominanti in Europa. Considerava gli ebrei europei come un popolo civile che giungeva in una regione barbara e primitiva.

Ma i primi sionisti europei, a differenza degli inglesi in India, per esempio, non erano dei semplici coloni che volevano soprattutto sottomettere i nativi e sfruttare le risorse del paese. Se la Gran Bretagna aveva già capito che "domare" gli indiani sarebbe costato troppo – anche se poi, alla fine lo fece -  gli israeliani - su quella esperienza - avrebbero potuto rifare i bagagli e andarsene.

Ma questa non è mai una opzione che Ben Gurion e i suoi seguaci hanno mai voluto valutare. Erano venuti in Israele non solo per sconfiggere gli indigeni, ma per sostituirli e stavano in quel posto per costruire il loro Stato ebraico sulle rovine della società araba in Palestina.

Gli storici chiamano questo genere di imprese – quando si intende creare una propria patria permanente su terre in cui vive un altro popolo - "colonialismo". Notoriamente, i coloni europei si sono impossessati dele terre del Nord America, dell’Australia e del Sud Africa.

Lo storico israeliano Ilan Pappe ha osservato che  i movimenti coloniali si distinguono dal colonialismo ordinario per quello che egli definisce la "logica della eliminazione" che li spinge.

Questi gruppi devono adottare delle strategie di estrema violenza verso la popolazione indigena e possono arrivare a commettere un genocidio, come è accaduto con i popoli nativi americani e con gli aborigeni australiani. Se il genocidio non fosse possibile, si può invece imporre con la forza la segregazione in base a criteri razziali, come avvenne in Sudafrica con l'apartheid. Oppure si può fare una pulizia etnica su larga scala, come fece Israele nel 1948. Ma spesso si può adottare - contemporaneamente - più di una strategia.

Ben Gurion aveva non solo bisogno di distruggere la società palestinese, ma doveva anche garantirsi che  non si insinuasse nessuna "arabicità"  all'interno del suo nuovo stato ebraico, nemmeno entrando dalla porta di dietro.

Un gran numero di ebrei arabi arrivati nella prima decade servirono per la sua guerra demografica contro i palestinesi e come forza lavoro, ma rappresentavano ancora un pericolo. Ben Gurion temeva che, malgrado la loro fede religiosa, questi arabi potessero "corrompere" la cultura del suo stato ebraico importando quello che lui chiamava lo "spirito del Levante".

Ebrei adulti che già vivevano nella regione, secondo lui, non potevano essere rieducati e non potevano più  perdere la loro "primitività". Ma la leadership sionista sperava che la generazione seguente  - cioè i loro figli – avrebbero potuto essere rieducati. Sarebbero stati cioè  recuperati per mezzo della istruzione e di una cultura di odio per tutto quello che era arabo e questo compito sarebbe stato ancora più facile da realizzare,  strappando questi bambini dalle loro famiglie biologiche.

Attivisti israeliani che chiedono giustizia per le famiglie di quei bambini rapiti sottolineano che il trasferimento forzato di bambini da un gruppo etnico ad un altro si può inquadrare nella definizione che l’ ONU dà per il termine “genocidio”.

Certo, il rapimento dei bambini ebrei arabi e la loro riassegnazione a ebrei europei aveva esattamente lo stesso sapore  della logica dell’eliminazione messa in atto dai coloni ai tempi del colonialismo. Questi rapimenti avvennero solo in Israele. In Australia e in Canada, per esempio, si sequestravano anche i bambini dalle popolazioni indigene superstiti, nel tentativo di "civilizzarli".

La "rieducazione" degli ebrei arabi in Israele è stata in gran parte un successo. Il partito, violentemente anti-palestinese di Netanyahu, il  Likud è stato fortemente sostenuto da questi gruppi. In realtà, è stato solo perché non ha osato alienarsi uno dei gruppi che lo appoggia che Netanyahu ha dovuto accettare di sottoporre ad un nuovo esame le prove che riguardano i bambini rapiti.

Ma se c'è una lezione da imparare da questa parziale ammissione del governo sui rapimenti, non è che Netanyahu e le altre elite europee di Israele siano ormai pronti a modificare le loro abitudini, anzi, sarebbe meglio che gli ebrei arabi di Israele drizzassero le orecchie, per il fatto che si trovano a dover affrontare lo stesso nemico dei palestinesi: un enclave ebraico-europeo che rimane decisamente refrattario all'idea di vivere in pace e nel rispetto degli arabi e della loro regione.

 


Jonathan Cook ha vinto il  Martha Gellhorn Special Prize for Journalism. I suoi ultimi libri sono  “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo website: www.jkcook.net.


Link: http://www.counterpunch.org/2016/08/15/the-dark-secret-of-israels-stolen-babies/

15.08.2016

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