il Manifesto

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20 set 2016

 

Damasco: «Tregua finita». Usa: «Non ancora»

di Chiara Cruciati  

 

Dopo il bombardamento statunitense dei soldati governativi, sia Assad che le opposizioni danno per morto il cessate il fuoco. Nemmeno un pacco di aiuti consegnato. Washington si arrampica sugli specchi. L’Onu sospende gli aiuti umanitari 

 

Aggiornamento ore 17:00 - ONU: “Stop ad aiuti umanitari in Siria”.

Ban-Ki-Moon: “Sostenitori potenti hanno mani sporche di sangue. Nessuno come al-Asad nell’uccidere i civili”

 

L’agenzia delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha deciso stamane che sospenderà le sue operazioni umanitarie in Siria in seguito ai raid di ieri sera avvenuti nella provincia di Aleppo che hanno colpito camion carichi di aiuti (principalmente della Mezzaluna rossa internazionale). Negli attacchi aerei sono state uccise 12 persone. Russia e governo siriano negano qualunque responsabilità.

Nel suo discorso finale, il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha accusato i “potenti sostenitori” della guerra siriana che “hanno le mani sporche di sangue”. “Presenti in questa sala oggi ci sono rappresentanti di governo che hanno ignorato, facilitato, finanziato, partecipato e perfino pianificato e compiuto atrocità contro i civili siriani” ha detto Ban che poi ha attaccato duramente Damasco: “molti gruppi hanno ucciso civili innocenti, nessuno però più del governo siriano che continua a colpire i quartieri con bombe a barile e a torturare sistematicamente migliaia di detenuti”.

Stati Uniti, Russia e una decina di altri paesi, intanto, hanno dichiarato poco fa che il cessate-il-fuoco non è finito nonostante le violenze delle ultime ore.

 

Roma, 20 settembre 2016, Nena News –

 

A sette giorni dall’inizio dell’ultima cosiddetta tregua siriana si sarebbe dovuto lanciare il coordinamento militare anti-Isis tra Stati Uniti e Russia ma sul terreno la situazione è rimasta incandescente. Ieri Damasco ha dichiarato la fine del cessate il fuoco, sebbene il segretario di Stato Usa Kerry dica di voler proseguire. Oggi all’Onu si incontrerà con la Russia e altri 20 paesi, coinvolti nella crisi. Nell’ultima settimana meno violenza c’era stata, sì, ma quella registrata è stata più che sufficiente a provocare l’ennesimo fallimento diplomatico.

A far crollare le speranze del popolo siriano è stato l’attacco aereo statunitense di sabato alle porte di Deir Ezzor, roccaforte dell’Isis. Ma i jet non hanno colpito le postazione islamiste: hanno centrato in pieno l’esercito governativo. Almeno 62 i soldati uccisi. Washington ha confermato parlando di «errore», mentre Londra ammetteva di aver preso parte al raid. Ieri il presidente siriano Assad è tornato ad accusare gli Usa di «palese aggressione», Mosca gli ha imputato di sostenere in questo modo l’Isis.

Ieri è stata la volta di Damasco: l’esercito ha lanciato un’operazione contro Faylaq al-Sham, Legione del Levante, gruppo di 19 milizie inizialmente vicine alla Fratellanza Musulmana per spostarsi poi verso l’ex al-Nusra. A nord è la Turchia a premere sull’acceleratore: ieri il presidente Erdogan ha annunciato una nuova offensiva dei “ribelli” sponsorizzati da Ankara. L’obiettivo è al-Bab, comunità controllata dalla Stato Islamico al confine. Ma lo stesso Erdogan specifica il vero target: una zona cuscinetto unilaterale di 5mila km quadrati per impedire l’unificazione dei cantoni di Rojava.

A dare l’annuncio, prima del governo, della fine della tregua erano state le opposizioni: Fastaqim (milizia di Aleppo legata all’Esercito Libero Siriano ma alleata anche del Fronte Islamico) ha parlato di «fine dell’accordo», lo stesso Els di «impossibilità a continuare». È intervenuto anche George Sabra, ex presidente della Coalizione Nazionale (braccio politico dell’Esercito Libero) e oggi membro della federazione di opposizione Alto Comitato per i Negoziati: il cessate il fuoco è «clinicamente morto».

In realtà in vita non è stato mai, con la parte militarmente più efficace delle opposizioni – l’ex al-Nusra e la sua galassia di milizie – che non ha mai aderito e gli altri gruppi riconosciuti come legittimi che con una mano abbracciavano la tregua e con l’altra tributavano sostegno agli ex qaedisti. E non è stato mai in vita perché è nato privo di un orizzonte politico. A dare la misura della sua inefficacia è la mancata consegna degli aiuti. Le armi dovevano essere abbassate soprattutto per permettere all’Onu e ai camion di aiuti di arrivare nelle zone assediate, a partire da Aleppo est, per portare sollievo ai civili.

Non un singolo pacco di cibo è stato consegnato: Damasco si era ritirata dalla Castello Road, principale arteria verso il centro di Aleppo, ma è tornata sui suoi passi dopo che i “ribelli” hanno rifiutato di fare altrettanto. «Hanno completamente perso tempo – commenta Human Rights Watch – Avevano una grandiosa opportunità questa settimana, con pochissime vittime e un tasso di bombardamenti basso».

Obama si avvia così alla fine del secondo mandato con il peso di un Medio Oriente in fiamme e una pessima eredità in termini di strategia militare e politica. La Casa Bianca ha vissuto il ritorno diplomatico russo nel peggiore dei modi, incapace di reagire alle sfide del Cremlino, in particolare alla rinnovata forza di Assad, di cui non poteva non tener conto.

Si è arroccata sulle posizioni assunte nel 2011, sulla stessa rete di alleanze che a distanza di 5 anni si ripete uguale a se stessa. Ma la situazione sul terreno è tutt’altra e le pezze messe sono pericolose: Washington prosegue cieca nel sostegno all’incoerente fronte di opposizione, ormai alla mercè dei gruppi che più di altri hanno fatto fruttare la pioggia di denaro dal Golfo. Ovvero, gli islamisti che dettano legge sul campo di battaglia e indirettamente su quello diplomatico, prospettando un futuro buio per la Siria. Nena News

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