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20 agosto 2016

 

Il “compagno” Assad bombarda i kurdi in Rojava. Erdogan ringrazia

di Francesco Ruggeri

 

Quel che resta della Siria di Assad si scaglia contro i miliziani kurdi, gli unici a fronteggiare l’Isis nella Regione. Erdogan ringrazia e promette favori ad Assad, icona del campismo surreale di questo secolo.

 

Nella città della Siria settentrionale Hesekê continuano gli scontri armati tra le forze dell’amministrazione del Rojava da un lato e gruppi paramilitari e l’esercito del regime di Assad dall’altro. E’ probabilmente uno dei frutti avvelenati dell’abbraccio tra Putin (ex capo delle barbe finte dell’Urss, oligarca spietato omofobo e assolutista, icona dei rimasugli stalinisti in occidente) e Erdogan, macellaio islamista turco, beniamino della Nato e dell’Ue. Nell’ambito dei combattimenti che sono scoppiati il 16 agosto, il 18 agosto il regime siriano per la prima volta ha impiegato anche l’aviazione contro la popolazione del Rojava. Lo scrive Civaka Azad – Kurdisches Zentrum für Öffentlichkeitsarbeit, tradotto in Italia da Retekurdistan. Negli attacchi aerei contro zone di insediamento civili, almeno sette persone, tra cui quattro bambini, hanno perso la vita. Continuano gli attacchi aerei del regime di Assad a Hesekê. Inoltre il regime bombarda con armi pesanti in modo indiscriminato aree cittadine controllate dalle Unità di Difesa del Rojava.

I combattimenti sono iniziati dopo che le forze paramilitari del regime siriano hanno attaccato diverse postazioni delle Asayish (Forze di Sicurezza del Rojava). Negli scontri poi divampati nel giro di pochissimo tempo in tutta la città, le YPG (Unità di Difesa del Popolo) sono riuscite a occupare quasi completamente una zona della città che fino ad ora era controllata dalle forze governative. Le YPG riferiscono che molti soldati siriani nell’ambito dei combattimenti hanno abbandonato le proprie postazioni e sono fuggiti. Le unità sul fronte governativo sarebbero perlopiù milizie iraniane e miliziani degli Hezbollah libanesi.

Anche il Consiglio Democratico della Siria (CDS), una confederazione di diverse forze dell’opposizione in Siria multi-confessionale e multietnica, ha accusato Iran e Turchia di corresponsabilità negli attuali attacchi del regime siriano a Hesekê. Non sarebbe un caso che questi attacchi siano scoppiati poco dopo la liberazione di Manbij. Sia Iran che Turchia, nonostante le loro contraddizioni nella politica sulla Siria, sono uniti nel fatto che entrambi osservano con grande preoccupazione il rafforzamento del Rojava e del modello di una Siria democratica. Gli attacchi a Hesekê sarebbero uno sporco gioco politico nel quale sono coinvolte entrambe le potenze.

Come nella città di Hesekê, anche a Qamishlo coesistono forze del regime siriano e forze dell’amministrazione autonoma del Rojava. Ma la coesistenza è caratterizzata da tensioni. Così già in aprile di quest’anno tra le due parti ci sono stati scontri durati per giorni. Come negli scontri attuali, il regime di Assad dopo operazioni di successo delle YPG/YPJ contro IS, continua ad attaccare le forze dell’amministrazione autonoma del Rojava in altri luoghi. Il comandante delle YPG Redur Xelil valuta questo fatto come la prova che il regime di non è interessato al fatto che IS perda terreno. Come motivazione Xelil cita il fatto che il regime di Assad, solo grazie a organizzazioni terroristiche come IS ha potuto ottenere legittimità per il proprio sporco modo di procedere in Siria. Il comandante delle YPG ha annunciato che agli attacchi del regime di Assad si risponderà con la massima durezza.

