Fonte: L'Antidiplomatico

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19/09/2016

 

Gli USA attaccano la Siria aprendo scenari imprevedibili

di Federico Pieraccini

 

Negli ultimi giorni in Siria stiamo assistendo a un coinvolgimento sempre più diretto nel conflitto di Turchia, Israele e Stati Uniti. Incursioni aeree, bombardamenti e invasioni di terra, seppur limitati, svelano l’insoddisfazione palpabile e la frustrazione evidente delle nazioni più ostili a Damasco.

 

L’esempio più appropriato per porre l’accento sul clima di delusione che si respira a Washington, riguarda le dinamiche che hanno accompagnato la firma del cessate il fuoco tra Kerry e Lavrov.

Con Aleppo assediata e i terroristi intrappolati costretti a una rapida resa o a una resistenza limitata, gli Stati Uniti e alleati sono stati obbligati a richiedere una soluzione temporanea al conflitto che fermasse le ostilità.

Nonostante il precedente fallimento del cessate il fuoco, Russia, Damasco e Teheran hanno preferito negoziare, proseguendo comunque nell’azione militare. Avessero rifiutato di negoziare, sarebbero stati dipinti da media e organi internazionali come i veri mandanti di un intensificarsi del conflitto. Ciò avrebbe facilmente spalancato le porte a un maggior coinvolgimento di alleati regionali di Washington, giustificati a loro modo di vedere dal rifiuto di Mosca di negoziare.

La Diplomazia Russa, Siriana e Iraniana è riuscita a trasformare una posizione di forza militare ma di apparente debolezza diplomatica, in una vittoria complessiva. Washington è stata costretta a richiedere che i termini finali dell’accordo fossero segretati. Mosca invoca trasparenza e pretende che l’accordo sia reso pubblico.

Il fatto che gli Stati Uniti si oppongano mostra l’ambiguità della Casa Bianca in merito alla lotta al terrorismo in Siria. L’unico ipotetico punto di accordo dovrebbe riguardare il coordinamento congiunto per colpire Al Nusra e Daesh anche se il giorno successivo all’incontro tra Kerry e Lavrov, Ashton Carter ministro della difesa USA, ha prontamente smentito l’accordo confermando che Stati Uniti e Russia in Siria hanno obiettivi diversi.

Il significato dietro questa dichiarazione lascia pochi dubbi. Washington non è in grado o peggio non vuole abbandonare i terroristi che sostiene in Siria contro Assad e non ha alcuna intenzione di rinunciare al piano di cambio governo in Siria o di divisione territoriale del paese.

A riprova del coinvolgimento americano in Siria al fianco dei terroristi, pochi giorni fa un evento importante è accaduto a Al-Rai nel nord della Siria. Località situata sul confine con la Turchia è da poco stata occupata dall’esercito di Ankara con l’aiuto di truppe islamiste di FSA/AlNusra. Una dozzina di soldati americani delle forze speciali, presenti nella cittadina siriana al fianco dei ‘ribelli moderati’, sono stati costretti a fuggire sotto minacce esplicite di morte da parte dei loro teorici ‘alleati’. Un corto-circuito in piena regola. La base di Nusra/FSA non accetta di lottare palesemente al fianco di chi definisce “infedele” (in realtà chi li arma e finanzia.)

Il dubbio che il filmato fosse un’operazione mediatica per distanziare gli Stati Uniti dai terroristi più radicali, è stato spazzato via dalle notizie provenienti da Dair Al-Zur poche ore dopo:

In Siria alle 17.00 ore locali del 17 Settembre, due caccia F-16, due A-10 e un drone d’attacco dell’USAF e della RAAF colpivano per ben quattro volte le postazioni dell’Esercito Arabo Siriano (SAA) nei pressi di Dair Al-Zur uccidendo sessantadue soldati, ferendone oltre 100 e causando ingenti danni materiali. Poco dopo, le posizioni attaccate a Jabal Al Tahrdah subivano l’avanzata di Daesh che già in precedenza circondava le postazioni governative (la località di Dair Al-Zur è sotto assedio di ISIS da quattro anni.)

Immediata la risposta di Mosca e Damasco che dichiaravano Washington fiancheggiatore dei terroristi di Daesh, mentre fonti del dipartimento di stato americano si giustificavano parlando di un errore, senza alcuna intenzionale di colpire il SAA.

Qualunque lettura si dia alla vicenda, gli Stati Uniti sono colpevoli di non essersi coordinati con Mosca sugli attacchi contro Daesh, come rilevava immediatamente la diplomazia Russa alle Nazioni Uniti, in una riunione d’emergenza richiesta da Mosca. Prendiamo per esempio il livello d’isteria della diplomazia americana con le azioni di Samantha Power, ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. Senza nemmeno essere presente all’intervento del rappresentante Russo, ha preferito organizzare una conferenza Stampa in cui accusava Mosca di strumentalizzare i morti in Siria, causati da “un semplice errore americano”.

