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Giugno 20, 2016

 

Yemen, gli Emirati si ritirano

 

“Per noi la guerra è finita”. Queste sono le parole postate mercoledì sul suo account twitter dallo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe di Abu Dhabi e leader supremo delle forze armate degli Emirati Arabi.

 

Questo tweet riguarda la guerra in Yemen, un conflitto che prosegue da più di un anno e che ha portato alla morte di più di otto mila persone. La coalizione a guida saudita intervenuta sul terreno nel marzo 2015 e tutt’ora presente nel Paese comprende anche le truppe degli Emirati Arabi.

 

Lo sceicco ha ripreso le dichiarazioni del ministro degli esteri Anwar Gargash, che nell’occasione ha difeso la decisione di intervenire nel paese per arginare il pericolo del terrorismo.

In realtà, solo il ruolo militare finirebbe, mentre quello politico e logistico non cesserebbero. Il ministro ha poi dichiarato che un esiguo numero di truppe rimarrebbe nel paese per eventuali operazioni di controterrorismo.

 

Il discorso è avvenuto in una sede privata, durante uno degli incontri organizzati dalla monarchia per il mese del Ramadan. Per questo motivo, le notizie trapelate sono poche e frammentarie. A quanto pare, durante l’incontro si è parlato anche del ruolo di osservatore politico che il paese si appresterà a giocare in Yemen.

“Le operazioni Decisive Storm e Restoring Hope hanno raggiunto i loro obiettivi. Ora bisogna avviare un percorso politico” ha affermato ad Al Jazeera l’analista militare Riad Kahwaji.

In Yemen gli Emirati Arabi hanno perso ottantuno soldati, di cui quarantacinque uccisi in un singolo attacco avvenuto il 4 settembre dello scorso anno, rendendolo la perdita più grave subita dall’esercito nazionale dalla sua fondazione.

 

La guerra, poco seguita dai media internazionali, si continua a combattere tra le forze governative guidate dal presidente Hadi e appoggiate dalla coalizione e il ribelli Houthi, supportati dall’Iran e dall’ex presidente Saleh. Attivo è anche il ramo di Al Qaeda nella Pensiola Arabica (AQPA), che si oppone ad entrambe le fazioni.

Il ruolo della coalizione è stato molto dibattuto, soprattutto a causa dei bombardamenti su diverse città yemenite, che hanno provocato moltissime vittime tra i civili. In dubbio è stata messa anche la capacità militare delle nazioni intervenute, tra queste anche gli Emirati.

“In realtà, è sorprendente i passi in avanti che hanno fatto i paesi intervenuti in Yemen. Gli EAU hanno speso molto negli ultimi anni e, sorprendentemente, hanno inviato truppe in moltissimi contesti internazionali, tra cui l’Afghanistan e la Libia. Non si può certo dire che non si siano preparati a questa guerra” ha dichiarato al Paris Match in aprile l’analista Michael Knights.

Tuttavia, le truppe degli Emirati Arabi non lasciano certo un paese pacificato. Nei giorni scorsi, sono morte quarantotto persone negli scontri sui vari fronti, mentre sessantacinque sarebbero state ferite, alcune di queste nelle aree attorno alla città di Taiz assediata dalle truppe governative e dalle forze della coalizione.

 

Larga parte del nord del paese e la capitale Sanaa rimangono ancora nelle mani dei ribelli, mentre le condizioni della popolazione civile si fanno sempre più critiche, con solo un 55% degli yemeniti che possono attingere ad acqua potabile e un’aspettativa di vita di sessantaquattro anni. La nazione è al 160esimo posto nella scala di sviluppo mondiale.

 

Rimane chiaro che il motivo principale per cui l’Arabia Saudita e i suoi alleati sono intervenuti nel paese sia stata la necessità di fermare l’avanzata dei ribelli sciiti nella penisola e arginare il potere dell’Iran. Sullo sfondo, si sono mossi anche altri attori, tra cui gli Usa e la Gran Bretagna, che hanno fornito supporto logistico e intelligence, anche se il loro movente sembra essere stato la necessità di fermare Al Qaeda, piuttosto che invischiarsi in una disputa regionale.

 

Per approfondire:

Yemen, radiografia di un conflitto

 

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