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09 mag 2016

 

Al-Qa’eda chiama a raccolta le “forze ribelli”

di Roberto Prinzi

 

In un messaggio audio rilasciato ieri, il leader dell’organizzazione radicale islamica, Ayman az-Zawahiri, ha chiesto l’unità di tutti i “mujahedin” per combattere “i russi e i crociati occidentali”. Da Ankara il presidente turco attacca la comunità internazionale: “Siamo soli a combattere l’Isis”

 

Roma, 9 maggio 2016, Nena News –

 

“Vogliamo che tutti i mihajedin si uniscano nello Sham [Siria] in modo da liberarla dai russi e dai crociati occidentali. Fratelli, la questione dell’unità è un fatto di vita o di morte per voi”. A dirlo, in un messaggio audio rilasciato ieri, è il leader di al-Qa’eda, Ayman az-Zawahiri.

 

Il discorso del capo qa’edista offre alcuni interessanti punti di riflessione. In primo luogo il conflitto all’interno della galassia jihadista tra Stato Islamico (Is) e al-Qa’eda, a distanza di due anni dalla loro rottura, è quanto mai vivo. Az-Zawahiri ha infatti lodato il braccio siriano qa’edista (il Fronte an-Nusra) non risparmiando dure critiche ai miliziani dell’autoproclamato Stato Islamico (Is) che vengono chiamati nella registrazione “estremisti rinnegati”. Una delegittimazione, quest’ultima, non scontata e che va a smentire le recenti voci circa un loro riavvicinamento a causa dell’attacco congiunto dei russi e della coalizione internazionale. An-Nusra e Is – unite sotto un unico stendardo fino al 2014 nella lotta al presidente siriano al-Asad – restano per il momento divise. Una rivalità che va oltre i confini siriani: in ballo è la supremazia nel variegato mondo del radicalismo islamico.

 

L’unità che l’anziano capo qa’edista chiede non è quella con il rivale al-Baghdadi (al momento una ferita che non si può risanare), ma quella con le forze islamiste (più o meno radicali) che sono presenti in Siria in gran numero e che l’Occidente definisce “forze moderate“. Niente di più falso: queste formazioni non si discostano molto dai jihadisti qa’edisti e dall’Is in termini di prassi politica e di ideologia (una Siria retta dalla legge islamica). L’unica sostanziale differenza è che, contrariamente a quei gruppi che Washington e Bruxelles ritengono “terroristi” (Isis e Nusra), queste brigate cercano un riconoscimento della comunità internazionale.

 

L’obiettivo è chiaro: provando ad approfittare dell’ostilità occidentale nei confronti “dell’asse sciita”, queste formazioni strizzano l’occhio alle capitali europee (e del Golfo) nel tentativo di accaparrarsi anche loro di una fetta di Siria (che ovviamente dovrà essere islamica). Emblematico, a tal proposito, fu il no secco all’unità che an-Nusra ricevette lo scorso gennaio dai salafiti di Ahrar ash-Sham (sostenuti da Turchia e Arabia Saudita).

Un altro aspetto interessante del messaggio audio è la tempistica: az-Zawahiri, da tempo leader silenzioso e di cui ben poco si conosce, ritorna alla ribalta mediatica a distanza di pochi giorni dal quinto anniversario della morte di Bin Laden (della cui “eliminazione”, nelle modalità presentate dagli americani, permetteteci di avere ancora dei dubbi). Il significato non è da sottovalutare: l’attuale capo di al-Qa’eda non ha voluto solo intromettersi nei fatti siriani, ma anche ribadire, a chi dà al-Qa’eda per moribonda, che l’organizzazione radicale islamica è ancora viva e forte al punto da poter chiamare a raccolta i “mujahidin“. Un messaggio, dunque, di continuità e di forza il cui principale destinatario è soprattutto il mondo islamico radicale troppo ammaliato negli ultimi anni dalle sirene del “califfo”.

 

Ma se il radicalismo islamico ha attecchito (e tanto) in Siria da quando è iniziata la devastante guerra civile nel Paese, ciò è stato possibile anche grazie alla Turchia i cui varchi di confine con lo stato arabo sono stati i principali punti d’ingresso per migliaia di jihadisti e di foreign fighters venuti a combattere per il “califato” e per i loro ex-fratelli di an-Nusra. Ma guai a sottolineare questo aspetto ad Erdogan.

 

Ieri, infatti, il presidente turco ha accusato la comunità internazionale di averlo lasciato “da solo” a fronteggiare i jihadisti sul suo territorio. “In Siria nessuno di quelli che sta combattendo Daesh [altro nome per Stato Islamico, ndr] ha sofferto le nostre stesse perdite, nessuno ha pagato un caro prezzo [in termini di vite umane] come noi. Siamo soli nella battaglia contro questa organizzazione che, con attentati suicidi [nel Paese] e razzi a Kilis, ha ucciso molti di noi”. Nella sola Kilis, cittadina a confine tra la Siria e la Turchia, sono morte recentemente almeno 21 persone a causa dei missili lanciati da presunti miliziani di al-Baghdadi. La dichiarazione ieri di Erdogan fa il paio con quella di sabato delle forze armate di Ankara. Secondo l’esercito, l’artiglieria turca avrebbe ucciso negli ultimi giorni almeno 55 “membri dell’Is”.

 

Ma gli occidentali, in particolare l’Europa, sono attaccati dal presidente turco anche per un altro aspetto: la questione rifugiati. Intervenendo ieri in una competizione di cortometraggi tenutasi a Istanbul, il “sultano” ci è andato giù duro: le nazioni europee, a suo dire, sono “dittature crudeli” che non hanno “misericordia” e non conoscono “giustizia” perché mantengono le frontiere chiuse al transito dei profughi che scappano dalla guerra siriana. Un discorso duro e, in parte, condivisibile. Peccato che colui che lo ha pronunciato non vanta di certo un curriculum invidiabile per ciò che concerne il rispetto dei diritti umani e delle libertà.

 

In Siria, intanto, la guerra non conosce tregua. Gli aerei militari del regime hanno ieri bombardato alcune postazioni islamiste ad Aleppo nel quartiere di Jamiyat az-Zahra’a cercando di avanzare nelle aree della città ancora sotto il controllo dei ribelli. Secondo l’Osservatorio dei diritti umani siriani, Ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione, quest’ultimi avrebbero sparato dei missili sulle aree residenziali controllate dal regime provocando sette feriti. Alcune fonti parlano anche di morti per la caduta di un edificio nei pressi del distretto di Midan. I caccia di Damasco hanno attaccato anche la vicina cittadina di Khan Touman riconquistata giovedì scorso dalle forze di opposizione.

 

Nel bagno di sangue siriano è giunta però una buona notizia: tre giornalisti spagnoli, rapiti 10 mesi fa circa in Siria, sono ieri tornati a casa dove ad attenderli in lacrime vi erano i loro familiari. Un po’ di umanità, prima di ascoltare o leggere di un nuovo massacro. Nena News

 

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