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13 dicembre 2016

 

I dervisci di Aleppo torneranno a danzare

di Mauro Indelicato

 

Poco dopo le 20 l’annuncio ufficiale della tv siriana: Aleppo è interamente in mano ai governativi, le ultime linee di difesa dei ribelli sono cadute. E’ svolta nella guerra siriana, finisce la battaglia iniziata nel luglio del 2012 ed in città esplode la festa tra gli abitanti che adesso, dopo quattro anni, possono ricostruire un'intera comunità.

 

Sono passate da poco le 20.30 di ieri sera, le tv italiane hanno da poco finito di trasmettere le tante ore di diretta per il giuramento del nuovo governo mentre sui social ed in particolare ovviamente dai gruppi che seguono da anni l’evolversi del conflitto in Siria, iniziano a rimbalzare immagini di festeggiamenti e di gente in strada con la bandiera della Repubblica Araba Siriana: è il segnale che la novità da lungo attesa, è finalmente arrivata. Dopo quattro anni e cinque mesi, la battaglia di Aleppo è finita: la seconda città siriana non è più divisa da trincee urbane ed improvvisate, né da carcasse di vecchi autobus rovesciati sulle strade per demarcare confini invalicabili tra territori governativi e jihadisti; gli spari di giubilo ed i caroselli indicano che Aleppo sarà anche ridotta ad un enorme cumulo di macerie, ma è adesso una città “normale”, un luogo in cui, come in ogni altra parte del mondo, si può andare da una via all’altra senza la paura di ritrovarsi colpiti dai cecchini e senza gli sbarramenti simbolo di confini implosi nel giro di pochi giorni e consegnati agli scaffali della storia nel breve volgere di poche ore.

 

I media occidentali dallo scorso mese di luglio, hanno iniziato a parlare di ‘Aleppo ovest’ ed ‘Aleppo est’ contrassegnando nella prima parte i quartieri governativi e nella seconda parte invece le zone in mani ai cosiddetti ‘ribelli’; tanto basta per capire come ha vissuto la città negli ultimi anni: quella che fino al 2011 è stata la capitale economica del paese, centro culturale ed industriale di prim’ordine e punto di riferimento per l’intero Medio Oriente, è stata spacchettata e divisa, ad un certo punto de facto ha cessato di essere un’unica città ed un’unica comunità. Quel che si festeggia in queste ore, è proprio il ritorno non solo dell’esercito siriano ma proprio anche della comunità: si brinda di nuovo insieme, cristiani con alawiti, sciiti con sunniti, sostenitori di Assad con chi nel 2011 esponeva la bandiera della ‘rivoluzione’ siriana nell’illusione di poter costruire un Paese diverso; adesso si cammina tutti insieme, senza paura, tra le macerie di una città da ricostruire ed in cui le ferite di questa guerra rimarranno per tanto tempo, così come le storie ed i racconti che si tramanderanno per generazioni in merito a questo folle conflitto in cui repentinamente si è caduti.

 

Aleppo è emblema della guerra siriana: non un duello tra due eserciti, non un confronto tra due modi di vedere il futuro del Paese, bensì uno scontro tra uno Stato siriano (con i suoi cittadini, le sue istituzioni ed il suo governo) e gruppi formati da orde di terroristi nella maggior parte dei casi stranieri che non solo negli anni hanno divorato chilometri interi al legittimo esercito del paese ma hanno anche, come proprio ad Aleppo, spaccato e disgregato intere comunità. Non è quindi soltanto per Assad che la gente scende in piazza a festeggiare, si brinda anche per il ritorno della Siria come Stato e come comunità nazionale, poi di quel che sarà il dopo e di come si vorrà essere governati (e da chi) i siriani lo decideranno quando le armi tacceranno, intanto è il momento di tornare ad immaginare Aleppo con i suoi suk, i suoi locali, le sue moschee e le sue chiese. E’ un concetto molto semplice, che l’occidente però stenta a capire: tra tregue umanitarie richieste pure quando i ‘ribelli’ controllavano ormai cinque chilometri quadrati, condanne all’aviazione russa e sanzioni al governo di Assad, Usa ed Europa continuano anche in queste ore a ritardare la soluzione del conflitto siriano, ignorando in buona o più probabilmente in cattiva fede che in ballo non vi è solo la permanenza dell’attuale governo di Damasco, con cui si può essere d’accordo o meno, bensì della Siria come comunità nazionale e, di conseguenza, della già peraltro precaria stabilità dell’intero Medio Oriente.