E’ evidente come gli Stati Uniti e alleati si siano scavati una buca profonda da cui non sono in grado di uscire e reagiscono con i nervi a fior di pelle. Non hanno più alcuna capacità di invertire militarmente, modificare il corso che ha preso la guerra in Siria e ne sono consapevoli.

Colpiscono località di nessuna rilevanza strategica e in cui il SAA e alleati non schierano truppe o materiale bellico per un confronto militare. Le località occupate dalla Turchia nel nord del paese non fermano l’assedio su Aleppo e non liberano i terroristi intrappolati nella città. Le incursioni di Israele sulle alture del Golan non arrestano l’azione di Hezbollah e del SAA contro Al Nusra e sigle affiliate protette da Tel Aviv. L’attacco alle truppe governative Siriane a Dair Al-Zur non ha fatto crollare la resistenza di una città assediata da quattro anni e difesa eroicamente dall’Esercito Arabo Siriano (SAA).

Come ho già scritto in precedenza, il coinvolgimento diretto delle nazioni opposte a Damasco è un segno di debolezza, non di forza. Vedono ridursi drasticamente la capacità di influenzare gli eventi sul campo e possono solo reagire davanti a fatti compiuti.

Prendiamo l’episodio accaduto sulle alture vicino a Dair Al-Zur il 17 Settembre.  

Dopo Aleppo e la riconquista di Raqqa, rompere l’assedio di Dair Al-Zur è uno dei pilastri portanti della strategia di Mosca, Damasco e Teheran. Le operazioni di Palmira nei mesi passati hanno rappresentato il primo passo di una strategia più ampia volta a rompere l’assedio alla città.

Dair Al-Zur è situata nell’est del paese e si trova al centro dello snodo utilizzato per i rifornimento di ISIS verso Raqqa e Mosul in Iraq. Con l’assedio delle truppe Siriane e Russe sul versante Nord, ad Aleppo, i terroristi hanno un enorme interesse a mantenere aperte le vie di transito tra Raqqa, Dair Al-Zur e Mosul; è una prerogativa essenziale per mantenere viva la catena di rifornimenti e aiuti (americani, giordani, turchi, sauditi e qatariani).

Nei giorni precedenti l’azione americana, all’aeroporto di Dair Al-Zur era giunto un contingente composto da un migliaio di nuove leve Siriane appena addestrate e altri gruppi di provenienza Iraniana, truppe pronte a combattere per le imminenti operazioni volte a liberare la città.

E’ con queste premesse, con questi fatti già compiuti sul campo che gli Stati Uniti non sono riusciti a impedire, che Washington matura una strategia ancor più sconsiderata e pericolosa.

Ignorando tutte le norme internazionali e ogni principio di buon senso, sperando di ottenere risultati benefici sul campo di battaglia, Obama decide di inviare

2 F-16, 2 A-10 e un drone d’attacco per colpire le postazioni del SAA sulle colline di Jabal al-Thardah, in ben 4 passaggi. Colpendo le postazioni governative a Jabal, gli americani si auguravano di favorire l’avanzata di Daesh per prendere controllo della collina strategica, come poi puntualmente avvenuto.

Le colline di Jabal al-Thardah sono strategiche giacché offrono una visuale unica sull’aeroporto adiacente di Dair Al-Zur sotto controllo di Damasco. Nell’immaginario americano l’azione avrebbe dovuto permettere a ISIS di conquistare le postazioni dell’esercito per poi colpire le piste d’atterraggio dalla montagna di al-Thardah, impedendo al SAA di far giungere altri rinforzi per la liberazione della città, tagliando poi le linee di comunicazione dei terroristi tra Iraq e Siria.

La speranza di Daesh, condivisa dagli Americani, è svanita poco dopo con l’intervento delle truppe governative, sostenuti in maniera decisiva dai bombardieri Russi, che hanno rapidamente riconquistato le posizioni abbandonate.

Washington ha reagito di fronte a un fatto compiuto (i rinforzi in arrivo per la liberazione di una città strategica) e ha ordinato di colpire deliberatamente le postazioni dell’esercito Siriano. Come queste stesse informazioni siano arrivate a Daesh, in pratica in tempo reale, appare evidente e svela le intenzioni degli Stati Uniti di combattere al fianco dei terroristi, non contro il terrorismo.

E’ interessante analizzare i ragionamenti secondari che hanno probabilmente spinto Washington a mettere in pratica tale piano disperato e ingiustificabile. Nella mente degli strateghi di Washington, confuse e avvilite per i continui fallimenti, continua a suscitare emozioni persino il tentativo di provocare una reazione da parte di Damasco, Mosca o Teheran di fronte ad azioni così insensate.

Il movente vale anche per le azioni compiute da Israele e Turchia in Siria. La logica che verte dietro questo ragionamento è la seguente: se Siria, Russia o Iran dovessero mai reagire ad una delle infinite provocazioni, giustificherebbero una risposta ancor più dura, aprendo la strada ad un’escalation del conflitto.  E’ una tattica sterile che da anni non funziona e non porta alcun frutto, ricordiamoci l’atteggiamento di Mosca nella vicenda Ucraina e nel Donbass in particolare.