Anche l’Ansa conferma che le truppe di Bashar al Assad bombardano i curdi, e la Turchia del suo arcinemico Recep Tayyip Erdogan applaude, ipotizzando per la prima volta che il presidente siriano possa svolgere un ruolo nella transizione del suo Paese. Gli ultimi sviluppi del conflitto in Siria, insieme con le tensioni che si riaccendono tra i curdi iracheni e il governo di Baghdad, sembrano indicare che i maggiori attori regionali stanno già valutando gli assetti – e i possibili conflitti – nel Medio Oriente del dopo Isis e dopo guerra siriana. Per il terzo giorno consecutivo, ha riferito l’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), le forze siriane hanno bombardato oggi le postazioni delle forze di autodifesa curde Ypg nella regione nord-orientale di Hasaka. Quelle sostenute dagli Usa in funzione anti-Isis, nonostante siano vicine al Pkk, l’organizzazione separatista dei curdi turchi che gli stessi Stati Uniti e la Ue considerano «terroristica». Washington ha inviato ieri anche suoi jet sulla regione di Hasaka per prevenire bombardamenti contro le proprie forze speciali sul terreno. I combattimenti degli ultimi giorni, che secondo il sito curdo iracheno Rudaw hanno provocato 14 morti tra i miliziani dell’Ypg e i civili, sono stati spiegati da Damasco come risposta alle «provocazioni» dei curdi a Hasaka, controllata in parte dalle truppe governative e in parte dalle milizie curde, che finora avevano evitato di venire a contatto. Ma la cosa più interessante è che Damasco ha indicato le milizie dell’Ypg come «l’ala militare del Pkk». Tale identificazione è abitualmente usata dalla Turchia, che ha visto con preoccupazione negli ultimi mesi le milizie dell’Ypg rafforzarsi sempre di più alle sue frontiere grazie ai successi militari contro lo Stato islamico. L’ultimo di questi, la settimana scorsa, la presa della città di Manbij. Il premier turco Binali Yildrim ha salutato oggi l’apertura del nuovo fronte siriano affermando che anche Damasco comincia a vedere i curdi come una minaccia. Contemporaneamente Yildrim, con una decisa virata rispetto alla linea intransigente seguita finora, ha detto che la Turchia è disposta «sedersi e parlare (con Assad) durante la transizione» per una soluzione del conflitto. Difficile non vedere nelle affermazioni di Yildrim una conseguenza dell’iniziativa diplomatica avviata di recente da Ankara per riavvicinarsi alla Russia e all’Iran, i maggiori alleati di Assad, in contemporanea con il deterioramento delle relazioni con l’Occidente seguite al tentato colpo di Stato in Turchia del mese scorso. Durante un recente incontro ad Ankara, il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif e il suo collega turco Mavlut Cavusoglu hanno affermato che l’interesse dei due Paesi è che venga preservata «l’integrità territoriale» della Siria. Vale a dire, tra l’altro, che i curdi non approfittino della lotta all’Isis per dare vita ad uno Stato indipendente. Le stesse preoccupazioni turbano l’Iraq, il Paese in cui l’Isis è nato raccogliendo all’inizio il sostegno di parte delle regioni sunnite come risposta alle politiche considerate discriminatorie del governo a guida sciita sostenuto da Usa e Iran. E dove i Peshmerga curdi hanno preso il controllo di aree a lungo contese con gli arabi quando, nell’estate del 2014, si sono trovati a fronteggiare da soli lo Stato islamico dopo la rotta dell’esercito nazionale. È il caso di Kirkuk e di gran parte della sua provincia ricca di petrolio, dove due giacimenti sono già gestiti direttamente dalle autorità curde. Nei giorni scorsi il primo ministro iracheno, Haidar al Abadi, ha detto che i miliziani curdi non potranno entrare a Mosul con le forze federali quando verrà lanciata l’offensiva finale per strappare all’Isis la sua ‘capitalè nel Paese. Ma Safin Dezai, portavoce del governo autonomo curdo, ha risposto che i Peshmerga continueranno ad avanzare anche fuori degli attuali confini della regione autonoma e che «non si ritireranno dalle aree già liberate o che libereranno in futuro» laddove vi sia la presenza di una popolazione curda. Compresa dunque la regione di Mosul

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