 

Con la fine della battaglia di Aleppo comunque, la guerra siriana è ad una svolta: Assad ha adesso nelle sue mani la capitale (messa in sicurezza dopo la caduta di numerose ‘sacche’ ribelli), le altre tre principali città del Paese, ossia Aleppo appunto ma anche Homs ed Hama, così come le due province costiere di Latakia a Tartus; i ribelli, ossia l’ex FSA poi infarcito di miliziani e terroristi, controllano invece soltanto la provincia di Idlib e parte della meridionale provincia di Dara’a, mentre il gruppo supportato dalla Turchia ha in mano la parte settentrionale della provincia di Aleppo ed in queste ore preme per la presa di Al Bab; al contempo, i curdi hanno la Rojava che negli ultimi mesi è sembrata se non alleata di Assad comunque quanto meno poco propensa a tornare all’attacco dell’esercito regolare come accaduto prima dell’estate; l’ISIS infine controlla solo Raqqa tra le città capoluogo ed ha in mano le zone desertiche della Siria. Ben si comprende quindi come per Damasco il conflitto volge dalla propria parte e certamente adesso a livello diplomatico e politico la conquista della seconda città siriana avrà un peso molto importante: di fatto, oramai nessun governo occidentale può minimamente pensare di chiedere ad Assad di lasciare il proprio Paese. Discorso a parte va fatto per Palmira; la festa per la liberazione di Aleppo, è in parte mitigata per quanto sta accadendo nella ‘perla del deserto’, adesso nuovamente in mano all’ISIS dopo che il Califfato da qui era andato via nel mese di marzo sulla spinta russo – siriana. Pur tuttavia, se Palmyra ha una valenza simbolica importante, al contempo però essa non rappresenta strategicamente un obiettivo cruciale; la mossa dell’ISIS appare più che altro un tentativo di distogliere l’attenzione da Aleppo e permettere ai media occidentali di ridimensionare la portata della conquista dell’ex capitale economica oppure, come ha affermato il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, Daesh ha “permesso di respirare ai miliziani asserragliati ad Aleppo”. Finita la battaglia in questa metropoli, difficilmente l’esercito si proietterà per riprendere Palmyra.

 

 

Guardando la cartina più in alto infatti, la priorità adesso è allargare il perimetro di sicurezza attorno ad Aleppo; in poche parole, se la città può iniziare a tornare alla normalità, per dare analogo risultato all’intero paese è necessario rimettere in comunicazione questa provincia con Damasco e quindi urge riconquistare la provincia di Idlib e le prossime mosse dovrebbero essere svolte a sud di Aleppo da membri dell’esercito e forze guidate dagli Hezbollah. Il primo obiettivo sarà verosimilmente quello di riprendere l’autostrada M5 ed avvicinarsi a Saraqib ed Idlib, provando a pressare anche da sud (dalla provincia di Hama) e dai monti a nord di Latakia; contemporaneamente, le truppe liberate dal controllo delle sacche di Damasco cercheranno di riprendere definitivamente Dara’a, soltanto dopo forse si penserà a strappare all’ISIS le zone desertiche e meno rurali del paese. La strada che porta alla fine della guerra, è ancora molto lunga al contempo però, la festa di Aleppo ed il crollo di quei confini marchiati con barricate e bus rovesciati, indica la via da intraprendere per mettere in futuro il punto definitivo su un conflitto che da cinque anni porta barbarie e soprusi di ogni tipo in questo angolo di Medio Oriente.

 

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