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25 gennaio 2016

 

Armiamoci e partite

di Alessio Caschera

 

La guerra in Libia è alle porte. Ma chi è pronto a morire?

 

La guerra in Libia si farà. Questo è quanto sostiene Joseph Dunford capo degli Stati Maggiori Riuniti americani che, in una recente intervista a margine di un incontro a Parigi, ha affermato con chiarezza che “in Libia servono azioni militari risolute per fermare l’espansionismo dell’ISIS”. Entro la fine di febbraio le truppe di alcuni membri della NATO, tra cui l’Italia, dovrebbero dare il via alle operazioni militari a sostegno del neonato governo di unità nazionale libico. A confermare le voci che arrivano da oltreoceano, c’è l’incontro avvenuto la scorsa settimana a Roma tra i rappresentati di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Italia, per arginare l’avanzata jihadista che minaccia seriamente non solo il Medio Oriente e il Nord Africa, ma anche direttamente l’Europa. Da un anno la Libia è terra di conquista per le milizie dello Stato Islamico, ma gli attacchi delle ultime settimane contro i terminal petroliferi della costa e una recrudescenza della violenza degli uomini in nero, hanno messo l’acceleratore alle operazioni militari. Appena il parlamento di Tobruk darà la fiducia al nuovo esecutivo sponsorizzato dall’ONU, la guerra si farà. Mentre l’amministrazione Obama sembra mantenere un basso profilo, limitandosi al coordinamento dei diversi paesi, l’Italia potrebbe avere un ruolo centrale in un futuro intervento armato in Libia. A confermarlo sono i contatti sempre più frequenti tra i servizi di intelligence italiani e egiziani e il ruolo di primo piano riservato al generale Paolo Serra, senior advisor dell’ inviato ONU per la Libia, Martin Kobler.

Da tempo la Libia è sotto la lente di diversi paesi che, tramite i loro 007, tengono d’occhio la situazione con voli di ricognizione sempre più frequenti e con contatti, più o meno informali, con le diverse tribù libiche, per tastare il terreno in vista di una possibile operazione anti-ISIS. Anche la Russia sarebbe pronta a dare il suo contributo. Secondo fonti arabe, truppe russe sarebbero già in Libia insieme a un centinaio di militari britannici, francesi e statunitensi, che occuperebbero delle basi nella zona di Tobruk e Tripoli, proprio dove si riuniscono le due branche del nuovo governo di unità nazionale. Daesh, dal canto suo, si dichiara pronto allo scontro. I jihadisti di Sirte sono in stato di massima allerta, convinti che un attacco aereo contro le loro postazioni sia ormai imminente. L’intervento militare in Libia, da parte delle truppe occidentali, ha un doppio obiettivo. Da un lato si punta a indebolire la minaccia dell’ISIS, in difficoltà in Siria e Iraq e per questo pronto al cambio di strategia. Il Califfato punterebbe a rinforzare la sua posizione nello stato africano, per trasformarlo in una centrale del terrore, ideale per lanciare attacchi all’Europa e in Africa. Così dimostrano i recenti attacchi in Mali e Burkina Faso.

Inoltre, un intervento armato in Libia, dovrebbe aiutare il neonato governo a rinforzarsi e a diminuire il traffico di esseri umani. Questo nelle intenzioni, ma nella realtà? Difficilmente una soluzione militare così blanda avrà delle serie conseguenze. Indispensabile poi il consenso del governo e delle tribù locali che, dalla caduta di Gheddafi, continuano una lotta senza quartiere per la supremazia. Inoltre, senza il coinvolgimento diretto di vicini come Egitto e Algeria, la normalizzazione è tutt’altro che raggiungibile. Ma chi vuole la guerra? Di certo più gli europei che non gli americani, riluttanti a qualsiasi ruolo da protagonista in Medio Oriente, dopo gli errori strategici compiuti con le Primavere Arabe e con la guerra civile siriana. A spingere per l’intervento sono Germania e Italia, paesi direttamente colpiti dal caos libico e disperatamente in cerca di un ruolo da protagonista in un’Europa in declino.

