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3 marzo 20216

 

Il piano B, non un Enigma: perché l’Occidente è desideroso di dividere gli Arabi

di Ramzy Baroud

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Quando le strade arabe esplosero con furia da Tunisi a Sanaa, il panarabismo sembrò, allora, una nozione simbolica, né la cosiddetta ‘ Rivoluzione dei Gelsomini’ usò slogan che affermavano l’unità araba, né i giovani egiziani arrabbiati innalzarono lo striscione che proclamava l’unità araba in cima agli alti edifici adiacenti a Piazza Taharir.

Stranamente, l’Arabismo della ‘Primavera Araba’ era quasi come un risultato di comodità. Era politicamente comodo per i governi occidentali  stereotipare le nazioni arabe come  fossero esatti duplicati l’una dell’altra, e che i sentimenti, le identità, le aspettative e le rivolte popolari nazionali fossero tutte radicate nel medesimo passato e corrispondano a una precisa realtà nel presente. E quindi molti in Occidente si aspettavano che la caduta di Zine El Abidine Ben Ali della Tunisia, specialmente perché era stata seguita dall’abdicazione di Hosni Mubarak in Egitto, avrebbe provocato un effetto domino. ‘Chi è il prossimo?’ era una domanda  presuntuosa     che molti si facevano, alcuni senza nessuna  della regione e della sua complessità.

Dopo un’iniziale esitazione, gli Stati Uniti, insieme ai loro alleati, si mossero rapidamente a influenzare il risultato in alcuni paesi arabi. La loro missione è stata di assicurare una transizione tranquilla in paesi il cui destino era stato deciso dalle rivolte impulsive, di accelerare la caduta dei loro nemici e di sostenere i loro alleati, in modo che non avrebbero subito un destino analogo.

La conseguenza è stata una vera devastazione. I  paesi dove l’occidente e i loro alleati e, presumibilmente  dei nemici erano coinvolti – divennero degli inferni, non di furore rivoluzionario, ma di caos militante, di terrorismo e di guerre ininterrotte. Libia, Siria e Yemen sono esempi ovvii.

In un certo qual modo, l’occidente, i suoi media e gli alleati, si autodesignavano guardiani che determinano non soltanto il destino degli arabi, ma anche plasmare  le loro identità.  Abbinato al crollo dell’intera idea di nazionalità  in alcuni paesi arabi – la Libia, per esempio – gli Stati Uniti stanno prendendo su di loro la responsabilità di ideare futuri scenari di stati arabi malridotti.

Nella sua testimonianza di fronte a un Comitato del Senato statunitense per discutere del cessate il fuoco in Siria, il Segretario di Stato, John Kerry, ha rivelato che il suo paese sta preparando un ‘Piano B’ se il cessate il fuoco dovesse fallire. Kerry si è astenuto dall’offrire dei dettagli; ha offerto, tuttavia, degli indizi. Potrebbe “essere troppo tardi tenere la Siria intera, se aspettiamo molto più a lungo,” ha suggerito.

La possibilità di dividere la Siria non è stato un avvertimento casuale, ma è situato in un grande complesso crescente di testo intellettuale e dei media negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali. E’ stato espresso da Michael O’Hanlon dell’Istituto Brookings in un articolo di opinione della Reuter nello scorso ottobre. Chiedeva agli Stati Uniti di trovare uno ‘scopo comune con la Russia’, mentre teneva a mente il ‘modello Bosnia’.

“In maniera analoga, un Siria futura potrebbe essere una confederazione di vari settori: uno in gran  parte alawita, un altro curdo, un terzo principalmente druso, un quarto in gran parte formato di Musulmani sunniti, e poi una zona centrale di gruppi

misti,  nella principale  cintura di popolazione che va da Damasco ad Aleppo.”

Quello che è pericoloso riguardo alla soluzione di O’Hanlon per la Siria, è il completo disprezzo della identità nazionale della Siria. Francamente, molti intellettuali occidentali non  sono  neanche stai d’accordo sull’idea che le nazioni arabe erano nazioni nella definizione occidentale di stato,  prima di tutto. (Leggete l’articolo di David Miller: Tribes with Flags – Tribù con le bandiere). No, il pericolo reale sta  nel fatto che tale smantellamento divisorio delle nazioni arabe è molto plausibile, e nella storia abbondano i precedenti.

Non è un segreto che la moderna formazione degli stati arabi sia in gran parte la conseguenza del fatto di avere diviso la regione araba all’interno dell’Impero Ottomano in mini stati. E’ stato in gran parte conseguenza  di necessità politiche e di compromessi che emersero dall’accordo Sykes-Picot* nel 1916. Allora gli Stati Uniti erano impeganti con i  loro  “dintorni”  sudamericani, e il resto del mondo era per lo più un Grande Gioco che veniva controllato da Gran Bretagna e Francia.

