Da Greenreport.it

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01/06/2016

 

La storia segreta del patto tra Usa e Arabia Saudita che ha dato vita al petrodollaro

 

E ha garantito l’impunità politica alla Monarchia saudita

 

Per decenni, la storia dell'Arabia Saudita che riciclava i petrodollari , vale a dire, finanziava il  deficit degli Stati Uniti con l'acquisto di titoli del Tesoro USA con i proventi delle sue vendite di petrolio greggio mentre gli Stati Uniti zuccheravano l'affare, fornendo ai sauditi cattrezzature e forniture militari, è rimasto del tutto nel regno  della cospirazione, senza conferma o dichiarazione ufficiale da parte del Dipartimento del Tesoro statunitense.

 

Ora, anche questa particolare "teoria" è diventata un fatto, grazie ad una storia affascinante raccontata da Bloomberg che fornisce lo sfondo e dettagli di un incontro segreto tra l'allora segretario al Tesoro Usa, William Simon e il suo vice, Gerry Parsky, e membri della classe dirigente saudita, e racconta la storia di come è nato il petrodollaro.

 

L’inchiesta “How a legendary bond trader from Salomon Brothers brokered a do-or-die deal that reshaped U.S.-Saudi relations for generations” pubblicata da Bllomberg rivela dettagli dell’accordo segreto  firmato tra Usa ed Arabia Saudita nel luglio 1974. Secondo Blomberg i sauditi avrebbero acquistato titoli del debito statunitense per 117 miliardi di dollari, mente Washington si impegnò a fornire alla monarchia assoluta wahabita appoggio militare e logistico e a comprare il petrolio di Riyadh.

 

Nel 1974 si era in piena crisi del petrolio a causa di un embargo dei Paesi arabi dell’Opec contro l’aiuto militare che gli Usa avevano fornito a Israele durante la guerra dello Yom Kipur, che fece quadruplicare il prezzo del petrolio e schizzare l’inflazione alle stelle, mentre le borse crollavano e l’economia Usa ed europea andava a picco.

 

Secondo Bloomberg, l’obiettivo del viaggio in Arabia Saudita effettuato nel luglio del 1974 dell’allora segretario del tesoro Usa William Simon e dal suo vice Gerry Parsky, era quello di «Neutralizzare il greggio come arma economica e trovare la maniera di convincere il regno ostile a finanziare il deficit Usa con la sua ricchezza in petrodollari di recente scoperta».

 

E’ su questo patto scellerato, che ha portato alla situazione attuale in Medio Oriente e all’impunità politica assoluta del regime teocratico e dittatoriale saudita, che il presidente Usa Richard Nixon e il re saudita Faisal bin Abdulaziz Al Saud  imposero una segretezza che è durata fino ad oggi è che è stata rispettata da tutti i presidenti statunitensi – democratici e repubblicani – che si sono succeduti.

Dieci mesi  dopo l’inizio della guerra dello Yom Kipur, iniziata dopo l’attacco ad Israele di una coalizione araba guidata dall’Egitto e dalla Sira “socialisti” e invisi ai sauditi, tutto il mondo arabo vedeva negli Usa il suo principale nemico perché gli americani avevano fornito l’appoggio militare e politico che aveva permesso a Israele di sconfiggere gli arabi. Secondo fonti diplomatiche di allora, la maggiore preoccupazione di Re Faisal era che i soldi del petrolio finissero «direttamente o indirettamente» nelle mani dei nemici giurati degli arabi sotto forma di assistenza militare statunitense. Poi le cose sono cambiate ed ora Egitto e Arabia Saudita – palesemente e sotterraneamente – sono i maggiori alleati di Israele nel mondo arabo.

 

La firma dell’accordo Usa-Arabia saudita avvenne solo dopo che gli statunitensi assicurarono che sugli acquisti del debito statunitense fosse mantenuto uno stretto segreto.

 

Blomberg cita una fonte anonima del Tesoro Usa secondo la quale il volume degli investimenti sauditi nel debito statunitense sarebbe circa due volte quello che dicono le statistiche ufficiali, per fare in modo che la cifra attuale rappresenti solo il 20% dei 587 milioni di dollari di riserve in valuta estera, ben al di sotto dei due terzi che le banche centrali di solito detengono in dollari. Secondo diversi analisti, l’Arabia Saudita nasconderebbe la quantità reale dei bond statunitensi con operazioni effettuate attraverso centri finanziari offshore.

 

Bloomberg  denuncia: «Mentre il crollo del petrolio ha fatto aumentare la preoccupazione che l’Arabia Saudita voglia liquidare i suoi buoni del Tesoro per fare cassa,  sorge un grosso problema: lo spettro che il Regno utilizzi la sua comoda posizione nel mercato del debito più importante del mondo come arma politica, proprio come fece col petrolio d nel decennio degli anni ‘70». Una preoccupazione che ha basi reali, visto che ad aprile l’Arabia Saudita ha avvertito che inizierà a vendere fino a 750 milioni di buoni del tesoro ed altri asset statunitensi se il Congresso Usa approverà una legge che permetterebbe di considerare Riyadh responsabile davanti alla giustizia degli attacchi terroristici alle torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001. Un progetto di legge che è già stato approvato dal Senato Usa il 17 maggio e che attualmente è all’esame della Camera, spinto dai Repubblicani, cioè lo stesso Partito di Nixon che firmò l’accordo segreto che garantiva praticamente l’impunità politica alla monarchia assoluta saudita.

 

E’ vero che i tempi cambiano, ma l’inchiesta di Blomberg ci ricorda che qualcuno ha precise e storiche responsabilità se quelli di oggi non sono bei tempi.

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