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02 Marzo 2016

 

Siria, la tregua prima della spartizione

di Barbara Ciolli

 

Ribelli, curdi, governativi di Assad: si fa largo il modello Repubblica federale. Russia e Usa d'accordo. Ma la stabilità è un miraggio. E nessuno parla dell'Isis.

 

Neanche il presidente degli Stati Uniti crede alla tregua che ha firmato sulla Siria.

Barack Obama ha detto di «non farsi illusioni», invece il cessate il fuoco - parziale - regge più del dovuto, nella misura in cui la Russia ha accettato (come in Ucraina) di limitare la sua aggressività: una Russia che frena anche il regime di Bashar al Assad.

Lo fa perché dall’autunno, grazie ai massicci bombardamenti russi, i governativi hanno potuto riprendersi Aleppo e riguadagnare posizioni nell’Ovest del Paese, a fronte di un’opposizione sempre più smembrata.

 

L'AMNISTIA DI ASSAD.

Si va verso una spartizione territoriale.

I ribelli sono sul punto di alzare bandiera bianca, tant’è che da Damasco, il presidente Bashar al Assad è arrivato a proporre l’amnistia agli oppositori che depongono le armi, per un «ritorno alla vita civile». Ma quale opposizione?

Nessun cenno, intanto, al futuro della costituenda regione autonoma curda della Rojava: una striscia di migliaia di chilometri lungo il confine con la Turchia, sottratta all’avanzata dell’Isis ma anche, dalle insurrezioni del 2011, al regime siriano.

 

CURDI SENZA TREGUA.

In questi territori non vige nessuna tregua, anzi la situazione si è aggravata: dalla Turchia si continuano a sparare colpi d’artiglieria contro il nemico curdo, che per il “sultano” Erdogan viene prima dell’Isis, mentre i negoziatori internazionali (inclusa l’Onu, perché i curdi non sono ammessi alle trattative) chiudono gli occhi.

C’è poi la nebulosa sul futuro di Assad, che ha smesso di additare tutti i ribelli come «al Qaeda» proprio nel momento in cui rischiavano davvero di diventarlo, e anziché valutare un esilio convoca le Legislative per il 13 aprile prossimo.

 

Raid contro l'Isis o anche contro i ribelli?

 

L’Onu ha posticipato la ripresa dei negoziati sulla Siria a Ginevra dal 7 al pomeriggio del 9 marzo, per «far consolidare la tregua».

Anche l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, più ottimista di Obama sugli ultimi sviluppi, chiude più di un occhio alle notizie di violazioni del cessate il fuoco che si susseguono.

In parte le frizioni sono fisiologiche, come si è visto anche in Ucraina, dove dopo gli accordi di Minsk del 2014 si è andati verso una progressiva - anche se incompleta - distensione.

 

I FRONTI SONO AMBIGUI.

Ma soprattutto è un rebus appurare chi fa fuoco contro chi per l'ambiguità del conflitto siriano.

Il protocollo della tregua in vigore dal 27 febbraio non prevede la fine dei raid (né degli Usa, né della Russia, né delle forze del regime) contro l’Isis e i qaedisti rivali di al Nusra. E, come stanno documentando le foto della tregua, i combattenti del Califfato erano alle porte di Aleppo, non solo nell’entroterra di Raqqa, e controllavano basi del Nord-Ovest.

Una zona dove, prima dei raid di Putin, si stavano espandendo verso la costa soprattutto i jihadisti di al Nusra, diventati la forza trainante nell’alleanza di milizie armate dei ribelli islamisti.

 

MILIZIE INFILTRATE.

Ecco perché quando l'opposizione siriana denuncia la rottura del cessate il fuoco di Mosca o di Assad, gli Usa frenano, spiegando che è «ancora troppo presto per capire se c’è stata una violazione».

In cinque anni di guerra, le milizie ribelli sono state pesantemente infiltrate e cannibalizzate dai gruppi fondamentalisti e criminali: i pochi moderati che stanno negoziando per la pacificazione non hanno ormai che la forza di arrendersi.

Viceversa al Nusra si sta scagliando, come l’Isis, contro i guerriglieri curdi che, sotto la protezione dei raid russi, nelle ultime settimane stanno sfilando territori ai due gruppi jihadisti.

 

La guerra turca ai curdi sta sconfinando in Siria

 

I combattenti della Rojava dicono che i fondamentalisti islamici continuano a entrare dal confine turco, che Erdogan sta giocando ancora sporco: e in effetti i combattimenti della Rojava stanno diventando un’estensione della guerriglia sempre più aspra tra l’esercito e il Pkk nel vicino Kurdistan turco.

Ankara ha anche lanciato raid contro le basi del Pkk nel Kurdistan iracheno: le violazioni territoriali dei turchi sia in Siria sia in Iraq sono innumerevoli, e per il veto di Erdogan i curdi che hanno sconfitto più volte l’Isis non possono partecipare ai negoziati di pace.

De Mistura ha lasciato trapelare che sta mandando avanti anche dei proxy talks, incontri riservati e separati con le delegazioni escluse, nell'intenzione di quadrare il cerchio.

 

A OGNUNO DEI VANTAGGI.

Fondamentalmente, bombardando la Siria, Putin è riuscito a mettere in sicurezza la sua base navale russa di Tartus (l’unica in Medio Oriente), piena di armamenti, verso la quale stavano marciando i jihadisti a ottobre.

Mosca ha dato anche una grossa mano ad Assad. Mentre Erdogan sembra ora disposto ad accantonare la sua annosa guerra pro-ribelli ad Assad, concentrandosi contro i curdi.

I curdi siriani d'altra parte, pur nel fuoco incrociato, hanno guadagnato posizioni. E gli Usa paiono propensi a negoziare un compromesso con russi e iraniani, che collaborano ai negoziati, senza però fare troppo irritare turchi e sauditi. I quali tuttavia placherebbero le loro rivendicazioni, se ai ribelli venissero assegnati territori.

 

UNA SPARTIZIONE A TRE.

A Ginevra, Mosca è pronta a proporre una Repubblica federale siriana a tre teste, sul modello dei Balcani: i sunniti ai ribelli, sciiti alawiti al governo di Assad, e i curdi ai curdi.

Semplificando ovviamente, perché sunnita è anche la maggioranza del partito unico del regime (Baath) e sunniti sono anche parecchi curdi.

Anche gli americani sarebbero pronti a estrarre dal cappello un «piano B di spartizione».

Russia e Stati Uniti si sarebbero già messi d’accordo, ma nessuno parla più di Raqqa, dell’Isis: si dissolverà, come fosse sbucato dal nulla?

 

 

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