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18 gen 2016

 

Cosa racconta il massacro di Deir Ezzor

 

Il fronte anti-terrore non ha intaccato le capacità militari dell’Isis, che utilizza una barbara propaganda per ampliare le proprie fila. E la coalizione internazionale resta a guardare: gli islamisti hanno compiuto una carneficina indisturbati

 

Roma, 18 gennaio 2016, Nena News –

 

A Deir Ezzor è andato in scena un massacro senza precedenti. Eppure da anni ormai la comunità internazionale fa dipendere il suo sdegno dalla mano di chi uccide. Ed ecco che Madaya, comunità affamata da un doppio assedio, esterno del governo e interno delle milizie di opposizione, colpisce il mondo (seppure a mesi di distanza dall’inizio del calvario), mentre il campo profughi palestinese di Yarmouk – dove si muore di fame da due anni – non desta più troppa attenzione.

Dipende dalle responsabilità di Damasco: se ne ha, l’Occidente ne approfitta subito; se non ne ha, si imputa la colpa ad una più generica barbarie, difficilmente arginabile. Eppure il fine settimana vissuto dalla città di Deir Ezzor è stato uno dei peggiori dall’inizio della guerra civile siriana. La città, a 140 km da Raqqa, è strategica perché a metà strada tra il confine con l’Iraq e la “capitale” del sedicente califfato. Dopo i durissimi scontri alla fine del 2014 tra esercito governativo e Isis, Deir Ezzor è rimasta sotto il parziale controllo di Damasco, ma lo Stato Islamico ha occupato il deserto a est della città e, nella pratica, circondato la comunità. Il fiume Eufrate che scorre a poca distanza dal confine orientale della città divide i due fronti: a nord est l’Isis, a sud ovest il governo.

L’attacco sferrato dai miliziani dello Stato Islamico ha portato con sé morte e distruzione, che si aggiungono alla mancanza di cibo a causa dell’assedio islamista. Difficile dare delle stime precise: l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (all’opposizione) parla di quasi 150 morti nel quartiere di al-Baghaliyeh e nelle zone nord ovest della città, 85 civili (tutti sunniti) e 50 soldati del governo, sgozzati, decapitati, crocifissi. Un bagno di sangue per punire chi si pone contro il sedicente califfato. La tv di Stato siriana, Sana, riporta un bilancio più alto, 280 uccisi.

Altri 400 civili sarebbero stati rapiti, tra loro soprattutto donne e bambini. Le forze governative presenti ancora in una parte di Deir Ezzor (a nord est e nei pressi dell’aeroporto militare), isolate dal resto dei territori siriani ancora sotto Damasco, hanno risposto al fuoco con il sostegno aereo della Russia.

L’attacco di Deir Ezzor e il successivo massacro portano con sé una serie di considerazioni. Lo Stato Islamico, che negli ultimi mesi ha perso territori in Iraq e nel nord della Siria, non è stato schiacciato. La sua capacità militare è ancora solida e in grado di organizzare vaste operazioni: il nord ovest di Deir Ezzor è stato preso d’assalto con una serie di attentati kamikaze che hanno aperto la strada ai miliziani armati. Secondo l’Osservatorio Siriano, ora l’Isis controllerebbe il 60% della città, ma – di nuovo – non è possibile verificare l’informazione.

Così come l’efficacia militare dello Stato Islamico non pare intaccata da un anno e mezzo di raid aerei occidentali, allo stesso modo la rodata macchina della propaganda continua ad utilizzare gli stessi macabri strumenti: il massacro di Deir Ezzor ha un obiettivo preciso, terrorizzare chi non sostiene il “califfo” (sunniti, i più colpiti dalle violenze degli estremisti, e i soldati del governo, puniti perché considerati apostasi) e rafforzare lo spirito di chi combatte tra le sue fila e di chi pensa di unirvisi. Una propaganda basilare ma efficace che dà agli adepti, presenti e futuri, la convinzione di combattere per una società “nuova”, dove l’apostata è sottomesso e il retto è esaltato. A questo serve il sangue versato a Deir Ezzor.

Infine, l’ultimo elemento che questo massacro racconta è l’inefficacia – che sia più o meno voluta – del fronte internazionale anti-terrore. Dopo aver bombardato Raqqa soltanto per qualche giorno, dopo gli attacchi di Parigi, una rappresaglia più che un’operazione militare studiata, gli aerei russi, statunitensi, francesi, che sorvolano ogni giorno i cieli siriani, che dicono di bombardare quasi quotidianamente le postazioni dell’Isis, non sono stati in grado di fermare un’avanzata terrestre. È vero, la città è ancora abitata, i quartieri presi d’assalto erano pieni di civili. Ma l’Isis ha attaccato da fuori, si è fatto strada con i kamikaze e poi ha perpetrato indisturbato una carneficina. Nena News

 

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