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8 settembre 2016

 

Israele sta facendo pressione per una guerra civile palestinese?

di Ramzy Baroud

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

La divisione all’interno della società palestinese ha raggiunto livelli senza precedenti, diventando un considerevole ostacolo sulla strada di una strategia unificata per porre fine alla violenta occupazione della Palestina o per radunare i palestinesi dietro un solo obiettivo.

L’ultra-nazionalista Ministro della difesa israeliano, di recente nominato, Avigdor Lieberman, capisce questo fin troppo bene. La sua tattica fin da quando è asceso alla sua carica nello scorso maggio, è incentrata su un maggiore investimento in queste divisioni come modo di scomporre anche di più  la società palestinese.

Lieberman è un ‘estremista’, anche se lo paragoniamo ai bassi standard delle forze armate israeliane. La sua passata eredità era piena di dichiarazioni violente e razziste. I suoi più recenti exploit comprendono la contestazione del  defunto Mahmoud Darwish, il più illustre poeta della Palestina.  Ha addirittura paragonato la poesia di Darwish che sostiene la libertà del suo popolo, con l’autobiografia di Adolph Hitler, ‘Mein Kampf’.

Questo non è però, naturalmente, l’affermazione più oltraggiosa di Lieberman.

Le passate provocazioni di Lieberman sono parecchie. Abbastanza di recente, nel 2015, ha minacciato di decapitare con un’accetta i cittadini palestinesi se non sono del tutto leali allo ‘stato ebraico’, ha difeso la pulizia etnica dei cittadini palestinesi di Israele e ha pronunciato un ultimatum di uccidere entro 48 l’ex Primo ministro palestinese, Ismail Haniya (se non avesse consegnato le spoglie di militari israeliani, n.d.t.).

A parte le affermazioni ingiuriose, il più recente piano di Lieberman, tuttavia, è il più stravagante. Il Ministro della Difesa di Israele sta programmando di identificare con un codice di colori  le comunità palestinesi nella Cisgiordania Occupata, dividendoli in verdi e rossi, dove il verde sta per ‘buono’ e  rosso per ‘cattivo’; di conseguenza i primi saranno ricompensati per il loro buon comportamento, mentre i secondi saranno puniti collettivamente, anche se soltanto un membro di quella comunità oserà opporsi all’Esercito di Occupazione israeliano.

Una versione di questo piano era stata tentata 40 anni fa, ma fallì completamente. Il fatto che questa teoria scioccante ci sia a un buon  punto del ventunesimo secolo, senza essere accompagnato da un putiferio a livello internazionale, è sconcertante.

I codici di colori proposti da Lieberman saranno accompagnati da una campagna per far rivivere le ‘Leghe di Villaggio’, un altro esperimento israeliano fallito per imporre una leadership palestinese ‘alternativa’ impegnando ‘notabili’ palestinesi, cioè leader non eletti democraticamente.

La soluzione di Lieberman è di fabbricare una leadership che, come le Leghe di Villaggio degli anni ’70 e ’80, saranno certamente considerate  collaborazioniste  e  traditrici dalla più vasta società palestinese.

Ma che cosa sono esattamente le ‘Leghe di Villaggio’ e funzioneranno questa volta?

Nell’ottobre 1978 i sindaci palestinesi eletti, a cui si aggiunsero consiglieri comunali e varie istituzioni nazionaliste, iniziarono una campagna di mobilitazione di massa sotto l’ombrello del Comitato della Leadership Nazionale il cui obiettivo principale era di contestare il Trattato di Camp David –tra Egitto e Israele – e le sue conseguenze politiche di emarginazione dei palestinesi.

All’epoca, il movimento era la rete più elaborata e unita di palestinesi che si sia mai radunata nei Territori Occupati. Israele immediatamente inasprì i controlli sui sindaci, sui dirigenti sindacali e sui nazionalisti di varie istituzioni professionali.

La reazione nazionale fu di insistere sull’unità dei palestinesi a Gerusalemme, in Cisgiordania e a Gaza, tra i Cristiani e i Musulmani, e i palestinesi in patria e in ‘shattat’, o esilio.

La reazione israeliana fu ugualmente decisa. A partire dal 2 luglio 1980, ne seguì una campagna omicida contro i sindaci democraticamente eletti.

Tuttavia, Camp David e i tentativi di eliminare i leader nazionalisti nei Territori Occupati e l’accresciuta violenza degli estremisti ebrei in Cisgiordania, stimolò proteste di massa, scioperi generali e scontri tra giovani palestinesi e forze armate israeliane.

