notiziegeopolitiche.net

3 luglio 2016

 

I conoscenti individuano tre terroristi. Il decimo italiano è vivo

 

Grazie alle immagini diffuse in rete in particolare dal Site, sito per l’intercettazione delle attività terroristiche in rete, amici, ex compagni di classe ed altri conoscenti avrebbero dato un nome a tre degli otto componenti del commando jihadista che ha assaltato venerdì sera l’Holey Artisan Bakery uccidendo 20 stranieri tra i quali 9 italiani.

I nomi non coincidono con i cinque diffusi in modo generico dagli inquirenti (Akash, Bikash, Don, Badhon e Ripon), bensì sono Nibras Islam, Meer Saameh Mubasheer e Rohan Imtiaz: si tratterebbe di giovani tra i 21 e i 27 anni, irreperibili da mesi.

Dei nove componenti il commando, sei sono stati uccisi nel blitz delle teste di cuoio, due sono stati arrestati e uno si è dato alla fuga.

Lo ha reso noto il Bangladesh Daily Star, il quale comunque si è espresso al condizionale e ha ammesso di non poter verificare le fonti.

Intanto è arrivato a Dacca l’aereo di Stato per il rimpatrio delle salme degli italiani Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Rivoli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti, imprenditori e commercianti specie del campo del tessile e dell’abbigliamento che si erano dati appuntamento al ristorante per una cena per poi essere tricidati dai terroristi.

La Farnesina ha reso noto che “A seguito di ulteriori accertamenti, l’Unità di Crisi è riuscita a verificare che il connazionale disperso non era presente nel ristorante al momento dell’attacco terroristico. Il connazionale ha anche contattato i propri familiari”.

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notiziegeopolitiche.net/

3 luglio 2016

 

Il governo nega la responsabilità dell’Isis e alza una cortina di fumo

di Enrico Oliari

 

Nonostante il Site, il sito che monitora le attività del terrorismo nella rete, abbia intercettato la rivendicazione dell’Isis per l’attacco di Dacca ed abbia riportato le foto di alcuni dei terroristi con alle spalle la bandiera nera, il ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan ha dichiarato che “quanto accaduto sia da imputare al gruppo Jamaeytul Mujahdeen Bangladesh” e che il gruppo estremista “non ha contatti con lo Stato Islamico”.

Khan ha spiegato, come anche stanno dicendo altri esponenti del suo governo, che in Bangladesh “non vi è presenza dell’Isis”, che i terroristi provenivano da famiglie ricche e non da strati sociali poveri, e che “Nessuno di loro è stato istruito in una madrasa”.

Nell’attacco al ristorante Holey Artisan Bakery sono morte 20 persone tra cui i 9 italiani Adele Puglisi, Marco Tondai, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Rivoli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti, imprenditori e commercianti del settore dell’abbigliamento che si erano dati appuntamento lì per una cena. Uno dei commensali, Gianni Boschetti, si è salvato nascondendosi nel giardino, dove si era recato per fare delle telefonate.

Lo chef per il gelato Jacopo Bioni è riuscito a scappare con altri dipendenti rifugiandosi in un primo momento sul tetto. Un altro italiano, di cui non sono state rese note le generalità, non è risultato essere nel locale ed ha già contattato la famiglia in Italia per dare rassicurazione.

Molte delle vittime sono state sgozzate o decapitate per non aver saputo recitare i versetti del Corano, mentre i commensali bengalesi sono stati risparmiati.

Ma perché l’Isis avrebbe rivendicato con tempestività un attacco di cui non sarebbe stato responsabile?

Houssain Toufique (H.T.) Imam, adviser del premier Sheikh Hasina, ha risposto che “Avevano cellulari e portatili, che utilizzavano per scaricare le sanguinose immagini. Esse sono state utilizzate dall’Isis e da altri per la rivendicazione”.

H.T. Imam l’ha poi buttata sul politico, affermando che “Le connessioni tra l’Isis pakistano e Jamaat e-Islami sono ben note, vogliono defenestrare l’attuale governo”.

Il capo della polizia Shahidul Hoque ha tuttavia ammesso che gli inquirenti stanno esaminando l’ipotesi di “collegamenti internazionali” e che vi sono sospetti su “membri importanti dell’JMB” che sarebbero in contatto con il gruppo terroristico Jamaat e-Islami, l’Isis e i servizi pakistani.