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25/01/2016

 

Per gli Usa "un'azione urgente e decisiva è necessaria contro lo Stato islamico in Libia"

 

Il Generale americano Joseph Dunford, capo degli Stati maggiori riuniti, si è espresso a favore di un intervento militare urgente e decisivo per fermare la diffusione dello Stato islamico in Libia, avvisando il gruppo jihadista che vuole utilizzare il paese come base regionale, riporta Reuters.

 

Dunford ha parlato di "un'azione militare decisiva per controllare l'espansione di ISIL e che, allo stesso tempo, sia di sostegno ad un processo politico a lungo termine". Il Generale ha però precisato che, quando si tratta di Libia, "urgente significa settimane, non ore" e che prima l'Esercito dovrà presentare al presidente Obama la strategia da seguire.

 

Le forze dello Stato islamico hanno attaccato le infrastrutture petrolifere della Libia e hanno stabilito la loro roccaforte nella città di Sirte, sfruttando il vuoto di potere prolungato in un paese in cui due governi rivali sono in lotta per la supremazia.

 

Le potenze occidentali sperano che la stabilità possa arrivare attraverso un nuovo governo di unità nazionale, nato dall'accordo Onu firmato lo scorso dicembre in Marocco e presentato il 19 gennaio scorso,  e che dovrebbe sostituire gli altri due 'governi',  quello a Tripoli e quello a Tobruk. 

 

"Penso che sia abbastanza chiaro a tutti noi che qualsiasi cosa faremo sarà in collaborazione con il nuovo governo", ha detto Dunford dopo colloqui con esponenti militari francesi, attivi in diverse regioni dell'Africa per combattere gli estremisti islamici.

 

"Il mio punto di vista è che dobbiamo fare di più", ha detto Dunford, rafforzando ad esempio la capacità di identificare le forze di  terra da sostenere.

 

Gli Stati Uniti dicono di aver ucciso il leader dello Stato islamico in Libia, conosciuto come Abu Nabil, in un attacco aereo condotto a novembre. si ritiene che abu nabil  operasse in Libia, con il sostegno della leadership centrale dello stato islamico in Iraq e la Siria, in un segno probabile dell'importanza strategica del paese per il gruppo.

 

"Quindi, se guardo alla Libia, vedo una piattaforma dell'isis da cui possono svolgere attività maligna in tutta l'Africa", ha detto Dunford.

 

 

Intanto sulla stampa italiana si fanno incessanti le voci che danno come imminente un nuovo intervento occidentale a Tripoli. Intervento occidentale che vedrebbe l’Italia in prima fila. "L'Italia è pronta ad azioni militari: se sarà necessario, agiremo con i nostri alleati, su richiesta del governo di Tripoli e nel quadro dettato dalle risoluzioni dell'Onu", scrive oggi Repubblica.

 

In realtà dell’intervento in Libia si parla da tempo ma al momento la scommessa sulla quale la comunità internazionale e l’Italia stessa puntano è quella diplomatica. Ossia che l’esecutivo di Al-Sarraj riesca ad insediarsi e governare effettivamente, esercitando controllo e potere reale sul territorio libico. Se così non fosse si aprirebbe la strada ad un intervento internazionale in Libia. A riguardo l’Italia ha schierato 4 aerei Amx con capacità ricognitiva a Trapani. 

Ciò che però resta fondamentale, in caso di missione internazionale, è la definizione chiara degli obiettivi politici della stessa, per evitare il ripetersi del disastroso intervento del 2011.

 

Nel frattempo,  Il Parlamento di Tobruk ha respinto la proposta di governo di unità nazionale presentata il 19 gennaio dal consiglio presidenziale libico, pur approvando, con riserva, l'Accordo politico libico raggiunto il 17 dicembre scorso nella città marocchina di Skhirat da alcune fazioni libiche. La riserva riguarda l'azzeramento dei vertici militari e quindi il passaggio dei poteri militari dal generale Khalifa Haftar al premier Fayez al Sarraj.

 Il premier designato libico Fayez al Sarraj ha ora una settimana di tempo per presentare un nuovo governo.

 

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