Il governo israeliano cominciò a licenziare i sindaci eletti della Cisgiordania, poco dopo aver installato, nel novembre 1981, una ‘Amministrazione Civile’ per governare i Territori Occupati, direttamente attraverso le sue forze armate. L’amministrazione militare era finalizzata a estromettere qualsiasi leadership palestinese realmente rappresentativa e a consolidare ulteriormente l’Occupazione. Ancora una volta, i palestinesi reagirono con uno sciopero generale e una mobilitazione di massa.

Israele ha sempre lottato per costruire una leadership alternativa per i palestinesi. Questi tentativi culminarono nel 1978 quando stabilì le ‘Leghe di Villaggio’, dando ai suoi membri poteri relativamente ampi, comprese l’approvazione o il rifiuto d progetti di sviluppo nei Territori Occupati. Erano armati ed erano anche forniti di protezione militare israeliana.

Ma anche questo tentativo era destinato a fallire poiché i membri della Lega erano in gran parte considerati collaborazionisti dalle comunità palestinesi.

Pochi anni più tardi, Israele riconobbe la natura artificiale della sua creazione e che  i

palestinesi non potevano essere mobilitati per accettare la visione israeliana di occupazione militare permanente e di autonomia superficiale.

Nel marzo 1984, il governo israeliano decise di sciogliere le ‘Leghe di Villaggio’.

Non è che Lieberman sia un perspicace studioso di storia, ma che cosa spera, comunque, di ottenere, da questo stratagemma?

Le elezioni nazionali del 1976 galvanizzarono le energie dei palestinesi per ottenere l’unità; si radunarono intorno a idee comuni e trovarono una piattaforma unificante nell’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

La discordia palestinese è inequivocabile. La prolungata lotta di Fatah e Hamas ha alterato fondamentalmente il discorso nazionalista riguardo alla Palestina, trasformandolo in una forma di tribalismo politico.

La Cisgiordania e Gaza sono divise, non soltanto geograficamente, ma anche dal punto di vista geopolitico. Fatah che è già sotto attacco in più di un modo, sta ricadendo in ulteriori divisioni tra i sostenitori del suo attuale  anziano leader, Mahmoud Abbas, e quelli di Mohammed Dahlan, evitato, anche se onnipresente.

Più pericoloso di tutto questo è che il sistema di punizione o di ricompense di Israele,

ha effettivamente trasformato i palestinesi in due classi: le persone estremamente povere che vivono a Gaza e nella zona C in Cisgiordania, e quelle relativamente benestanti, la maggior parte delle quali è affiliata all’Autorità Palestinese a Ramallah.

Dal punto di vista di Lieberman, l’occasione forse è matura per affinare e imporre di nuovo le “Leghe di Villaggio’. Non fa differenza se funzionerà nella sua forma originale o fallirà, dato che l’idea è di generare ulteriore divisione tra i palestinesi,

di seminare il caos sociale, il conflitto politico e, forse, di duplicare la breve guerra civile di Gaza nell’estate del 2007.

La comunità internazionale dovrebbe rifiutare totalmente questi piani arcaici e queste idee distruttive e costringere Israele ad aderire alla legge internazionale, ai diritti umani, e a rispettare le scelte democratiche del popolo palestinese.

Quelle potenze che si sono imposte come ‘mediatori di pace’ e guardiani della legge internazionale, devono comprendere che Israele è ben qualificato a cominciare ad accendere i fuochi, ma non è quasi mai capace di spegnerli. E specialmente a Lieberman– il rumdno buttafuori di locali notturni, trasformatosi in politico-diventato Ministro della Difesa – non si deve concedere la libertà di dare un codice di colori alle comunità palestinesi, di ricompensare e punire a suo piacimento.

Un rapido sguardo all’indietro sulla storia ci dice che le tattiche di Lieberman falliranno; la domanda è, comunque: a quale costo?


Il Dottor  Ramzy Baroud scrive da 20 anni di Medio Oriente. E’ un opinionista che scrive sulla stampa internazionale, consulente nel campo dei mezzi di informazione, autore di vari libri e fondatore del sito PalestineChronicle.com. Tra i suoi libri ci sono: “Searching Jenin” [Cercando Jenin], “The Second Palestinian Intifada” [La seconda Intifada palestinese],  e il suo  più recente è: “My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story” (Pluto Press, Londa).  [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/is-israel-pushing-for-a-palestinian-civil-war/

Originale: Non indicato

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