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Martedì 01 marzo 2016

 

Libia, la fiera delle brutalità

di Marco Cochi

 

Uno studio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani documenta una situazione di scontro generalizzato. A pagare il prezzo più alto è la popolazione civile. Ma l’Onu non raccomanda azioni militari di sorta…

 

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) ha pubblicato un rapporto sulle diffuse violazioni e i crimini commessi in Libia, dall’inizio del 2014 ad oggi. Le novantacinque pagine dello studio documentano che nel paese domina la legge della violenza, esercitata nella totale impunità dai gruppi armati e dalle milizie, ormai fuori controllo, che si rendono responsabili di gravi abusi, compresi crimini di guerra.

L’elenco delle violazioni perpetrate sia da attori statali sia non statali contro la popolazione civile comincia con le uccisioni illegali e le esecuzioni sommarie ad opera delle milizie armate, segnalate in tutte le aree di conflitto.

La lista prosegue con gli attacchi indiscriminati che evidenziano il profondo disprezzo per le vite dei civili: hanno interessato molte aree residenziali densamente popolate, tra cui Bengasi, Tripoli, la regione di Warshafana, la zona delle montagne Nafusa e il sud della Libia.

Il rapporto fornisce anche prove di maltrattamenti e della pratica abituale della tortura, in particolare nei centri di detenzione, con segnalazioni di percosse con tubi di plastica e cavi di metallo, posizioni dolorose di stress, isolamento prolungato, scosse elettriche, privazione di cibo e acqua per giorni, minacce di stupro, stupri e finte esecuzioni.

Numerosi i casi di detenzione arbitraria documentati, con migliaia di persone ancora imprigionate dalla fine del conflitto del 2011, senza alcun elemento di prova della loro colpevolezza. Molteplici segnalazioni anche su rapimenti e sparizioni, un buon numero delle quali è stato attribuito alle forze di polizia e ai gruppi armati.

Secondo l’Ohchr, è anche molto diffusa la violenza di genere e la discriminazione nei confronti delle donne, come dimostra l’assassinio di note attiviste, tra cui spiccano Salwa Bugaighis, Fareeha al-Berkawi e Intissar al-Hasaeri.

Decine di giornalisti, attivisti della società civile e difensori dei diritti umani sono stati costretti a fuggire dal paese o sono entrati in clandestinità a seguito dell’aumento dei sequestri, assassinii e dei raid nelle loro case e uffici da parte dei miliziani. I migranti se la passano molto male e un gran numero (3.245 nella sola Libia occidentale) si trova da tempo in stato di detenzione, di fatto sottratto ad un effettivo controllo giurisdizionale.

Infine, uno dei crimini più infami: il reclutamento forzato da parte dei gruppi legati allo Stato islamico di bambini soldato, alcuni dei quali hanno riferito di aver subito abusi sessuali e di essere stati addestrati per diventare kamikaze.

Nella sostanza il rapporto rileva che gli abusi compiuti nel paese africano richiedono l’adozione di misure urgenti contro l’impunità diffusa e il rafforzamento e la riforma del settore della giustizia, ma non suggerisce nessun tipo di azione militare. È perciò auspicabile che questo rapporto non venga strumentalizzato e utilizzato per spianare la strada all’intervento armato della Nato.

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