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Giovedì 21 Gennaio 2016

 

Kasserine si immola. Esplode la rivolta in Tunisia

 

La scorso domenica Ridha Yahtaoui muore suicida su un traliccio della corrente elettrica. Era salito fin lassù per protestare, insieme ad altri, della pubblicazione delle liste di impiego nella funzione pubblica da cui erano stati esclusi numerosi aventi diritto, lui compreso. Siamo a Kasserine, a pochi giorni dal quinto anniversario della cacciata del dittatore tunisino Ben Ali avvenuta il 14 gennaio 2011, nella città che versò una quantità eccezionale di sangue e conta un numero impressionante di martiri della rivoluzione. Migliaia di giovani e meno giovani si riversano per le strade, incendiano pneumatici, allestiscono barricate e ingaggiano un faccia a faccia con la celere armata di tutto punto [guarda il video]. Vengono incendiati numerosi edifici dell’amministrazione e i posti di polizia evacuati. Il governo balbetta di prossime misure economiche da promuovere nella regione,  rimuove il governatore e impone il coprifuoco. Ma le iniziative governative non placano la piazza che anzi viene sostenuta dagli scontri e dalle barricate nelle altre città: a Sfax pneumatici in fiamme per le strade principali e immolazione mortale di un giovane disoccupato, a Kairouan occupata la sede del governatorato, a Jendouba scontri davanti alla sede del governatorato, scontri a Testour e Sidi Bouzid dove nella notte viene data alle fiamme la sede della delegazione della regione e la dogana del Regueb, strade in fiamme a Kram (estrema periferia di Tunisi), scontri con la celere e sede del Partito Nidha Tunis incendiato a Rdeheyef e incidenti tra manifestanti e polizia a Tahla e Gafsa. L’elenco potrebbe durare citando numerose località più piccole dell’entroterra del paese magrebino che all’unisono si sono sollevate sull’onda dei fatti di Kasserine, ma aggiungiamo che altre manifestazioni hanno interessato anche la capitale Tunisi, con una marcia che ha raggiunto il centro città e l’Avenue Bourguiba, e Sousa dove gli studenti stanno manifestando da giorni. E’ di questa mattina la notizia che un poliziotto è stato linciato a morte dai manifestanti che a Kesserine hanno violato il coprifuoco scontrandosi per tutta la notte con la polizia.

 

Questa cronaca è il miglior commento sui cinque anni di “transizione democratica” nel paese madre dei processi rivoluzionari esplosi in tutto il mondo nel 2011. In Tunisia successivamente alle grandi giornate della Prima e Seconda Casbah la reazione prese il volto dell’ipotesi demoislamista con la salita al potere del partito Ennnahdha e poi con l’affermazione di Nidha Tunis, in larga parte composto da figure proveniente dall’Rcd vecchio partito del regime di Ben Ali, affermando un lungo termidoro caratterizzato dal più completo disconoscimento delle

 

 istanze della rivoluzione tunisina e da possenti iniziative repressive contro le organizzazioni progressiste (con gli assassini politici di due grandi esponenti della sinistra di classe del paese) e il ritorno dello strapotere della polizia nelle città e nei quartieri, in questo caso orientata dalla morale islamista. Non a caso in queste ore di rivolta gli slogan sono gli stessi di cinque anni fa: si grida per il diritto al lavoro, alla dignità e alla giustizia sociale; e i protagonisti delle iniziative di piazza sono sempre i giovani e giovanissimi tunisini delle città più massacrate dalla povertà e dall’ingiustizia che già nel 2011 avevano dato prova di grande coraggio e forza scatenando in strada tutta la rabbia di intere generazioni umiliate dal regime di Ben Ali prima, e dal regime della “transizione democratica” tanto cara a UE, USA ed alleati. La maggior parte delle persone che stanno scendendo in piazza in questi giorni ripetono “che niente è cambiato” da quel fatale 2011, eppure ci viene da aggiungere che neanche la determinazione e la forza della piazza è da meno. Non è un caso che proprio a Kasserine si sia aperta questa nuova ondata di rivolta, in quella regione infatti si concentrano le più grandi contraddizioni della Tunisia morsa tra corruzione, povertà e ora alle prese anche con i simpatizzanti dell’esercito del Califfo. A pochi chilometri dalla città da mesi si sono asserragliati su un monte alcune bande filo-Isis che spesso hanno seminato terrore nei villaggi circostanti provocando contro di loro una decisa collera popolare scatenata anche per l’incapacità o la poca volontà dell’esercito di intervenire. Questa è in sintesi la miscela che ha provocato l’incendio ancora incorso e in evoluzione a partire da un territorio dove il tasso di disoccupazione è da record e dove una famiglia di quattro membri è costretta a vivere con massimo cento euro al mese. Impossibile dire oggi se i recenti eventi tunisini preludono ad una radicale messa in discussione del regime ma è certo che stiamo assistendo alla più grande rivolta dal 2011 che in questa occasione ha già segnato il corso della “transizione democratica”.

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