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Lunedì, 25 Gennaio 2016

 

Il paese dove i giovani non hanno alternative a Daesh

di Serena Grassia

 

Nella rabbia dei ragazzi di Kasserine, come di Sidi Bouzid, di Gafsa, di Jendouba, di Beja, di Skhira, e persino delle banlieue di Tunisi, c’è la delusione di chi ha sognato un futuro diverso, cullandosi nell’ebbrezza della rivoluzione, e si è svegliato bruscamente davanti alla realtà. «Non è cambiato nulla, la rivoluzione ci è stata rubata», gridava sotto gli uffici del governatorato di Kasserine Nadr Boualleq, 39 anni.

Ha tre bambini, è diplomata, ma prende 200 dinari al mese, meno di cento euro: «La situazione economica e la disoccupazione spingono tanti giovani verso il terrorismo. Si sentono ignorati e traditi dal governo, ma anche dai deputati di Kasserine. Se qualcuno viene a offrire loro mille dinari, come gli si può dire di no?». Sotto il monte Chaambi, che confina con l’Algeria e funge da comodo rifugio per i gruppi jihadisti in fuga dopo le azioni contro polizia e soldati, la disperazione diventa tentazione.

La cacciata di Ben Ali non ha riempito le dispense, né ha creato posti di lavoro nelle province depresse del centro-ovest tunisino. E’ qui che è partita la rivoluzione del 2011, con il sacrificio di Mohamed Bouazizi, è qui che nel 2016 sta riesplodendo il malcontento. Ed è persino inutile sottolineare, come fa la stampa tunisina, che nel malessere si sono infilati “agitatori” legati ai partiti di opposizione, dalla destra di osservanza salafita alla sinistra di ispirazione marxista. Lina Ben Mhenni, blogger e osservatrice critica della società tunisina, conferma i sospetti: «Sono stata in mezzo ai dimostranti di Kasserine, ma quando sono cominciati i disordini ho visto facce nuove, non erano gli stessi che chiedevano lavoro».

Il punto, però, non è la possibilità di manipolazioni esterne: sono gli stessi giornali moderati, come “La Presse”, a ribadire che le manifestazioni popolari trovano ragione nella incapacità governativa di fronte alla crisi economica. Sono passati cinque anni da quando il dittatore ha lasciato in tutta fretta il Palazzo di Cartagine, per riparare in Arabia Saudita. E in questo tempo le lotte di potere hanno lasciato poco tempo ai politici per occuparsi del paese reale. Il giornale si chiede se sarebbe stato così impegnativo aprire un museo a Kasserine, dove sono presenti preziose rovine romane e si sarebbe potuto creare qualche posto di lavoro. Lo stesso vale per le opportunità legate alla vegetazione delle zone montuose: possibile che non ci sia stato il tempo di mettere in piedi una cartiera?

Secondo Taoufik Chammari, presidente della Rete nazionale contro la corruzione, “Cento tunisini su cento credono che essa sia aumentata” dopo la rivoluzione. E più preoccupanti ancora sono i dati sulla crescita, che era al 3 per cento annuo nel 2010, ed è attorno all’uno per cento nel 2015. La disoccupazione è al 15 per cento, ma raddoppia nelle province del centro, lontane dal mare e dalle strutture turistiche. Ma anche le coste sono in sofferenza, dopo che l’offensiva terroristica con gli attentati del Bardo e di Sousse ha dato una spallata fatale al turismo, diminuito del 30 per cento.

Se tutto il paese è in sofferenza, le zone del centro sono alla disperazione. Sotto gli uffici del governatorato arrivavano ragazzi di vent’anni con bottiglie di alcol, pronti a compiere gesti estremi per protestare contro le autorità. E i padri di famiglia hanno l’incubo di non poter nutrire nemmeno i figli. Beneni Mukhtar ben Sadouq, 4 bambini, senza nessun reddito, si lamenta: «Qui a Kasserine non c’è sviluppo, né lavoro, non c’è nulla. Ci promettono cinquemila posti di lavoro, poi salta fuori che almeno 1400 sono solo regolarizzazioni di chi già lavora. E noi altri ci mandano avanti e indietro come una pallina, da un ufficio all’altro, perché c’è sempre un documento che manca. Le ingiustizie sono grandi, a Kasserine chi lavora come operaio a giornata prende 10 dinari, a Sousse ne prende 45».

La richiesta, come cinque anni fa, è quella di una possibilità di vita dignitosa. Come recitava il cartello di Chowki Kadrawi, 29 anni diplomato in chimica, in piazza con una catena tra gambe e braccia: “La chiave della mia libertà è il lavoro”.

 

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