L’accordo franco-britannico, con il consenso della Russia, fu interamente motivato da puro potere, da interessi economici, da egemonia politica e da poco altro. Questo spiega il motivo per cui la maggior parte dei confini dei paesi arabi erano perfette linee dritte. In effetti erano state  tracciate con una matita e una riga, non in base a un’organica evoluzione della geografia fondata su molti fattori e  su una prolungata storia di conflitti o di concordia.

Sono passati quasi cento anni da quando le potenze coloniali hanno diviso gli Arabi, anche se essi devono ancora rispettare proprio i confini che hanno creato. Inoltre, hanno investito molto tempo, energia e risorse e, a volte  guerre totali,  per assicurarsi che la divisione arbitraria non finisca realmente mai.

Non soltanto l’Occidente detesta l’espressione ‘unità araba’, ma detesta anche chiunque osi  trasmettere quella che considerano essere una terminologia ostile, estremista. Il secondo presidente dell’Egitto, Jamal Abdel Nasser, sosteneva che la reale liberazione e libertà delle nazioni arabe era intrinsecamente collegata all’unità araba.

Non è stata quindi una sorpresa che la lotta per la Palestina avesse  un ruolo di primo piano nella retorica del nazionalismo arabo durante tutti gli anni ’50 e ’60. Abdel Nasser fu elevato allo status di eroe nazionale agli occhi di molti arabi, e di pariah agli occhi dell’Occidente e di Israele.

Per assicurarsi che gli arabi non debbano mai unirsi, l’Occidente ha investito in una loro ulteriore divisione. Nel 2006/2007, l’ex Segretario di Stato Americano, Condoleezza Rice, chiarì che gli Stati Uniti avrebbero interrotto il loro appoggio all’Autorità Palestinese se Fatah e Hamas si fossero uniti. In precedenza, quando la resistenza in Iraq raggiunse un punto che gli occupanti americani ritennero insopportabile, hanno puntato a dividere i ranghi degli iracheni in base a linee di sette religiose. I loro intellettuali hanno riflettuto sulla  possibilità di dividere l’Iraq in tre stati autonomi: sciita, sunnita e curdo.

La Libia era troppo disgregata dopo che l’intervento della NATO trasformò un’insurrezione regionale in una guerra sanguinosa. Da allora, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e altri hanno appoggiato alcuni partiti a scapito di altri. Qualsiasi senso di stato che esisteva dopo la fine della colonizzazione italiana di quel paese, è stato distrutto quando i Libici sono ritornati alle loro regioni e tribù per scampare all’insurrezione.

Un ‘Piano B’ per dividere la Libia nei tre protettorati separati di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, è stato di recente rifiutato dall’Ambasciatore della Libia a Roma. Tuttavia, attualmente i libici sembrano essere la parte meno rilevante nel determinare il futuro del loro paese.

Agli occhi occidentali il mondo arabo è sempre stato visto come un luogo di conquista, che  va sfruttato , controllato e  domato.  Questa mentalità continua a caratterizzare  il rapporto. Mentre l’unità araba deve essere temuta, ulteriori divisioni appaiono come un ‘Piano B’, quando lo status quo attuale, chiamiamolo ‘Piano A’, sembra impossibile da mantenere.

Ciò che è veramente interessante è che, malgrado la mancanza di una visione pan-araba nei paesi arabi che hanno sperimentato le rivolte popolari cinque anni fa, pochi eventi nella storia moderna hanno portato insieme gli arabi come gli slogan per la libertà in Tunisia, gli urli di vittoria in Egitto e i gridi  di dolore in Yemen e in Siria. E’ proprio quell’identità collettiva, spesso non espressa, ma sentita, che spinge milioni di arabi ad aggrapparsi  a una speranza per quanto tenue che le loro nazioni sopravvivranno all’attacco violento in corso  e alla eventuale divisione a opera dell’occidente.

 

Nota

https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_Sykes-Picot

 


Ramzy Baroud  scrive da 20  anni di Medio Oriente. E’ un opinionista che scrive

sulla stampa internazionale, è consulente nel campo dei mezzi di informazione, autore di vari libri e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story (Pluto Press, Londa).  [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. Il suo sito web è: www.ramzybaroud.net


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte: http://www.counterpunch.org/2016/03/03/plan-b-not-an-enigma-why-the-west-is-keen-on-dividing-the-arabs/

 

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