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29 marzo 2016

 

Cristiani pachistani, cittadini e martiri

di Marco Impagliazzo

 

L'attentato terroristico nel parco giochi di Lahore nella Domenica di Pasqua è stato il più sanguinoso contro i cristiani in Pakistan dopo il bombardamento della chiesa anglicana di Peshawar, nel settembre 2013, in cui le vittime furono più di 80. È tradizione anche in Pakistan che dopo la liturgia pasquale si esca per festeggiare con la famiglia e gli amici. Non potendo colpire le chiese, protette dalle forze di sicurezza, i terroristi hanno scelto un altro obiettivo, quello della festa di famiglia.

 

La carneficina di Pasqua a Lahore, dove hanno perso la vita più di 70 persone tra cui 30 bambini, è stata rivendicata da Jamaat-ul-Ahrar, fazione dei taleban pachistani nota per l’efferatezza dei suoi attacchi nella regione di Peshawar negli ultimi mesi e che un anno fa aveva attaccato, di domenica, due chiese nel periferico quartiere cristiano di Lahore, Yohannabad, dove morirono 17 persone. Tra queste un bambino di 11 anni, Abish, della scuola della pace della locale Comunità di Sant’Egidio.

 

Quel giorno gli attentatori non riuscirono a penetrare in chiesa ma solo nel recinto esterno, anche grazie all’eroicità di un custode musulmano, che impedì una strage più terribile. Peshawar, Lahore, insieme a Feisalabad e Karachi, sono le zone del Pakistan dove è più presente la minoranza cristiana. E proprio questi luoghi sono stati attaccati negli ultimi anni con maggiore violenza. Da allora i cristiani in Pakistan si chiedevano quando sarebbe stato il prossimo obiettivo. Tuttavia questo pensiero non ha impedito loro di celebrare le grandi feste cristiane di Natale e Pasqua con una devozione e una partecipazione vaste e commoventi.

 

La minoranza cristiana raccoglie, tra tutte le denominazioni, poco meno del 2% della popolazione. I cristiani appartengono quasi tutti alle classi più povere, sono impiegati in lavori umili e faticosi. Negli ultimi anni, anche grazie allo svilupparsi dell’educazione, alcuni di essi sono riusciti a emergere nella società. Generalmente vivono in quartieri marginali delle grandi città o in villaggi cristiani che purtroppo, recentemente, sono stati a loro volta bersaglio di attacchi violenti. Si tratta di una minoranza viva, vibrante, non silenziosa e non nascosta. I cristiani sono cittadini pachistani e lo riaffermano in ogni circostanza. Non sono e non si sentono stranieri e sono presenti nella vita pubblica del Paese. L’esempio più noto è quello del ministro federale per le minoranze, Shahbaz Bhatti, ucciso da estremisti musulmani cinque anni fa, al culmine di un impegno aperto e fruttuoso per i diritti di tutte le minoranze.

 

I cristiani hanno scuole, ospedali, centri di carità. Sono luoghi aperti a tutti, specialmente ai musulmani che rappresentano la stragrande maggioranza dei cittadini, il 97%. Sono luoghi di convivenza, pacifici, dove si mostra la possibilità di abitare insieme la città dell’uomo nel rispetto e nella pace tra tutte le componenti etniche e religiose della società. Nelle scuole cattoliche imam vengono a insegnare le ore di religione islamica agli studenti musulmani, mentre gli alunni cristiani studiano il cristianesimo.

 

Dal 1947, quando il Pakistan nacque dalla partition con l’India dopo la colonizzazione britannica, i cittadini, di qualsiasi credo religioso sono uguali davanti alla legge e viene garantita la libertà religiosa. Eppure gli ideali che avevano dato vita alla stagione dell’indipendenza sembrano oggi essere spazzati via da una forma di estremismo violento e cieco, quello dei taleban, che non riconosce le minoranze, attacca la convivenza pacifica e punta alla creazione di una sorta di califfato, alla stregua di altri gruppi tristemente noti, da Daesh a Boko Haram. Sono fenomeni sempre più aggressivi e spregiudicati, di fronte ai quali l’apparato statale non sembra preparato. E tante sono anche le vittime musulmane di questi attacchi terroristici.

 

Ci fermiamo, una volta di più, a riflettere sul martirio dei cristiani in questa Pasqua insanguinata. Ci si chiede: perché tanto dolore e morte? La risposta è ancora una volta nella Croce di Cristo. I cristiani, umilmente, seguono Gesù, mite e umile di cuore, che non ha voluto salvare se stesso ma ha dato la sua vita in riscatto di tutti. Così continua a essere.

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