Middle East Eye

12/05/2016

 

L’accordo Sykes-Picot si sgretola nel suo centenario

di James Reinl

Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello

 

L'accordo Sykes-Picot è considerato in tutto il Medio Oriente come l'epitome dell’arroganza imperiale, ma le alternative sono altrettanto tristi

 

I centenari sono raramente in ottima salute. Sicuramente non lo è l’accordo Sykes-Picot, che celebra il suo 100° compleanno lunedì 16 maggio. L’accordo segreto per dividere il vasto territorio dell’Impero Ottomano in zone d’influenza inglesi e francesi ha fatto precipitare la situazione dei confini di Libano, Siria, Iraq e molto altro del Medio Oriente che esiste – almeno nominalmente – ai giorni nostri.

Quest’ordine è minacciato come mai prima d’ora. L’Iraq sta andando in pezzi; i curdi gestiscono i propri affari a nord; la guerra civile in Siria è così brutale che è difficile immaginare una nazione unificata che emerga dalle ceneri delle sue città. Lo Stato Islamico caparbiamente sfida qualsiasi frontiera blocchi la sua rotta verso un califfato islamico.

Secondo Tarek Osman, autore di Islamism, siamo solo a metà strada di una rivoluzione senza una fine chiara, inoltre “Sykes-Picot era uno dei pilastri di un sistema che oggi sta cadendo a pezzi, mentre qualcosa di nuovo si sta formando. Siamo in una fase fluida, caotica e un nuovo sistema non emergerà prima per un numero di anni.

Sono pochi i fan dell’accordo Sykes-Picot. È vituperato come il paradigma dell’Europa coloniale che perseguiva avidamente i propri interessi calpestando i desideri locali di autogoverno. Mentre infuriava la prima guerra mondiale, Sykes e Picot discussero alcune linee, per lo più rette, che attraversavano il Medio Oriente e nel maggio del 1916 misero nero su bianco un accordo in cui Iraq, Transgiordania e Palestina andavano alla Gran Bretagna, mentre la Francia otteneva Siria e Libano.

Gli arabi lo interpretarono come la rottura di un patto, infatti Londra aveva promesso loro che, qualora avessero sostenuto la Gran Bretagna e i suoi alleati ribellandosi al nemico ottomano, la caduta di quell’impero avrebbe valso loro l’indipendenza.

Per Kani Xulam, direttore dell’American Kurdish Information Network, tale accordo lasciò la regione curda partizionata come se fosse un tacchino cotto per la festa del ringraziamento. Alla fine, dice Xulam, i francesi e gli inglesi hanno abbandonato il Medio Oriente, ma ci hanno lasciato alla mercé di gente come Saddam Hussein e Hafez al-Assad.

Le frontiere Sykes-Picot-era non corrispondevano alle divisioni settarie, tribali o etniche sul terreno, ma queste differenze sono stati sepolte nei primi anni del 20 ° secolo dagli arabi che hanno lottato per espellere gli europei e costruire un’identità pan-araba. Negli anni 1980 e 1990, uomini forti del mondo arabo – come Hafez al-Assad, Saddam e Muammar Gheddafi – soppressero queste divisioni, spesso con la violenza pur di preservare i confini nazionali.

Le rivolte della primavera araba hanno riaperto le spaccature etniche. Eppure nonostante il desiderio di Daesh, dei Curdi e di altri sunniti di ridefinire le frontiere della regione, queste restano riconosciute dalla maggior parte delle capitali arabe, dalla Turchia, dall’Iran, dalle Nazioni Unite e dalle potenze mondiali. Con l’espansione dello Stato Islamico, alcuni hanno ipotizzato che fosse il momento giusto per rivedere i confini della regione, ma gli scettici avvertono che i divorzi sono raramente amichevoli, si veda Sudan, Jugoslavia e India.

E se le linee rette disegnate da Sykes e Picot un secolo fa ignorarono ampiamente le realtà etniche, gli Stati che ne emersero non erano immaginari. Iraq, Siria, Turchia e il Monte Libano avevano un’identità storica, anche senza frontiere concordate.

Secondo Rubin, dell’American Enterprise Institute, piuttosto che lamentarsi dell’accordo Sykes-Picot, dovremmo provare a riconoscerlo per quel che era: un meccanismo nato nel cinismo imperiale che ciò nonostante ha fornito delle opportunità, spesso perse, per la libertà e l’aspirazione nazionale.

 

James Reinl è un giornalista e analista di affari del mondo. È stato corrispondente da più di 30 paesi e ha vinto diversi premi.

 

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