Un altro motivo che potrebbe aver spinto Washington a un’azione diretta contro il SAA è la mancanza di fiducia percepita dai terroristi nei confronti delle nazioni ‘amiche’. La cacciata delle forze speciali USA nel nord della Siria è sintomatica della frustrazione che stanno accumulando le truppe di AlNusra/Daesh/FSA a causa delle continue sconfitte.

Tuttavia la motivazione principale dietro a questa provocazione inaudita resta il tentativo di sabotaggio dell’accordo di cessate il fuoco, firmato recentemente. Gli Stati Uniti sentono di essere stati obbligati a firmare e costretti a scendere a termini stabiliti altrove, precisamente a Damasco e a Mosca.

Si sentono nell’angolo.

Hanno ottenuto l’obbligo alla riservatezza sul documento, ma questo non fa altro che danneggiare la loro strategia, mostrando come la Casa Bianca sia preoccupata di non far trapelare ai propri alleati e ai terroristi sul campo, i termini di ciò che è stato deciso.

Merita un approfondimento, la visione strategica a lungo termine di Mosca in merito al conflitto Siriano.

Alla base di ogni ragionamento del Cremlino prevale una linea realista e diplomatica che vorrebbe evitare uno scontro militare diretto con gli Stati Uniti. Allo stesso tempo c’è la consapevolezza che ciò potrebbe accadere e si preparano in questa direzione, non solo con la diplomazia che pur sempre resta, insieme alla diffusione di notizie tramite RT, l’arma principale contro Washington.

Putin e i suoi consiglieri vorrebbero tenere gli Stati Uniti vincolati da un patto firmato e garantito dalle Nazioni Unite. Il motivo sono le elezioni americane e la possibilità che vincendo la Clinton, si possa arrivare rapidamente a un’escalation del conflitto. Con un piano di pace e un accordo per fermare le ostilità siglato dai predecessori Kerry-Obama, tutto sarebbe più complicato per i neocons e per la Clinton.

Sarebbero costretti a trovare una motivazione plausibile e giustificabile per invalidare il patto di fronte al mondo intero. Le conseguenze sarebbero devastanti con una nuova perdita di credibilità e di sostegno internazionale, stretti alleati esclusi. L’ennesima prova che dimostrerebbe l’incapacità degli Stati Uniti di rispettare gli accordi presi.

L’accordo per fermare le ostilità, dunque è una possibilità che vale la pena di essere esplorata da Mosca. Funzionasse, potrebbe dare inizio a una seria discussione per finire il conflitto, sedando le violenze.

In caso contrario rientrerà nella tattica sempre più efficace della Russia di mostrare il vero intento degli Stati Uniti in Siria: abbattere Assad a qualunque costo e con qualunque metodo, compreso il terrorismo più cruento.

A tal proposito, esiste anche un altro scenario, meno diplomatico ma molto più militare. Qualcosa che Mosca ha sempre provato a evitare in ottica di un confronto diretto con gli Stati Uniti.

E’ possibile che la linea rossa tracciata da Mosca sia stata superata da Washington con l’azione del 17 Settembre scorso. Lo scenario consiste nella creazione di una no-fly-zone (NFZ) in Siria controllata da Russia e Damasco e interdetta ai velivoli della coalizione internazionale.

Un’idea fino ad ora solo discussa informalmente tra Damasco, Teheran e Mosca ma che già ipotizza una concessione particolare per i velivoli Turchi, in determinate situazioni (nord del paese) e previo accordo con Damasco.

Dopo i recenti sviluppi militari e diplomatici, Mosca potrebbe presto dichiarare i cieli siriani off-limits per l’USAF togliendo agli americani anche quella preziosa capacità di ricognizione con droni, metodo con il quale assiste direttamente i terroristi sul campo.

Con due mesi alle elezioni e un Obama completamente travolto dagli eventi, una decisione di questo calibro manderebbe in frantumi i piani americani e sarebbe un segnale forte e inequivocabile: la Russia non tollera più l’ambiguità degli Stati Uniti e li considera parte integrante del fronte terroristico, con tutte le conseguenze del caso.

In uno scenario del genere, sarebbe bene che qualcuno vicino al POTUS gli ripetesse un concetto. Non è detto che Mosca arrivi al punto di dichiarare un veto sui cieli Siriani, ma nel caso in cui dovesse accadere, è bene essere consapevoli che una violazione comporterebbe un’immediata reazione di batterie S-400 pronte a disintegrare i velivoli nemici, americani compresi.

Obama vuole essere ricordato come il presidente che scelse di violare l’ipotetica no-fly-zone Russa in Siria, scatenando scenari apocalittici? A lui la scelta, con la speranza che sia ancora in grado di porre un freno alle conseguenze tragiche che milioni di cittadini americani e non subirebbero per colpa di una sua errata decisione.

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