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15 nov 2016

 

Russia e Turchia si preparano in vista di Trump

di Chiara Cruciati

 

Il presidente eletto Usa potrebbe modificare gli equilibri della guerra: Mosca aumenta la flotta militare, Ankara si mostra come forza anti-Isis

 

Roma, 15 novembre 2016, Nena News –

 

Le navi da guerra russe lungo la costa siriana aumentano. Ce ne sono almeno 20, più parecchi sottomarini e una portaerei, dicono alla Nato: «Stanno dispiegando tutta la Flotta settentrionale e parte della Flotta baltica». C’è chi dietro ci legge una prossima escalation della guerra siriana, chi una dimostrazione simbolica di potenza militare. Una provocazione più che un’effettiva bocca di fuoco perché non sarebbe conveniente usare la flotta per colpire Aleppo.

È qui che lo scontro si intensifica: dopo aver fermato la controffensiva delle opposizioni, cacciandole dai quartieri occidentali occupati 10 giorni fa, domenica l’esercito governativo ha spostato il campo di battaglia nel quartiere est di Karam al-Turab e l’area di Al-Aziza, a sud est. Alle opposizioni è stato dato un ultimatum tramite sms nei telefoni dei residenti: 24 ore per lasciare Aleppo. «Chi vuole avere salva la vita, abbandoni le armi e la sua sicurezza sarà garantita – dice il messaggio – Alla fine di questo periodo la pianificata offensiva comincerà». Un giorno dopo, ieri, raid aerei hanno colpito i quartieri est, uccidendo 15 civili secondo fonti locali.

Sopra Aleppo non volano gli aerei russi, assenti dal 18 ottobre. Colpiscono invece ad Idlib, distretto in mano all’ex al-Nusra, e prepara le navi da guerra. È possibile che la Russia stia apparecchiando il tavolo in vista del cambio della guardia alla Casa Bianca: se il presidente eletto Usa Trump abbandonerà davvero le opposizioni su cui Washington ha investito miliardi di dollari, il conflitto potrebbe cambiare faccia con la rete di alleanze che ha mantenuto viva la guerra. Un eventuale asse Turchia-Usa-Russia farebbe esplodere le contraddizioni che accompagnano da sei anni la crisi.

Chi in queste ore si muove con più fervore è proprio Ankara che intende sfruttare il favore che Trump gli riserva. Ieri, mentre a nord est i kurdi avanzano verso Raqqa, i “ribelli” siriani – sostenuti dall’esercito turco – hanno lanciato un’offensiva verso al-Bab. Dal cielo a coprirli sono i raid aerei turchi sulla cittadina considerata via di transito di uomini e armi a favore dello Stato Islamico. In poche ore, riporta la stampa locale, sono stati distrutti due centri militari, un deposito di armi e due palazzi usati come quartier generale dall’Isis. Quando vuole, Ankara riesce a centrare i miliziani dell’Isis, a differenza di quanto fatto finora: da agosto ad oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, le truppe turche in Siria hanno preso di mira solo i kurdi di Rojava.

Stavolta però ci si deve avvicinare ad Aleppo e mostrarsi al nuovo presidente un alleato affidabile nella lotta all’Isis, magari soppiantando le Forze Democratiche Siriane nel cuore di Washington nell’operazione per Raqqa. Presa al-Bab Ankara potrà reclamare come area sotto la propria influenza tutto il corridoio dal confine occidentale con il proprio territorio fino a Jarabulus, sul fiume Eufrate, a due passi da Kobane.

A indebolire i piani turchi sono le faide interne alle opposizioni: ieri Ankara ha dovuto chiudere il confine di Oncupinar a causa di violenti scontri tra alcune unità dell’Esercito Libero e altre unità sostenute dai salafiti di Ahrar al-Sham per il controllo della cittadina di Azaz e del valico di frontiera di Bab al-Salam.

Sull’altro fronte bellico, in Iraq, i successi si alternano alle violenze. Domenica l’antica città di Nimrud, dove l’Isis aveva sfogato la sua follia distruttrice di storia e identità, è stata liberata dal governo. La 9° divisione è entrata nella città assira del XIII secolo a.C., portando a 84 le comunità strappate all’Isis dal 17 ottobre. Festeggia l’Unesco che spera di recuperare il più possibile di manufatti e edifici distrutti dai bulldozer e i martelli dei miliziani.

Ma scoppia anche l’ennesimo caso di crimini di guerra commessi dal fronte anti-Isis. Dopo il rapporto di Amnesty che accusava membri della polizia federale di Baghdad di aver ucciso sfollati sunniti, Human Rights Watch ha documentato almeno 21 attacchi compiuti dai peshmerga tra settembre 2014 e maggio 2016 contro villaggi nella provincia di Ninawa, mai occupati dall’Isis. Le forze del Kurdistan iracheno avrebbero distrutto con esplosivo, incendi e bulldozer case arabe e campi coltivati, cancellando migliaia di dollari di raccolto. Gli abusi sono stati compiuti in aree contese intorno Kirkuk, che Erbil rivendica come proprie. Nena News

 

 

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