Sopra il triste atto terroristico di Dacca sembra, insomma, alzarsi una cortina di fumo, anche perché è difficile, per quanto dica il ministro Khan, ritenere che non vi sia un collegamento tra Jamaeytul Mujahdeen Bangladesh e l’Isis, mentre è ipotizzabile che il gruppo jihadista bangladese abbia contatti ed abbia compiuto l’attacco per accreditarsi presso l’organizzazione terroristica internazionale, vera network del terrorismo jihadista: vi sono altri casi di azioni eclatanti di gruppi terroristici ideate per mostrare determinazione e quindi aderire all’Isis, com’è stato ad esempio per Ansar Beit al-Maqdis, nel Sinai, ma anche nelle zone di guerra, Libia compresa.

Semmai ammettere che l’Isis ha raggiunto il Bangladesh significa incutere timori e paure negli imprenditori stranieri, che andandosene potrebbero dare un colpo serio alla già esile economia del paese. Per quanto, come si è visto, Isis o Jamaeytul Mujahdeen Bangladesh, il risultato non cambi.

http://contropiano.org/

4 luglio 2016

 

Dacca, gli stragisti perbene

di Enrico Campofreda

 

L’ultimo volto mostrato dal terrorismo macellaio dell’Isis è quello del gruppo di ragazzi perbene, magari un po’ viziati dalle famiglie d’origine, che gli avevano riservato agiati studi in costose scuole private, e ne preparavano un piazzamento sociale privilegiato. Quei genitori, tutti al top della carriera e appartenenti all’élite del Paese, sono rimasti scioccati nell’apprendere che i propri rampolli si fossero trasformati nei sanguinari assassini immortalati davanti alla bandiera nera del Daesh. Risultassero i massacratori di persone che semplicemente non sapevano recitare alcun versetto del Corano, fossero diventati odiatori seriali degli stranieri presenti nelle loro città. Così la via del furore percorsa in tutto il mondo dai fanatici seguaci di Al Baghdadi acquisisce un’ulteriore variante: quella di chi uccide per moda, imitando i terroristi. In realtà quest’ipotesi, avanzata proprio da alcuni giornalisti del Bangladesh che hanno rivelato i pedigrée dei ragazzi del sangue, è contestata da analisti specialisti.

Costoro non escludono affatto il reclutamento di nuove leve jihadiste fra le componenti sociali di classi medie ed elevate, com’è già accaduto coi miliziani qaedisti. Certo le foto postate fra i social media, da quella che è diventata una sorta di ufficio comunicazione del gruppo fondamentalista, non lasciano dubbi:  ogni volto sorridente sotto la kefiah e l’arma imbracciata, sembra indicare  un’appartenenza. Quanto tale adesione sia frutto di scelte sentitamente ideologico-religiose o quanto sia un passo tragico per le conseguenze di terzi prima che di se stessi, sarà tutto da scoprire. Bisogna, insomma, comprendere se sgozzare l’infedele o lo straniero stia diventando un gesto identitario che si compie più per imitazione che per profonda convinzione. Come talune devianze che non è forse neppure il caso di definire mode, seppure tendenze malauguratamente lo sono, di cui la psicologia studia la pandemia mentale che creano. E ciò accade anche per attitudini distruttive legate a costumi, tradizioni e altro, se pensiamo alla violenza di genere.

Ma questo caso, seppure fosse ispirato dal ‘così fanno i jihadisti’, lega la sua aberrazione a quella ricerca del bel gesto e della bella morte che altre epoche e altre latitudini, a noi prossime, hanno cosciuto. Senza dimenticare il confine che passa fra il gesto eroico per una finalità, che in Occidente come in Oriente si contorna di gloria, e la sciagurata autoreferenzialità di chi sostiene di immolarsi per altri senza che costoro lo richiedano, né ne riscontrino benefici. Il terreno dell’Eroismo con la maiuscola è ampiamente scivoloso. Parecchie ideologie l’hanno utilizzato per scopi non elevati, sfruttando la buona fede e l’idealità dei protagonisti. Oltre che la giovinezza, che ovviamente è sempre energetica. Di solito lo sviluppo storico delle vicende ripropone nel tempo una lettura ponderata di avvenimenti, riuscendo a distinguere fra scelte e gesti eroici e operazioni infingarde e tutt’altro che gloriose. Qualsiasi sia stata la spinta del gruppo di Dacca, i contorni appaiono per ora apertamente disumani, come quelli delle stragi continue da Istanbul a Baghdad.

 

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